Impiego clinico di idrossiclorochina nelle fasi precoci del COVID-19

Le osservazioni del professor Antonio Ponzetto

Il Comunicato stampa dell’Assessorato alla Sanità del Piemonte mette in evidenza la necessità, da parte delle Regioni, di confrontarsi sull’utilizzo “off label” (impiego nella pratica clinica al di fuori delle indicazioni autorizzate dagli Enti Regolatori) del farmaco idrossiclorochina ai malati di COVID-19 in fase precoce.

Tale problematica, data la complessa controversia sui potenziali effetti collaterali del farmaco in questione, deve essere condivisa dall’AIFA (Agenzia Italina del Farmaco).

Infatti le opinioni medico-scientifiche in merito a livello internazionale sono diverse e anche fortemente discordi, facendo prevedere una difficile possibilità di trovare una soluzione condivisa in tempi brevi.

Conseguentemente, in questa generale incertezza, sorge la necessità di formulare protocolli terapeutici che possano garantire sicurezza ed efficacia e che possano essere disponibili il più presto possibile.

Al riguardo proponiamo le osservazioni del professor Antonio Ponzetto che evidenziano aspetti e meccanismi d’azione dell’idrossiclorochina nel contrastare l’infezione parte della SARS-CoV-2, supportati da una ricca bibliografia scientifica internazionale.

 

Nel ringraziare l’Autore, per la sua costante collaborazione, auguriamo una buona lettura dell’articolo che segue (m.b.).

 

Quali sostanze possono essere utili

nelle fasi iniziali della malattia COVID-19

 

Il 1°dicembre 2019 alle ore 07:00 a Torino furono costretti all’evacuazione 9mila abitanti del quartiere di San Salvario e altri 50mila invitati al “lock down”, ovvero a restare chiusi in casa. Questo perché gli artificieri del 32° Reggimento del Genio Guastatori erano incaricati di disinnescare una gigantesca bomba della 2a guerra mondiale.

Se la bomba fosse esplosa gli artificieri sarebbero morti o sarebbero stati feriti, le case circostanti distrutte ed anche i 50mila abitanti della “zona gialla” avrebbero potuto essere colpiti da schegge e vetri esplosi. Se ci fossero stati feriti si sarebbe reso necessario l’intervento delle ambulanze, dei medici, delle ruspe e non più degli artificieri.

Lo stesso accade per l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2: all’inizio è necessario intervenire con mezzi che possano prevenire la replicazione del virus, ma in seguito, quando si sono manifestate le conseguenze dell’infezione e la malattia COVID-19 si è aggravata – cioè è esplosa - a causa della “tempesta di citochine” e della coagulazione intravascolare, si deve intervenire con altri mezzi.

Nel caso di una nuova pandemia causata dal virus SARS-CoV-2, la prima necessità sarà dunque identificare dove è localizzata la bomba - in questo caso il paziente infetto - per mezzo del tampone ed isolare il soggetto e i suoi contatti. Poiché i sintomi iniziali dell’infezione da SAR-CoV-2 sono febbre, tosse, naso che cola, malessere ed astenia, cioè gli stessi dell’influenza, ed ogni anno in Italia il numero di persone con l’influenza “stagionale” varia da 5 a 10 milioni di casi, si deve prevedere un numero di tamponi almeno di questo ordine di grandezza ed un servizio sul territorio capace di eseguire rapidamente un numero enorme di test. Ogni medico di base dovrebbe essere autorizzato a prescrivere o effettuare il tampone immediatamente al primo sintomo simil-influenzale.

Il secondo passo per la prevenzione potrebbe essere l’utilizzo su larga scala di metodi di sterilizzazione degli ambienti, in primis dei mezzi di trasporto pubblici quali metro, bus, treni. Per ora non vengono resi disponibili e quindi si deve ricorrere alla prevenzione individuale: mascherine, disinfezione della gola e delle mani, in attesa dei mezzi per impedire al virus di entrare nelle cellule: questi possono essere sia anticorpi contro la proteina di superficie del virus prodotti da individui guariti (plasma, che tuttavia è molto scarso), sia anticorpi monoclonali ottenuti a partire dai linfociti di malati guariti (numerose ditte li stanno sperimentando), sia i vaccini, che si spera possano essere disponibili entro il 2021 (vedi articolo del 29/05/2020).

