"Guardie Rosse" sotto la Mole

Il libro di Roberto Gremmo recensito da Massimo Novelli

Per contribuire alla diffusione dell’informazione, “Civico 20 News” pubblica questa recensione del libro di Roberto Gremmo “Guardie Rosse sotto la Mole”, scritta da Massimo Novelli, apparsa col titolo “La rivoluzione rossa del 1920: così provarono a rapire Agnelli”, su “Il Fatto Quotidiano” di lunedì 31 agosto 2020 (m.j.).

 

Torino – Il movimento operaio prima del fascismo

La rivoluzione rossa del 1920:

così provarono a rapire Agnelli

Uno degli ultimi processi si tenne il 12 marzo del 1923 alla Corte d’Assise di Torino. Accusati di “complicità nel reato di eccitamento alla guerra civile con raggiungimento parziale dell’intento”, alcuni operai, che avevano dato vita a reparti di “guardie rosse” durante l’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, vennero condannati a pene comprese tra i quattro e i cinque anni di carcere. L’amnistia del 22 dicembre del 1922 non fu dunque applicata per Giovanni Parodi, uno degli imputati, futuro esponente di un certo rilievo, dopo la Liberazione, del Pci e della Fiom, e per i suoi compagni. Le condanne attestavano pertanto, pur nel linguaggio arido della giurisprudenza, che a Torino, e in altre parti d’Italia, nella tarda estate del 1920 c’era stato chi si era armato non tanto per difendere le officine in mano ai lavoratori, ma per “eccitamento alla guerra civile”, o alla rivoluzione proletaria. E le descrizioni nei dibattimenti di diversi episodi di violenza, con sparatorie e uccisioni tanto di “guardie rosse” come di guardie regie avvenute in quei giorni, sembravano non lasciare dubbi.

L’AVANGUARDIA del movimento, soprattutto tra gli anarchici e i socialisti che presto avrebbero dato vita al Partito comunista d’Italia, voleva fare “come in Russia”, come l’Internazionale Comunista che, nel luglio del 1920, da Mosca, aveva proclamato, sostenendo che la “guerra civile era all’ordine del giorno in tutto il mondo”  

A fare riemergere dagli archivi la documentazione processuale, e numerose altre carte di polizia, comprese quelle su un tentativo di sequestro da parte delle “guardie rosse di Giovanni Agnelli, padrone della Fiat, è il ricercatore Roberto Gremmo. Lo ha fatto con il volume Guardie Rosse sotto la Mole. La speranza rivoluzionaria nell’occupazione delle fabbriche torinesi nel 1920 (Edizioni Storia Ribelle; per acquistarlo si contatti: storiaribelle@gmail.com), in cui ha portato alla luce un materiale mai esaminato o dimenticato, oppure sottovalutato, dagli storici che si sono occupati, a cominciare da Paolo Spriano, del cosiddetto “Biennio Rosso” 1919-1920 e delle lotte operaie e sociali di quel periodo.

La tesi di Gremmo, del resto, chiara e dichiarata fin dalle prime pagine. “Il proletariato torinese - scrive - o almeno la sua avanguardia, aveva in testa ben altra idea che quella della produzione da realizzare nelle officine occupate. Lo dimostrano i verbali di dibattimento e le sentenze dei numerosi vendicativi processi celebrati nei mesi successivi all’occupazione torinese contro i militanti che maggiormente s’erano distinti nella lotta”.

Una documentazione, prosegue l’autore del saggio, “credibile, preziosa ed inconfutabile”, ma non utilizzata da chi scrisse sull’occupazione delle fabbriche, come lo storico comunista Spriano. Lo stresso Partito comunista, d’altronde, e i suoi leader principali, come Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, che pure dalle colonne del giornale L’Ordine-Nuovo sostennero il movimento del settembre del ‘20, minimizzarono la portata potenzialmente rivoluzionaria, nel senso del sovvertimento violento dello Stato e del sistema capitalistico, di quelle settimane. La rivoluzione non ci fu. Giovanni Giolitti, il partito socialista e il sindacato riformista, poi, fermarono l’occupazione delle fabbriche. “I codardi dei vertici - dice Gremmo - avevano tradito la volontà rivoluzionaria delle masse popolari”. La “guerra civile” invece, si trascinò fino all’avvento del fascismo. Soltanto durante la guerra fredda, però, negli anni Cinquanta, e soprattutto dopo l’attentato a Togliatti, certi apparati del Pci, che facevano capo a Pietro Secchia, recuperarono la memoria della rivoluzione mancata, o comunque la possibilità di una insurrezione armata.

CERTO è CHE dalla fine dell’agosto del ‘20, e fin dopo settembre, le “guardie rosse” torinesi, forse duemila e più, si prepararono alla rivoluzione, fabbricando armi ed esplosivi nelle fabbriche occupate e partecipando a molti scontri. Il medesimo Togliatti, rammenta Gremmo, aveva affermato nel maggio del ‘20, su Falce e Martello, che il proletariato doveva attrezzarsi alla “materiale preparazione alla insurrezione”, per poi cambiare idea. Un episodio la dice lunga su quanto volessero fare le “guardie rosse”. Nella notte fra il 19 e il 20 settembre, a Torino, “in corso Regio Parco da due carri e due automobili armate di mitragliatrici venivano esplosi diversi colpi d’arma da fuoco contro le forze dell’ordine proprio nelle ore in cui otto operai cercavano di penetrare nella villa del commendator Agnelli in via Burdin”, ma “erano stati messi in fuga a colpi di moschetto dai militari che la presidiavano”. Lo stesso Giovanni Agnelli, diventato nel frattempo senatore del Regno, avrebbe rischiato di essere arrestato dai partigiani nel maggio del 1945, tra i quali c’era Giorgio Bocca, ma, di nuovo, riuscì a salvarsi”.

Massimo Novelli

Il Fatto Quotidiano

 

Roberto Gremmo

Guardie Rosse sotto la Mole

Edizioni Storia Ribelle (storiaribelle@gmail.com) – 10:00 €

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 05/09/2020