Rosicrucianesimo, Royal Society, Newton: una storia da narrare

Un articolo del Gran Maestro Emerito della Gran Loggia d'Italia, Prof. Antonio Binni

Johan Valentin Andree, nella sua celebre opera Le Nozze Chimiche di Cristian Rosenkreuz si è affannato a ripetere che i Rosa-Croce, come istituzione, non sono mai esistiti.

Ciò non di meno, la vulgata accredita, invece, il contrario. Anche se poi è costretta a riconoscere che la mistica società rimane avvolta nel mistero, essendone ignoti i nominativi, oltre che i luoghi della affermata azione.

L’idea della sua esistenza è dura a morire. Tanto che molti – sia pure a vario titolo – se ne proclamano ancor oggi successori. Decisiva smentita a questa prospettazione è tuttavia costituita dalla constatazione della assoluta mancanza di una qualsiasi prova, tanto documentarla, quanto testimoniale, attestante l’esistenza di un Ordine rosa-cruciano. La conclusione storicamente valida depone, dunque, nel senso che i Rosa Croce, come organizzazione strutturata, non sono mai esistiti.

Ciò che invece è sicuramente esistito è stato il rosicrucianesimo e la sua straordinaria influenza in una Europa tormentata, stretta, com’era, fra devastanti guerre religiose e il sorgere di un nuovo modo di pensare. In questo contesto così ricco di fermenti i Rosa Croce rappresentano una nuova aurora, in quanto incarnano la speranza utopica di un mondo nuovo, fondato sulla saggezza e l’amore del prossimo, soprattutto su di una religione condivisa, con al centro e al primo posto l’uomo.

Nonostante il suo naufragio politico conseguente alle vicende del Palatinato, il movimento rimane integro con la sua libertà di pensiero, con la sua aspirazione ad una nuova scienza, anticipazione di quell’Illuminismo che si affermerà poi un secolo più tardi, a controaltare dell’isteria all’epoca dominante contro la stregoneria. Si deve insistere sull’aspetto religioso del crucianesimo, per certo il più importante.

L’alchimia ebbe perciò una sorta di preferenza in quanto la più adatta all’esperienza religiosa; ma i temi dominanti furono tanti: la Qabbalà, la magia, la matematica, la fisica, la meccanica, l’astrologia, la medicina, tutti innestati nella tradizione ermetica rinascimentale. Questo diverso atteggiamento nei confronti del sapere ebbe risvolti diversi in Inghilterra, Germania e Boemia.

Questo nuovo modo di pensare e di sperare ebbe l’effetto – ed è questo il fenomeno che qui interessa – di indurre comunità di dotti a costituire gruppi di studio – sul modello dell’accademia rinascimentale (fiorentina) e di quella praghese (la corte “ermetica” di Rodolfo II) – volti ad approfondire singoli interessi, circoli segreti e, comunque, volti al progresso del sapere, con l’obbligo di comunicarsi vicendevolmente le rispettive scoperte. In questo contesto – e con questo spirito – si innesta l’iniziativa di dodici gentiluomini e eruditi e accademici di Oxford e Cambridge di riunirsi a Oxford nelle stanze del Wadham College nell’alloggio del docente John Wilkins per discutere, a cadenza irregolare, le idee più innovative in ambito scientifico emerse in Europa e scaturite dai loro rispettivi contatti.

Le riunioni, allo scopo dichiarato di discutere il pensiero di Francis Bacon, si protrassero tra 1648 al 1649, quando il gruppo si trasferì a Londra al Gresham College, dove formò il nucleo della Royal Society, istituita nel 1660, salvo ricevere solo nel 1662 il suo nome ufficiale e l’approvazione del Sovrano con decreto reale di Carlo II. Un secondo decreto, l’anno seguente, le concesse stemma e motto, quest’ultimo tratto da Orazio Nullius in Verba.