Se il virus è riuscito a penetrare nelle cellule i sintomi non iniziano subito quindi sulle prime non lo si sa. L’ideale sarebbe avere a disposizione delle sostanze capaci di inibire la replicazione virale del tutto innocue, da utilizzare fin da subito in caso di sospetto contatto con un malato, in attesa di poter eseguire un tampone. Una tale sostanza è lo zinco, che inibisce l’enzima virale che duplica il genoma, è privo di tossicità per l’organismo e dunque potrebbe essere un agente ideale (1). Purtroppo però lo zinco entra con difficoltà nelle cellule, pertanto è necessario aggiungere una sostanza che lo “spinga dentro”, cioè uno ionoforo.

Ne sono noti due: l’idrossiclorochina (Plaquenil) (2) e la quercetina (3). Quest’ultimo composto è naturale, privo di effetti collaterali noti e quindi facilmente gestibile a domicilio. La idrossiclorochina invece è stata oggetto di diatribe interminabili. Il dilemma sulla sua utilità non è ancora stato affrontato in studi prospettici randomizzati con lo zinco, cioè tenendo conto della sua efficacia in quanto ionoforo, o senza, e neppure in studi sui casi di infezione all’esordio, quando inibire la replicazione può aver successo.

Uno studio retrospettivo sull’ impiego dell’idrossiclorochina, con o senza zinco, è stato condotto in un ospedale a New York, in pazienti ricoverati già con grave malattia conclamata COVID-19: i pazienti trattati con idrossiclorochina più zinco morirono di meno e furono dimessi in maggior percentuale rispetto a quelli trattati con la sola idrossiclorochina (4). Gli studi retrospettivi però non sono conclusivi, anche se danno indicazioni molto importanti sul valore dell’ipotesi prospettata. Inoltre questo studio è stato condotto in soggetti con malattia conclamata ed ospedalizzati, che pertanto avevano già in atto la “tempesta di citochine”, ovvero avevano subito l’esplosione della bomba. Derwand d’altronde riporta che la carenza di zinco è frequente nei pazienti con malattie cardiache e polmonari, nei diabetici e negli anziani (5); perciò in tutte queste condizioni Derwand sostiene sia importante la supplementazione con lo zinco per ridurre la mortalità. Anche Scalny et al. rilevano come la carenza di zinco sia un problema diffuso (interessa circa il 17% della popolazione mondiale ed in Russia fino al 60%) e sia un fattore di rischio per ammalarsi di polmonite causata da svariati agenti infettivi.

Molti studi hanno dimostrato l’efficacia dello zinco nel ridurre la prevalenza delle polmoniti ed anche la loro durata (6). Inoltre la supplementazione di zinco ha effetti anti-infiammatorii ed aumenta la risposta immunitaria. Finzi riportò che la terapia con il solo zinco ad alte dosi ottenne rapidamente la riduzione dei sintomi in quattro pazienti COVID-19 da lui trattati (7). Il numero esiguo di pazienti non permette di trarre conclusioni definitive, ma consente di proporre l’uso dello zinco ad alte dosi, almeno nelle fasi iniziali della malattia, con il sostegno di uno ionoforo, come detto in precedenza.

L’ idrossiclorochina usata da sola in terapia ottenne un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti gravi, ma non intubati. In Spagna Membrillo et al. in una coorte di 166 pazienti riportarono una mortalità del 48,8% nei pazienti che non ricevettero questo farmaco e del 22% in quelli trattati (8). Benché il risultato possa sembrare scarso, si deve ricordare che la mortalità nei pazienti con malattia severa è elevatissima, anche se sono una minoranza fra quelli infettati. Questo lavoro è gravato da svariati problemi. In primo luogo è retrospettivo, inoltre i pazienti che non furono trattati avevano malattie cardiologiche pregresse, che sconsigliavano a priori l’impego del farmaco per timore dell’aritmia che può essere indotta dall’idrossiclorochina e la malattia COVID-19 può di per sé causare o aggravare problemi cardiologici (vedi precedente articolo del 21 maggio).

