Cronache criminali del passato

Garneirio, rosticciere e serial killer a Meknès, in Marocco

Attenzione: questo testo contiene descrizioni e immagini forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualche Lettore!

 

Nell’anno 1868 gli avvenimenti significativi per il Regno d’Italia sono il secondo Ministero Menabrea, la vendita dei beni ecclesiastici, il trasporto delle ceneri di Daniele Manin, l’imposta sul macinato, il matrimonio del principe Umberto, erede al trono, con la cugina principessa Margherita, la Regìa cointeressata dei tabacchi e il terzo Ministero Menabrea.

Un rilevante insieme di notizie che, nel bene e nel male, tengono sicuramente occupate le pagine dei giornali contemporanei, al tempo gli unici mezzi di comunicazione di massa. Ma il 25 settembre di quell’anno, i lettori della «Gazzetta Ferrarese» dalla “Cronaca locale e fatti vari” apprendono una macabra notizia che riguarda Mequinez, popolosa città del Marocco, oggi indicata come Meknès.

Leggiamo:

«UN MOSTRO. - A Mequinez, gran città dell’impero del Marocco, scrive l’Epoca di Madrid, v’ha un rosticciere per nome Gameirio, che da dieci anni a questa parte formava la delizia dei gastronomi vendendo loro dei kefta, pezzi di carne arrostita, molto più gustosi di quelli venduti dagli altri rosticcieri, e che perciò riuscì ad accumulare una gran fortuna.

L’altra settimana, alcuni asassa, guardie notturne, che facevano la ronda per le vie della città, passando presso l’abitazione di Gameirio, udirono gemiti e sospiri soffocati che uscivano da un abbaino della casa del celebre rosticciere. Gli asassa fecero il loro rapporto, e l’indomani l’autorità giudiziaria recossi a perquisire la casa di Gameirio. Arrivati in cantina, gli ufficiali giudiziari rinvennero il corpo di una donna scannata poco prima, squartata ed appesa ad uncini come la carne da macello. In un angolo della cantina furono pure trovati ventisette cranii di donne, lo che spiegò subito come Gameirio utilizzasse la carne della sua clientela, ed è facile l’immaginare quale orrore tale scoperta destasse nella città di Mequinez.

Il sultano di Mequinez appena istrutto del fatto condannò a morte il rosticciere Gameirio ed ordinò che la sentenza fosse immediatamente eseguita. Il mostro venne trascinato nudo per le strade di Mequinez, frustato ad ogni canto di via, e quindi fu ammazzato, tagliando il suo corpo a pezzettini».

Questa notizia che evoca la figura di un serial killer (o di un pluriomicida, secondo altre scuole di pensiero criminologico) non induce nel cronista ferrarese un atteggiamento di superiorità del tipo “Noi siamo popoli civili e da noi cose del genere non avvengono!”. Il commento finale dell’articolo arriva a rivendicare per l’efferato crimine una sorta di primato italiano citando il caso della Jena di San Giorgio Canavese:

«L’orribile rosticciere di Mequinez non ebbe neppure il merito dell’originalità. Molti anni sono, un pizzicagnolo di S Giorgio Canavese fu condannato a morte, perché uccideva gli uomini per farne salami!».

La citazione è inesatta perché Giorgio Orsolano – questo il nome della Jena – in realtà, tra il 1832 e il 1835, ha violentato, ucciso, smembrato tre giovani ragazze: Caterina Givogre, di 9 anni, Caterina Scavarda, di 10, e Francesca Tonso di 14. Avrebbe in parte utilizzato le carni delle prime due vittime per ricavarne prodotti di salumeria. Arrestato qualche giorno dopo l’uccisione di Francesca Tonso (3 marzo 1835), Orsolano è condannato a morte con sentenza del Tribunale penale di Torino (Senato di Piemonte) in data 13 marzo 1835 e viene impiccato il 17 marzo, nel Gerbido di Sant’Anna al di fuori dell’abitato di San Giorgio Canavese.

Impiccato e basta. Nel 1831 il re Carlo Alberto ha cancellato il supplizio della ruota e le «esemplarità» cioè gli incrudelimenti sul corpo del condannato a morte prima dell’esecuzione (applicazione delle tenaglie roventi, taglio della mano destra) e anche sul cadavere del giustiziato (taglio della testa, del braccio destro da appendere al patibolo, squartamento, cremazione con spargimento delle ceneri al vento). Così, malgrado i suoi terribili crimini, per Orsolano non sono messe in atto le disposizioni che in precedenza integravano l’impiccagione, allo scopo di rafforzarne l’effetto deterrente. Incrudelimenti che, a quasi mezzo secolo di distanza, a Mequinez vengono applicati al mostruoso rosticciere Gameirio, in vita e in morte.

Questa citazione della «Gazzetta Ferrarese» fornisce una ulteriore testimonianza della notorietà della vicenda canavesana anche al di fuori dei confini del Piemonte.

Da notare che la sentenza di condanna a morte di Giorgio Orsolano parla di “barbaro e proditorio omicidio” e non fa cenno degli atti di antropofagia che sono stati ampiamente riferiti dalla tradizione orale fin dal momento dell’impiccagione. Le ricerche che ho condotto permettono di affermare che Orsolano, nelle ore precedenti all’esecuzione capitale, ha dichiarato di aver ricavato salumi dalle carni delle sue vittime, affermazione che non è stata registrata e tanto meno verificata dagli inquirenti. Questa notizia si è poi ampiamente diffusa grazie alla trasmissione orale ed è stata raccolta anche da documenti scientifici che prendevano in esame le caratteristiche del cervello del serial killer canavesano.

 

Ringrazio l’amico Fausto Bassini per la segnalazione di questa notizia della «Gazzetta Ferrarese», Anno XXI, Venerdì 25 Settembre 1868, N. 218.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 18/07/2020