A Berlusconi gli frana il partito ora che lo riabilitano. Di Alessandro De Angelis

I tre senatori in fuga sono le prime pietre che rotolano via. Dalla Campania alla Sicilia, fuggi fuggi dei forzisti verso Renzi e Meloni

Se ne va anche Paolo Romani che, ai tempi del berlusconismo trionfante, occupava una delle caselle più sensibili, il ministero dello Sviluppo. Che era un po’ il ministero del “conflitto di interesse”, dove si tutelava Mediaset stando al governo del paese. Era da tempo che covava rancore, da quando Berlusconi lo aveva scaricato nel corso dell’elezione alla presidenza del Senato. Quando uscì la storia della sua condanna a peculato, davanti all’indignazione dei grillini, anche un garantista come Silvio fu costretto a cambiare cavallo.

 

Se ne va al misto anche Gaetano Quagliariello, capogruppo al Senato del Pdl quando il Pdl aveva più senatori della Dc di De Gasperi, una falange che votò di tutto, anche la “nipote di Mubarak”. Assieme a loro anche Massimo Berruti, vicino a Giovanni Toti.

 

Insomma, meno tre. Almeno per ora. Perché, potete scommetterci, la scena clou di questo film, andrà in scena il 22 settembre, giorno dopo le regionali. È lì che si vedrà non quanti se ne vanno, ma in quanti restano. Ecco: la frana. È quel che sta succedendo da quelle parti. Notizia fino a un certo punto, si dirà. Da tempo il vecchio Silvio pare Kagemusha, l’ombra del guerriero tra la clausura di Nizza e un’unica foto che lo immortala alla Certosa, primo scatto dopo mesi che riporta in scena un corpo e non uno spirito. Notizione se accade mentre è in corso, nel paese delle grandi rimozioni, la sua riabilitazione in grande stile.

 

La sinistra lo coccola, i giornali lo blandiscono, gli editorialisti ne parlano come di un padre della Patria: responsabile, liberale, democratico, nemico dei populisti, ragionevole, affidabile. Esattamente l’opposto di quel che, con tante buone ragioni, è stato detto negli ultimi vent’anni: irresponsabile, portatore di un gigantesco conflitto di interessi, violentatore del Parlamento con leggi che gli garantivano gli affari suoi, populista, inaffidabile, moderato o estremista a seconda delle convenienza del momento.

 

Adesso apprezzano tutti, casomai servisse il soccorso al governo. Apprezza anche il Quirinale, mentre Gianni Letta dà garanzie sul proporzionale aspettandosi che tanta cortesia sia ricompensata, come fece il governo Gentiloni, dalla tutela di Mediaset, ora che si deve varare la più grande operazione di sistema degli ultimi anni nel settore delle comunicazioni: una società di controllo pubblico per internet in banda larga, con i soldi di Cdp e le infrastrutture di Open Fiber e Telecom. Evviva, tutti contenti, a partire dal riabilitato che già si vede al centro del gioco quando ci sarà da eleggere il prossimo capo dello Stato.

 

Peccato che rischi di votarselo con pochi intimi, perché il meccanismo di rompete le righe si è innescato ed è destinato a diventare più eclatante quando i numeri alle regionali certificheranno la quasi estinzione.

 

E allora, ci siamo, si salvi chi può: una parte di qua provando a salvarsi con Salvini e la Meloni, come i nostri tre eroi di oggi, un’altra di là. E poiché per entrare in maggioranza pensando alla cadrega non è necessario aspettare Berlusconi, qualcuno si è messo avanti come Vincenzo Carbone, parlamentare campano che si è iscritto al gruppo di Renzi, facendo sapere che altri arriveranno. Di qua e di là. È quel che sta accadendo nelle regioni dove si vota. Guardate la Campania, terra di antichi fasti quando il partito era in mano a Nick ’o merikano  e Gigino a Purpetta (ovvero Nicola Cosentino e Luigi Cesaro).

 

Adesso le liste di Italia Viva sembrano le liste di Forza Italia. Gli ultimi arrivati: Pietro Smarrazzo, fino a cinque giorni fa responsabile regionale dei giovani di Forza Italia, Francesco Guarino, ex consigliere comunale, Gabriele Mundo, altro ex consigliere regionale, Francesco Iovino, vicesindaco della città metropolitana. Praticamente “Forza Italia Viva”. Alla Lega sono passati invece Severino Nappi, che alle scorse politiche era candidato con Forza Italia e Gianpiero Zinzi, ex consigliere regionale. Approdata direttamente con De Luca, senza passare per Renzi Flora Beneduce, vedova dello storico ras democristiano, Armando De Rosa, assessore alla Sanità e ai Lavori pubblici ai tempi del terremoto dell’80, arrestato un paio di volte.

 

Insomma, per farla breve, il partito di Berlusconi in Campania per la prima volta è in difficoltà a fare le liste. In Sicilia non si vota, ma nelle ultime settimane nel catanese oltre trecento tra sindaci e amministratori hanno lasciato Forza Italia per approdare nel partito della Meloni dove ormai c’è il grosso del Pdl dei tempi d’oro. Con loro anche la deputata regionale Rossana Cannata, circa settemila preferenza.

 

La verità è che il flusso più consistente è proprio verso la Meloni che, per evitare ingressi indiscriminati, ha dovuto mettere qualche filtro: no a personaggi discussi, parlamentari senza un voto alla ricerca di un altro giro, insomma “non si prede la qualunque”, ma amministratori seri e con consenso. Solo per stare agli ultimi dieci giorni sono arrivati in Emilia un paio di consiglieri a Rimini e Forlì molto votati, l’ex presidente della provincia di Vercelli, con qualche consigliere e un po’ di assessori sparsi qua e la.

 

In Liguria la campagna elettorale di Fratelli d’Italia sarà coordinata da Michele Scandroglio, già coordinatore regionale del Pdl. E così via. È un classico, le riabilitazioni sono sempre postume (politicamente parlando, s’intende).

 

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Articolo pubblicato il 22/07/2020