Klimke et al. ebbero risultati ancor migliori mediante la somministrazione dell’idrossiclorochina per aerosol in pazienti nelle fasi iniziali di malattia (9). L’ipotesi proposta per spiegare il maggior successo di questa modalità di somministrazione è che, posta la capacità del farmaco di inibire l’aggiunta di gruppi glicidici all’enzima ACE-2 e quindi di impedire che ad essa si leghi la proteina di superficie (spike) del virus SARS-CoV-2, bloccando così l’ingresso del virus nella cellula, il farmaco dia il massimo della sua efficacia quando tramite aerosol raggiunge ad alte dosi le cellule più colpite, quelle dell’alveolo polmonare.

Su colture cellulari di cellule polmonari questi ricercatori ottennero la completa inibizione dell’infettività, ma a dosi non proponibili per la terapia orale.

Il fattore limitante per l’uso su larga scala dell’idrossiclorochina è un effetto collaterale non frequente, ma potenzialmente letale: l’allungamento del tratto QT nell’elettrocardiogramma (ECG). Questo può causare aritmie ventricolari e financo la morte. In sostanza, prima di somministrare l’idrossiclorochina e nel corso del trattamento, è necessario controllare l’ECG ed è da evitare la somministrazione ai pazienti con aritmia o con prolungamento del tratto QT.

Quando la malattia si aggrava, si è nella situazione della bomba esplosa. I problemi non sono più la replicazione del virus e la sua diffusione, ma principalmente immunologici e coagulativi. Il paziente viene ricoverato ed a questo punto la terapia con idrossiclorochina per via orale da sola o con un antibiotico associato non sempre fornisce risultati soddisfacenti.

Una recente meta-analisi condotta da Million et al riporta i dati di 4 studi randomizzati oltre a molti studi di coorte, per un totale di 19.270 pazienti esaminati in Cina, Sud Corea, USA, Brasile ed Europa (10). Lo studio prospettico randomizzato è il migliore per decidere sulla possibile efficacia di una terapia, ma nessuno ha studiato le fasi precoci di malattia e men che meno l’aggiunta di zinco.

Nessuno studio finora pubblicato pertanto può essere considerato utile per decidere se utilizzare queste sostanze per le fasi iniziali di malattia, quando l’efficacia - in teoria - è massima. Ciononostante tre dei quattro studi prospettici randomizzati citati da Million hanno dimostrato un significativo effetto favorevole della clorochina (o derivati) anche quando la malattia è già conclamata (10). In particolare la durata della tosse fu molto ridotta con una altissima significatività, ma anche la mortalità totale fu significativamente ridotta. 

Altri studi invece non paiono confermare l’efficacia della clorochina e dei suoi derivati. Un dato certo è che i decessi da COVID-19 sono dovuti in gran parte alla microtrombosi sia polmonare sia cardiovascolare e renale. La trombofilia è strettamente associata al gruppo etnico: gli orientali ne sono meno soggetti degli Europei, mentre gli Afro-Americani lo sono molto di più e la mortalità di questi ultimi rappresenta una parte importante dei decessi negli Stati Uniti. Inoltre è noto che anche all’interno di una data popolazione esistono malattie che ricorrono in alcune famiglie e ciò accade anche per le malattie cardiovascolari.

Questo fatto deve indurre a grande prudenza nell’estrapolare i dati da uno studio condotto in una determinata popolazione ad un’altra con differente base genetica. In Cina l’eparina a basso peso molecolare a dose profilattica fu dimostrata efficace nel ridurre la mortalità dei pazienti con malattia COVID-19, ma la sua efficacia nelle altre popolazioni deve essere riconsiderata (11). 

In conclusione.

È consigliabile portare con sé disinfettanti per la cavità orale, per esempio clorexidina 1%, oppure argento colloidale ed utilizzarli tre-quattro volte al giorno. Quando un individuo o il suo medico, sospetta di aver avuto un contatto con un paziente COVID-19, oppure ha i sintomi precoci della malattia, è indispensabile porre diagnosi al più presto possibile.  Mentre si attende di sapere la risposta è opportuno mettere in atto una difesa che potrebbe ridurre la replicazione del virus SARS-CoV2:

1)-zinco acetato 20 mg ogni 12 ore insieme a  

2)- quercetina 500 mg ogni 12 ore

3)-vitamina D3 in particolare per chi ha più i 50 anni.

