Addio Dottore!

La scomparsa di Cesare Romiti

E’ una notizia che colpisce, perché il dottor Cesare Romiti, deceduto a Roma  da poche ore, all’età di 97 anni, anche dopo aver lasciato ruoli prestigiosi alla RSC ed a capo della Fondazione Italia Cina, con scritti, ricordi ed interviste, manteneva con discrezione la sua presenza, con la lucidità e la coerenza che lo contraddistingueva.

In queste ore, si sta già leggendo di tutto. Purtroppo, a prescindere da analisi e giudizi rispettabili e autorevoli, colpisce la superficialità con la quale, fatti salienti della sua opera manageriale, da taluni vengano travisati. C’è ancora qualche accidioso vegliardo mal vissuto, che dopo essere stato ampliamente beneficiato, ottenendo, grazie al suo personale intervento, ambite posizioni in Enti pubblici estranei alla Fiat, si sta prodigando nello stilar meschinità oltretutto non veritiere. Miserie!

Ma prima di ricordare qualche tratto saliente della sua permanenza alla tolda della Fiat, vorrei ricordare l’Uomo, la sua sensibilità non comune.

L’Uomo dall’aspetto talvolta burbero che, anche in un conforto serrato su tematiche aziendali, ove si indicavano obiettivi, scadenze  e aspettative, non mancava, a contatto con i suoi manager di toccare aspetti umani, rispettoso e, a volte quasi scusandosi se, l’adempimento di delicati incarichi, avesse potuto distogliere l’attenzione del collaboratore, rispetto a problemi di famiglia o di salute. In quante occasioni, nel congratularsi con qualche collaboratore per i risultati, anche  insperati ottenuti, prima di rituffarlo nel gorgo degli impegni, lo mandava in vacanza usando il suo imperio convincente, ma deciso!

Arrivato a Torino, nel 1974, con già solide esperienze manageriali alle spalle, in un momento durissimo per le finanze della Fiat, ricopri l’incarico di direttore centrale per la Finanza, per poi essere investito del ruolo di Amministratore delegato ed infine di Presidente. Acquisì ben presto lo stile sabaudo che l’avvocato Agnelli in ogni occasione sapeva infondere e nei suoi 25 anni, la   Fiat crebbe in dimensioni, business e profitti.

Il primato dell’azienda, diventò il must, perché salvare la Fiat, promuovere nuovi modelli o uscire da vertenze difficili, significava tutelare il lavoro di migliaia di operai.

La Fiat ha vissuto anche momenti difficili in quei lunghi anni. Fuori c’erano tribuni sindacali che pretendevano d’insegnare “un modo nuovo di fare automobili”. Le casse aziendali erano vuote ed  è stato necessario anche acquisire azionisti di peso, quali i libici di Laifico. Poi si è attraversata la lunga stagione del terrorismo, quando Romiti ha subito un tentativo di sequestro ed i suoi manager ogni giorno erano sotto il tiro dei terroristi. I terroristi rossi ammazzarono Carlo Casalegno vice direttore de La Stampa e Carlo Ghiglieno, alto dirigente della Fiat Auto e ferirono anche gravemente oltre sessanta dipendenti di ogni livello. In Fiat regnava il terrore e lo Stato era assente. Ma lui procedeva imperterrito, perché la Fiat non poteva soccombere.

Tra qualche mese ricorderemo la “Marcia dei quarantamila” che il 14 ottobre del 1980, segnò una svolta radicale, non solamente nella vita dell’azienda. Si riscattò la volontà dei lavoratori ad ogni livello che pretendevano di esercitare il diritto al lavoro, ostacolato da ben 35 giorni, con ogni mezzo, dalla violenza squadrista di gruppi e sindacati capitanati dall’allora segretario del partito Comunista Enrico Berlinguer. Il segretario del PCI, in un comizio a Mirafiori arrivò ad assicurare l’appoggio politico del partito, qualora il consiglio di fabbrica avesse deciso di occupare l’azienda. Mossa improvvida per un leader politico della statura di Berlinguer!

I comunisti erano convinti di vincere a Torino ed instaurare il comunismo in Italia, ove i governi duravano pochi mesi ed il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani era noto per la sua debolezza.

Vicenda complessa sulla quale torneremo. La fermezza di Romiti e dei suoi collaboratori, favorì la svolta delle relazioni industriali all’interno dell’azienda e nel Paese.  Nasceva in quel giorno a Torino la “Maggioranza silenziosa”.

All’inizio degli anni ’90, ci fu una contrazione produttiva che portò il vertice dell’azienda a contrattare con le organizzazioni sindacali, ristrutturazioni e  lunghi periodi di cassa integrazione per le maestranze. Ma non è mai venuta meno la volontà di proseguire, di mettere in produzione nuovi modelli ed anche dopo quella prova la Fiat tornò a primeggiare ed assumer maestranze.

Ci mancherà il suo ricordo, e l’amaro raffronto con l’oggi.

Torino e non solo mantiene un debito di riconoscenza alla sua fermezza ed alla sua coerenza. Allora  non c’era la globalizzazione, la Fiat sarebbe fallita o finita nel novero delle aziende decotte ed assistite. L’orgoglio del lavoro sarebbe amaramente tramontato. Romiti sapeva infondere ai suoi diretti collaboratori che riuniva ogni anno nell’anfiteatro di Marentino, l’orgoglio dell’appartenenza e la fierezza di contribuire all’affermazione di una mission che oltre a possedere i connotati industriali, rivestiva significati e conseguenze eminentemente sociali.

Questo era l’Uomo che, al compimento del 75 anni, come da Statuto della Società, rassegnò le dimissioni, anche se le energie e la lungimiranza lo avrebbero tentato a rimanere. Ed in molti ci siamo ripetuti in questi anni, come sarebbe stata provvida quella scelta, per il futuro della Fiat.

A chi al temine dei 25 anni trascorsi a Torino, gli chiese un giudizio conclusivo, rispose;” Non sempre ho fatto ciò che mi sarebbe piaciuto, ma sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto”.

Addio Dotto Romiti, sarà difficile dimenticarla, per l’esempio e le emozioni che ha saputo infonderci!

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Articolo pubblicato il 18/08/2020