La scoperta, la conquista e l'evangelizzazione del Nuovo Mondo - Parte 2
Alberto Caturelli

Due lettere fondamentali per comprendere la grande storia che stiamo raccontando

I conquistadores e i missionari insieme compiono un vero atto di fondazione, costruendo case e chiese, promuovono l'agricoltura e l'allevamento degli animali, creano scuole di arti e mestieri, aprono ospedali, numerosi centri di carità, fondano collegi e università, ben 33 in tutto il territorio iberoamericano, erigono intere città. E' interessante soffermarsi sulla fondazione dell'America, sul fondare mediante il meticciato, da parte di questi cavalieri-cristiani-conquistatori, Caturelli lo fa elencando minuziosamente per nome, anno dopo anno, la fondazione di città.

 

Un capitolo interessante è scoprire la metodologia della missione dei frati francescani prima e poi dei domenicani. In particolare nel libro si descrive come i religiosi hanno fatto abbandonare la barbara ferocia e crudeltà disumana dei cosiddetti sacrifici umani che abitualmente praticavano gli atzechi. Anche qui il libro riporta la polemica nata all'interno dei missionari tra il vero paladino degli indios, quel fra Toribio de Benavente, detto “Motolinia”, poco conosciuto, e l'altro frate, il noto, Bartolomè de Las Casas.

 

Sono fondamentali due lettere per comprendere la grande storia che stiamo raccontando. La prima quella di Julian Garces, primo vescovo di Tlaxcala al Papa Paolo III intorno al 1536 e poi quella di Motolinia inviata nel 1555 all'imperatore Carlo V°.

La lettera di Garces ha tre preoccupazioni fondamentali: il nuovo gregge, quello dell'America; il suo passaggio alla cultura cristiana e il futuro della nascente Chiesa. Quello che preoccupa Garces è la necessità di respingere l'opinione che gli indigeni sono incapaci «di ricevere l'evangelizzazione e perciò non idonei ad essere incorporati alla Chiesa». Questo è il contrario del comando di Cristo: “predicate a tutte le creature...”. Il battesimo non si può negare a nessuno.

 

Mentre la lettera del “povero” degli indios messicani,  Motolinea, contiene quattro temi, sui quali per Caturelli conviene riflettere: l'informazione sul vero stato degli indios prima della predicazione, la critica forte a fra Bartolomé Las Casas, la difesa di Cortes e in lui il conquistatore in generale, e infine una breve teologia della storia delle Indie.

Motolinea conosce bene gli indios sia storicamente che culturalmente al contrario di Las Casas. Motolinea ricorda che i messicani «'ogni giorno ed ora offrivano ai demoni sangue umano in tutte le parti e fra tutte le genti di questa terra': donde l'urgenza di 'impedire e di far abbandonare questa ed altre abominazioni', peccati, offese a Dio[...]».

 

Motolinea nel suo trattato de la “Historia de los indios de la Nueva Espana”, descrive il grande numero di conversioni dopo la predicazione e l'esempio dei missionari. Ciò che indigna fra Toribio è la“Brevisima relacion sobre la destrucion de las Indias”, di Las Casas, una pietra fondamentale delle calunnie contro la Spagna, tradotta nelle principali lingue a servizio dei nemici della Spagna e della Chiesa cattolica.

 

Motolinea smonta tutte le calunnie di Las Casas, che non conosceva a fondo la lingua e la cultura degli indios. Nella lettera il frate, si occupa in modo speciale di Hernan Cortes e soprattutto di rendergli giustizia, dopo le calunnie raccontate da Las Casas. Sui cavalieri-conquistatori, Caturelli si basa sulle testimonianze di fra Toribio Motolinea, che su Cortes dice: «sebbene come uomo fosse peccatore, aveva fede, ed opere da buon cristiano». E questo è tipico della lotta del cristiano, che deve liberarsi dalla zavorra dell'uomo vecchio, che deve essere quotidianamente vinta dall'uomo nuovo. «Il militare spagnolo in America  - come ben dice Ramiro de Maeztu - aveva coscienza che la sua funzione essenziale e importante era prima solo in ordine di tempo, ma che l'azione fondamentale era quella del missionario che catechizzava gli indios[...]».

 

Sempre su Cortes, Motolinea racconta che egli «s'adoperò molto affinché si trasmettesse agli indios la conoscenza di Dio vero e affinché si predicasse loro il santo Vangelo. Con questo intento cercava di distruggere l'idolatria e gli idoli, elevava la croce dovunque arrivasse con i suoi stendardi che esponevano la rossa croce in campo nero». Motolinea insiste: «grazie a questo capitano Dio ci aprì la porta per predicare il suo santo Vangelo».

 

A questo punto Caturelli invita a riflettere sul significato della bandiera di Cortes,  «recava una croce rossa su un campo nero, tra fiamme azzurre e bianche, e la scritta diceva: 'amici, seguiamo la croce di Cristo, che se noi avremo fede, in questo segno vinceremo». Per Caturelli, naturalmente questa bandiera implica sicuramente che i conquistadores, erano convinti di fare una crociata. «Si tratta dunque di una 'militia Christi' simile a quella delle crociati [...]». Certo lo spirito dei crociati c'era nei conquistadores che avevano appena finito di combattere in Spagna per liberarla dai musulmani, e tra l'altro fa notare Garcia Morente: «il cavaliere spagnolo fu l'unico che non dovette uscire dalla sua terra per combattere per la propria fede».

