Due minuti d’odio

Giustizialismo e moralismo ai tempi del virus.

Abbiamo in più occasioni citato Orwell come paradigma per comprendere meglio il periodo storico che stiamo attraversando. E’ incredibile come la capacità visionaria dello scrittore inglese abbia prodotto figure, idee, personaggi che ritroviamo oggi nella nostra vita quotidiana, talvolta anche in aspetti apparentemente insignificanti.

Dopo il Ministero della Verità chiamato a vigilare sulle opinioni devianti dalla teologia di regime attraverso commissioni a caccia di fake news. Dopo il Bipensiero che nega oggi quello che si è affermato ieri e affermerà domani quello che si nega oggi (ogni riferimento a certe formazioni o personaggi politici attuali è decisamente voluto). Dopo la Neolingua che, attraverso un progressivo impoverimento semantico, detta i codici espressivi e di pensiero della contemporaneità cambiando e violentando il significato delle parole. Dopo il Grande Fratello che tutto vuol vedere e conoscere della nostra vita, dei nostri comportamenti, della nostra salute. Dopo il blocco informativo che fa filtrare solo le notizie gradite al potere e sopprime tutte le altre. Dopo tutto questo sono arrivati anche i Due Minuti d’odio.

Chi ha letto 1984 ricorderà che nel mondo distopico di Oceania vengono periodicamente organizzati i “Due Minuti d’odio”, manifestazione in cui le persone sono forzatamente radunate per lanciare insulti verso Emmanuel Goldstein, il nemico del popolo, che attraverso grandi schermi viene offerto al disprezzo  organizzato della gente.

Nell’italietta di ieri e di oggi questa procedura, forse non così teatrale ma comunque reale e insidiosa, è stata attivata in diverse occasioni: ieri contro Craxi e Berlusconi, oggi contro Salvini, Trump, Putin,  Bolsonaro, cioè contro i nemici (non avversari) dei progressisti nostrani.

Nei giorni scorsi però i Due Minuti d’Odio si sono concentrati con una ferocia inconsueta contro alcune specifiche persone, in un primo momento non identificate e poi individuate con nome e cognome.

Si tratta ovviamente dei cinque parlamentari che hanno chiesto, e in alcuni casi ottenuto, il famoso bonus  di seicento euro destinato alle partite IVA per sostenerle nel disastro Coronavirus. Parlamentari a cui si sono aggiunti rapidamente consiglieri regionali, sindaci e altri amministratori locali.

Contro di loro è stato montato un arsenale di insulti che vanno dal bonario “furbetti” ai virulenti “sciacalli” e “infami” di una distinta parlamentare di Forza Italia e ai “criminali” e “traditori danteschi” di un noto storico solitamente adagiato in una snobistica pacatezza. Espressioni più o meno isteriche sono salite da altri esponenti della società civile, che in questo caso è discesa a livelli del tutto incivili, e dal popolaccio dei social che, con linguaggio postribolare, è quasi giunto ad invocare la pena di morte.

I Due Minuti d’Odio sono diventati giornate intere con i fuochisti dei mezzi di comunicazione che gettavano continuamente, e con molto compiacimento, palate di carbone nel forno dell’indignazione sociale. Uno spettacolo decisamente indegno, soprattutto se si pensa che sicuramente molti di questi talebani dell’onestà sono evasori fiscali, percettori di sussidi indebiti , magari falsi invalidi. “I nomi! I nomi! vogliamo i nomi!” gridavano i giustizialisti rabbiosi.

Inutile dire che i parlamentari non avevano commesso alcun illecito, che la legge che attribuiva i bonus senza prevedere un limite reddituale ai richiedenti era un obbrobrio giuridico e sociale, che altri bonus di diversa natura erano stati ugualmente attribuiti senza tale limite ad una moltitudine di persone diverse, fra cui certo molti benestanti, che non esisteva alcun dovere di mettere in piazza nomi e cognomi e molto altro ancora. La furia giustizialista traboccava dai mezzi di comunicazione accompagnata da un moralismo oleoso e rancoroso.

Quello che senz’altro era stato un comportamento riprovevole e una mancanza di buon gusto da parte dei parlamentari è stato trasformato in un crimine contro l’umanità. Visto che non si poteva applicare a loro nessuna sanzione amministrativa o penale, si sono invocate sanzioni immaginarie dettate come al solito dalla percezione che ognuno di noi ha del bene e del male, con tutto l’arbitrio, la vaghezza, la soggettività che questo comporta: dimissioni immediate, incandidabilità, restituzioni pecuniarie,  autodafé pubblici. Il tutto con la compiaciuta esultanza delle varie tricoteuses giornalistiche e televisive. Vero e incontestabile populismo nazional-repubblicano portato avanti da molti che, quotidianamente e implacabilmente, contestano i populismi altrui.

L’episodio in sè non passerà certo negli annali della storia universale e fra qualche settimana nessuno se ne ricorderà più. Eppure è significativo, e anche da esso si possono trarre alcuni insegnamenti. Il principale è che quando l’indignazione popolare, più o meno giustificata, più o meno razionale, si sposa al moralismo mediatico, all’incultura dei social e all’ipocrita giustizialismo dei politici ne nasce un cortocircuito democratico decisamente sgradevole e preoccupante che si aggiunge a tutti gli altri episodi di degrado politico e istituzionale che abbiamo vissuto recentemente.

Non ne sentivamo proprio il bisogno.

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Articolo pubblicato il 18/08/2020