Il suo primo presidente fu William Brouncker. E ora interessante notare che fra i membri promotori del gruppo c’erano due iscritti alla massoneria, Elias Ashmole (profondo conoscitore del rosicrucianesimo) e Robert Moray che, più di ogni altro, si prodigò per promuovere l’istituzione della Royal Society e per persuadere Carlo II a fondarla sotta la sua protezione. Il che dimostra che l’organizzazione massonica era chiaramente in attività almeno vent’anni prima della fondazione della Royal Society, risalendo l’ammissione di Robert Moray alla loggia massonica di Edimburgo il 20 maggio 1641 e quella di Ashmole alla loggia di Warrington il 16 ottobre 1646.

In famose lettere del 1646 e 1647 Robert Boyle aveva denominato il gruppo di studio della filosofia naturale, al quale si dedicava, come il “Collegio Invisibile” con un termine, cioè, rosacruciano, a conferma, definitiva, della forte influenza dello spirito rosacruciano sul gruppo; ma pure a riprova che il rosicrucianesimo, la massoneria e la Royal Society erano fra loro sovrapposti, a tal segno da divenire fra di loro come entità indistinguibili praticamente e di fatto.

Solo così può infatti spiegarsi la naturalezza del pranzare insieme fra membri di tre società esoteriche diverse nelle specie, l’antica Confraternita dei Rosa Croce, gli Adepti Ermetici e l’Associazione dei Massoni accettati, convivialità risalente al 31 novembre del 1676. Un simile evento può infatti spiegarsi solo partendo dal presupposto che, per quanto diverse, tutte e tre le organizzazioni avessero caratteri comuni e l’identico fine di far nascere l’aurora di una nuova era.

Quando la Royal Society trasferì la propria sede al Gresham College, gli incontri furono meticolosamente organizzati intorno alla lettura di scritti, seguita poi da una discussione generale fra i membri intervenuti. In seguito, furono aggiunte anche regolari dimostrazioni. La regola di non discutere nelle riunioni questioni di politica e religione, ma solo di problematiche scientifiche, fu poi una saggia precauzione perché la caccia alle streghe e le tensioni politiche erano ancora fatti del presente. Quanto al metodo, prevalse la raccolta e la verifica dei dati scientifici, secondo l’insegnamento di Bacon.

Nell’arco di qualche anno dalla sua fondazione, la Royal Society divenne il punto di riferimento di tutta la vita scientifica inglese, il che fu inevitabile pure per Newton. Da padre agricoltore analfabeta e da madre attenta amministratrice della fattoria, il 4 gennaio del 1643, nel villaggio di Woolsthorpe, nacque Isaac Newton, orfano del padre, premorto proprio in imminenza del parto. Fu un bambino schivo, chiuso in sé stesso. Iscritto con mala voglia materna al Trinity College il 5 giugno 1661, Newton fece il suo ingresso nel College dal gradino più basso della scala sociale. In quanto subsizar era infatti poco più di un servitore, dal momento che pagava la propria retta vuotando i vasi di notte e pulendo le camere agli studenti privilegiati.

Fu uno studente solitario, modesto negli studi, tanto da non attrarre l’attenzione dei suoi docenti. Nella primavera del 1665 si diplomò conseguendo il baccalaureato con una votazione di seconda classe. Da quel momento inaspettatamente iniziò una carriera accademica strepitosa. Dalla sua immatricolazione a Cambridge in appena otto anni divenne infatti titolare della cattedra lucaniana di matematica cedutagli alla verde età di ventisei anni il 29 ottobre 1669 dal suo mentore Barrow. Da quel momento (1669) era ormai diventato il matematico più all’avanguardia dei suoi tempi. Nel frattempo, e nel più rigoroso riserbo, trascorreva notti insonni davanti al forno, fino a far diventare i suoi capelli, che portava lunghi sulle spalle, prematuramente ingrigiti, a furia di sperimentare con il mercurio.