 

Caturelli ricorda a noi credenti che «ogni cristiano in quanto 'cristoforo' porta impressa l'insegna della croce, non solo sull'abito, ma sull'anima [...]in questo senso si può dire che ogni cristiano cattolico che ha fede e opere in quanto tale è un crociato». Caturelli si rende conto che questa sua espressione genera come minimo l'ilarità da parte del mondo edonista e secolarizzato di oggi.

 

Certamente il professore sa che il conquistatore erano peccatori, c'erano quelli perversi, ben lontani dall'essere dei “cristofori”, era un'immagine del tutto contraria del soldato cristiano. A questo proposito Caturelli cita Francisco Morales Padron, uno storico che ha scritto un libro sui conquistadores, dove si evince che stanno agli antipodi sia del liberalismo capitalista, che del socialismo collettivista, pertanto questo cavaliere-cristiano-conquistatore oggi è rifiutato. Pertanto secondo Padron non bisogna diffondere “né leggende nere, né leggende rosa”. Quegli uomini erano figli del loro tempo, del loro ambiente, non erano scalmanati assassini. Essere “Conquistador”, anziché essere un titolo infame, come ripetono molti ancora oggi sotto gli influssi ideologici, «era un titolo d'onore e virile, da vero fondatore di popoli». E' una nozione che ha sostenuto Pio XII quando disse all'ambasciatore del Perù:

 

«Quello peruviano è un popolo la cui storia fu forgiata con epiche forze da quei titani della fede, robusta come le loro braccia infaticabili nella lotta o come i loro petti fasciati d'acciaio...».

Infine Caturelli riporta le parole del Magistero, da Alessandro VI° a Leone XIII° e quindi fino a Giovanni Paolo II, dove emerge in sintesi che la Spagna è una nazione eletta da Dio come strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo […] vera 'proclamatrice del Vangelo ai popoli scoperti».

 

Infatti i teologi spagnoli come Vitoria, Soto, Carranza, Covarrubias e molti altri, vedevano nel fine dell'espansione ispanica, la conquista del mondo alla fede cattolica. «Il tema della storia spagnola nei due secoli XVI e XVII è la cattolicizzazione del mondo; conquistata la penisola per la fede restava da conquistare il mondo per Cristo. Don Chisciotte cristoforo si scaglia, in una mano la lancia in resta e nell'altra la croce di Cristo, per queste strade e mari di Dio, dal Rio Bravo a capo Horn, dal Messico alle Filippine, missione completamente estranea ai pusillanimi, 'prudenti' e 'ponderati'[...]».

 

Tutti i Papi hanno scritto e messo in rilievo l'opera benefica di evangelizzazione della Spagna nel Nuovo Mondo. Lo ha fatto Urbano VIII, Pio IX, Leone XIII quando promulgò l'enciclica “Quarto abeunte saeculo”, un documento che si concentra principalmente sulla figura storica di Colombo e sul fine evangelizzatore dell'impresa della scoperta: «l'impresa più grandiosa e bella che si sia potuto vedere».

Gratitudine verso la Spagna manifesta anche Pio X e poi Pio XI nell'allocuzione al re di Spagna Alfonso XIII, affermava che «il re e il popolo spagnolo si sono offerti 'come crociati veri' per la difesa della santa causa di Dio e della sua Chiesa e diedero impulso non solo alle ' sante battaglie della Reconquista' e alle prove dell'Elba e di Lepanto, ma anche nella 'meravigliosa epopea' della scoperta e della conquista che aprirono il Nuovo Mondo alla fede cattolica»(19 novembre 1923)

 

Poi Pio XII definito il papa dell'Ispanidad, non ha lesinato elogi ai re cattolici che con le loro imprese hanno propagato le fede e l'accrescimento del regno di Cristo sulla terra. E facendo riferimento ai conquistatori spagnoli, che diedero i nomi a città, li ha definiti tutti, “antichi e valorosi paladini”.

Anche Giovanni XXIII ha esortato i cattolici i fedeli dell'America a «coltivare la vostra fede, quella portata dai vostri missionari della cattolica Spagna».

 

L'opera di evangelizzazione e civilizzazione degli indigeni, è stata benedetta, appena dieci anni dopo la conquista del Messico nel 1531, dalla Vergine Maria, «quando già erano state deposte le frecce e gli scudi, quando da tutte le parti c'era pace fra i popoli», apparendo all'indio Juan Diego sul colle del Tepejac. I tratti del volto della Madonna non sono né di tipo europei, né di tipo indio, ma piuttosto meticcio, prefigurando la futura e originale civiltà, la Cristianità indiana (L'Ibero-America) nata dall'integrazione razziale tra spagnoli e indios. E' l'atto finale di questa lunga e suggestiva storia, «Maria è al centro della storia universale e all'inizio della storia del Nuovo Mondo», scrive Caturelli, in qualche altra occasione racconteremo il “Vangelo di Guadalupe”.

 

Non è esagerato scrivere che il libro di Caturelli oltre ad essere una apologia della scoperta e della conquista, è anche un'apologia della missionarietà della Chiesa. Inoltre è  anche un invito a tutti noi cristiani ad essere dei nuovi cristofori, per trasformare il mondo.

 

 

                                                             

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Articolo pubblicato il 06/08/2020