No, non il celebre tenente televisivo, è l’Ammiraglio dell’Oceano, l’“infame” navigatore genovese, considerato prodromo dell’imperialismo moderno, ad esser bersagliato e abbattuto dalla furia iconoclasta dei nuovi integralisti “politicorretti”: povero Cristoforo!
Nuevo mundo dió Colón. Colombo, colonialismo: “What’s in a name?”, o nomen omen, motti e detti, spagnoli, latini o inglesi (nella domanda retorica della (ec)citatissima Giulietta shakespeariana), richiamano l’assonanza tra le due parole, anche se – a cercar precipuamente il pelo nell’uovo, vocabolo d’espressione idiomatica cui il Grande Marinaio ligure è pure proverbialmente collegato – l’etimologia del secondo termine deriva invece da còlere, che nella lingua di Cicerone significa “coltivare” o “abitare”, e sembrano inchiodare alle sue presunte responsabilità e voler infliggere la damnatio memoriae non al famoso tenente televisivo, trasandato e sornione, interpretato dal bravo e disgraziato Peter Falk, bensì al malcapitato capitano navigatore o Ammiraglio dell’Oceano, considerato il prodromo del nefando imperialismo moderno.
Come vaticinammo, da facilissimi profetucoli, in un recente editoriale (Riottosi, pubblicato su Civico20News domenica 14 giugno scorso), oggi l’imbecille bellicosa furia iconoclasta dei talebanici politicorretti si scatena sui monumenti che celebrano il glorioso esploratore oriundo genovese (quantunque varie località, specialmente iberiche, ne rivendichino – o, meglio, rivendicassero – i natali) che, sbagliando clamorosamente i calcoli sulle dimensioni dell’orbe terraqueo – con buona-pace dei rigorosi saggi di Salamanca e a impagabile consolazione degli inventivi dilettanti allo sbaraglio –, incocciò in un enorme continente ignoto anziché sbarcare, compiendo il lungo giro da ovest, sulle coste del Cipango (Giappone) menzionato nel Milione di Marco Polo, cioè sulle propaggini pacifiche dell’Asia, errore del quale pare non essersi fatto una ragione, manco in-punto-di-morte (leggenda forse però favorita e divulgata apposta dalle Loro Altezze Cattoliche per deprivarlo dei promessi connessi diritti e prerogative): proprio nelle Americhe, che egli “inopinatamente” scoprì (ovvero ri-scoprì, dopo i Vichinghi e chissachì prima di costoro, certo molto meno consci di lui) nel 1492 (medesimo anno del decesso di Lorenzo “il Magnifico” de’ Medici e della reconquista di Granada, ultimo lembo di “sacro suolo” europeo liberato, con le armi degli eserciti di Ferdinando d’Aragona, dal giogo degli ariosteschi mori maomettani), alla statue dedicategli gli inginocchiati manifestanti del movimento Black Lives Matter sovente offrono l’indegno trattamento che i selvaggi barbari e/o integralisti d’ogni epoca (Goti, Lanzichenecchi e Isis docent) han praticato alle opere d’arte, ossia vandalismi, deturpazioni, am/putazio/ni, estirpazioni, abbattimenti…
Per di più, somiglia a un ottimo sistema per darsi la zappa sui piedi, nell’ottica pro-Floyd, per i vessati discendenti dei neri che Lincoln – a costo della vita – affrancò nel 1865, col XIII Emendamento, dalla servitù cotoniera sudista, per renderli pronta carne-da-macchina delle future fabbriche fordiste del Nord degli USA. Quasi da ipotizzare la strategia di infiltrati che abbiano fomentato la spontanea stupidità autolesiva delle masse, con l’ovvio obiettivo di spaventare la middle class, spingendola a ri-votare alle prossime elezioni presidenziali il “razzista” iperplatinato zietto (Mc)Donald Trump, che paradossalmente vanta l'endorsement del rapper di-colore Kanye West.
Del resto, sulla base della propensione allo schiavismo, all’avidità, alla sete di potere e all’allegra abitudine allo sterminio, pochissime sublimi effigi e vestigia di personaggi del sanguinario passato dell’Umanità sfuggirebbero a tale persecuzione cancellatrice: dai faraoni egizi, con relative piramidi, sfingi e obelischi, agli antichi Romani, con in testa il divo Giulio Cesare (che già Plinio il Vecchio tacciava di genocidio delle tribù galliche), agli Arabi, pre-islamici e musulmani (dal 600 al 1900), dall’allusa illusa Isabella di Castiglia, patrocinatrice della spedizione delle tre caravelle, volta a convertire gli indios, al nipote Carlo V d’Asburgo (stupendamente dipinto, in versione equestre, da Tiziano Vecellio, nel 1548, tela dunque da bruciare?), sui cui domini “non tramontava mai il sole”, da lord Nelson (con colonna in Trafalgar Square, sicuramente da demolire) alla regina Vittoria, padrona di circa un quarto della superficie del Pianeta (non acquisita con la dolce persuasione dell’elevata civiltà britannica…), nonché duchi e principi, papi e papponi, onorati dal lavoro di pennello o scalpello di sempiterni Maestri, insomma, dagli Assiro-babilonesi a Bezos – eccetera eccetera eccetera –, nessuno la scamperebbe. Tabula-rasa di secoli di creatività: per una “giusta causa” egualitarista, dovremmo quindi accettare simili cortesie alla Cultura? (Donde l’attribuzione all’inerente categoria tematica del presente elzeviro.)
Ecco, in conclusione, lo slogan da propugnare: “Save sailor Christopher!”.
Frattanto, uno che, a bordo dello schettiniano sgangherato zatterone ingovernabile della Penisoletta dello Stivaletto nostro – ad imitazione del Radeau de la Méduse (1818) di Géricault –, rischia d’essere colpito e affondato, gettato in pasto agli squali, dalla stessa ciurma d’“amici” che dichiarano di appoggiarlo, ansiosi invece di sostituirlo quando sarà il momento della mostruosa mega-abbuffata post-virale del Recovery estorto all’Ue, sarà poi il nocchier de la livida palude Giuseppe Conte, garibaldino eroe equilibrista dei doppi-sensi.
Ma questa è tutt’altra storia.
O no?
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Articolo pubblicato il 12/07/2020