Quando morì, si scoprì che possedeva la collezione di testi alchemici più bella e completa mai raccolta prima. Ben 138 volumi di alchimia, a conferma di un interesse che, secondo alcuni, gli era stato pure molto utile per realizzare le scoperte realizzate da scienziato. Ma questa è un’altra storia, sulla quale qui non possiamo intrattenerci per essere la nostra analisi dedicata ad altro: il rapporto istauratosi fra Newton e la Royal Society, caratterizzato invero da frizioni e criticità. Quando Newton presentò all’attenzione della Royal Society il suo lavoro dedicato alla “Teoria della luce e dei colori”, prima di essere, secondo consuetudine, presentato alla riunione plenaria fu stroncato dal relatore Hooke, con il quale nacque uno scontro aspro tanto sul piano personale, quanto professionale.

L’astiosa rivalità prosegui fino alla morte di Hooke avvenuta nel 1703 perché, senza voler ricontare le critiche feroci di Hooke alla teoria di Newton sulla rotazione quotidiana della terra intorno al proprio asse, fu sempre Hooke, divenuto nel frattempo Segretario della Royal Society, a manovrare perché il consiglio della società rifiutasse l’approvazione alla pubblicazione, a proprie spese, dei Principia mathematica, poi, finalmente concessa.

L’opera, il più importante contributo scientifico non solo del secolo, vide così la luce nel luglio del 1687. Il libro, che pure conobbe recensioni negative, riscosse tuttavia un tal successo da permettere alla immagine di Newton un profondo mutamento. Da studioso, schivo e riservato, Newton fu trasformato in un uomo pubblico tanto da diventare membro del Parlamento, sia pure per un anno soltanto, dove prese la parola una volta soltanto per pregare l’usciere di chiudere una finestra aperta dalla quale gli proveniva una fastidiosa corrente d’aria.

Solo due giorni dopo essere stato eletto al Parlamento, sedette a pranzo con Guglielmo d’Orange, arrivato a Londra da poco più di un mese per sostituire il fuggiasco Giacomo II. Fu sempre in questo periodo che Newton si vide offrire la posizione di rappresentante della Università di Cambridge a Westminster. Ma l’autentica consacrazione del suo successo gli venne dalla amicizia con John Locke, a tal segno da essere entrambi considerati i pilastri sui quali venne edificata l’Età della Ragione.

Nel 1703 la Royal Society era in uno stato penoso. La cattiva direzione aveva portato la società sull’orlo della bancarotta. Futili liti fra membri influenti avevano causato divisioni e inimicizie. Nello svolgimento dei lavori si era persa gran parte dell’etica originaria. Occorreva pertanto porre un freno alla tendenza, che fu trovato con l’elezione di Newton prima a membro e poi subito dopo alla sua scelta come Presidente della Società (30 novembre 1703), provvedimento da lungo tempo atteso, in precedenza bloccato da meschine rivalità. La nomina di Newton a Presidente della Società fu un punto di svolta per le sorti della Royal Society, altrimenti destinata alla disintegrazione nel giro di un decennio.

Le notevoli capacità amministrative di Newton impressero una svolta quasi immediata, tanto da divenire nel tempo un modello di come la scienza deve essere condotta. Quanto ai lavori furono di nuovo improntati al dovuto rigore. Durante i ventiquattro anni della sua presidenza, Newton mutò l’immagine della società (impiegò portieri in livrea con il blasone della società d’argento) e soprattutto il funzionamento interno con regole (c.d. Ordini del Consiglio) dettate per ordine e decoro. Valutandone l’operato nella sua qualità di presidente è doveroso riconoscere che pesarono in termini negativi i suoi metodi dittatoriali e il suo aperto favoritismo nei confronti dei suoi giovani discepoli.

In termini altrettanto doverosi si deve però ugualmente riconoscere che l’affermarsi della fama di Newton ebbe un effetto largamente positivo per la vita e l’affermazione scientifica e sociale della Royal Society, protrattosi fino ad oggi.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 04/08/2020