In Piemonte molto spesso le persone di mezza età ed oltre sono carenti di questa vitamina.

Se la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 è certa, si può aumentare la dose giornaliera di zinco (attenti alla possibile nausea causata da alte dosi) e aggiungere alla precedente – dopo aver accertato l’assenza di aritmie e di alterazioni all’ECG, 4) - idrossiclorochina (Plaquenil) 200mg 2 compresse insieme ogni 12 ore il primo giorno, seguito da 200mg mg ogni 12 ore.

Se compaiono segni di ostruzione vascolare o si è già sofferto di una patologia cardiovascolare, oppure renale o polmonare cronica, diabete non controllato, è consigliabile iniziare una terapia anticoagulante e controllare il livello di D-dimero. 

            

Bibliografia

1-te Velthuis AJW, van den Worm SHE, Sims AC,  Baric RS,  Snijder EJ,  van Hemert MJ.   Zn2+ Inhibits Coronavirus and Arterivirus RNA Polymerase Activity In Vitro and Zinc Ionophores Block the Replication of These Viruses in Cell Culture. Plos Pathogens 2010; https://doi.org/10.1371/journal.ppat.1001176

2-Xue J, Moyer A, Peng B, Wu J, Hannafon BN, Ding WQ.  Chloroquine Is a Zinc Ionophore.  PLoS One. 2014; 9(10): e109180.   doi:https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4182877/pdf/pone.0109180.pdf0.1371/journal.pone.01091803-

3-Dabbagh-Bazarbachi H, Clergeaud G, Quesada IM, Ortiz M, O'Sullivan CK, Fernández-Larrea JB. Zinc ionophore activity of quercetin and epigallocatechin-gallate: from Hepa 1-6 cells to a liposome model. J Agric Food Chem. 2014;62(32):8085-93.  doi: 10.1021/jf5014633.     https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25050823

4- Carlucci PM, Ahuja T, Petrilli C, Rajagopalan H, et al. Hydroxychloroquine and azithromycin plus zinc vs hydroxychloroquine and azithromycin alone: outcomes in hospitalized   COVID-19 patients. MedRxiv 2020 : https://doi.org/10.1101/2020.05.02.20080036

5-Derwand R, Scholz M. Does zinc supplementation enhance the clinical efficacy of chloroquine/hydroxychloroquine to win today's battle against COVID-19? Medical Hypotheses. 2020; 142,1098 sept https://doi.org/10.1016/j.mehy.2020.109815

6- Skalny A, et al, Zinc and respiratory tract infections: Perspectives for COVID?19 (Review), Internat J Molec Med. 2020. DOI: 10.3892/ijmm.2020.4575

7-Finzi E. Treatment of SARS-CoV-2 with high dose oral zinc salts: A report on four patients. Internat J Infect Dis 2020.  DOI: 10.1016/j.ijid.2020.06.006

8-Membrillo FJ, Ramirez-Olvencia G, Estebanez M, de Dios B, Herrero MD, Mata T, et al. Hydroxychloroquine is associated with increased survival of COVID-19 patients: an observational study. Preprint  2020 doi:10.20944/preprints202005.0057.v1

9-Klimke A, Hefner G, Will B, Voss U. Hydroxychloroquine as an aerosol might markedly reduce and even prevent severe clinical symptoms after SARS-CoV-2 infection. Med Hypotheses. 2020; 142:109783. 

10-Million M, Gautret P, Colson P, Roussel Y, Dubourg G, Chabriere E, et al. Clinical Efficacy of Chloroquine derivatives in COVID-19 Infection: Comparative metaanalysis between the Big data and the real world. New Microbes and new https://doi.org/10.1016/j.nmni.2020.100709https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2052297520300615

11- Tang N, Bai H, ChenX, Gong J, Li D, Sun Z. Anticoagulant treatment is associated with decreased mortality in severe coronavirus disease 2019 patients with coagulopathy.  J Thromb Haemost. 2020; 18:1094–1099. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/jth.14817

12-High dose vitamin D supplementation increases short term survival clinical trials vitamin D3 Am J Physiol, Endocrinol Metabolism

Antonio Ponzetto - Professore di Gastroenterologia

Dipartimento di Scienze Mediche - Università di Torino

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Articolo pubblicato il 03/08/2020