Quando fare politica era a titolo gratuito: tempi di Risorgimento. Poi fu la Repubblica
Il conto alla rovescia del calendario sta avvicinando il giorno del referendum per il “taglio” dei parlamentari e dei senatori. Le motivazioni per il sì e per il no si alternano per dichiarazioni che per lo più ci giungono da volti poco noti che impariamo a conoscere in tv. L’origine della proposta, nondimeno, è legata a un ipotetico risparmio che restituirà molta dignità all’apparato dello Stato.
C’è stato un tempo però che tutto questo era ben lontano dall’essere trattato, poiché all’origine il concetto di risparmio era fuori luogo. Chi aveva il privilegio di calcare le rosse poltrone non percepiva alcunché.
È vero che erano tempi ben diversi, è vero che l’appellativo di Onorevole era destinato a personaggi già di per sé bene in vista: professionisti e benestanti che mettevano la loro arte sapienza al servizio di quello che ancora non era uno Stato ma bensì un Regno.
Infatti, L’Articolo 50 Dello Statuto Albertino, riportava brevemente che: “Le funzioni di Senatore o di Deputato non danno diritto ad alcuna retribuzione od indennità”… A buon intenditor poche parole, che mi immagino fossero state pronunciate in quel bel dialetto torinese che oggi ahimè, come tante altre cose di allora, si sta perdendo nell’andar del tempo.
In effetti, lo Statuto Del Regno, o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia, stilato per restare al passo della nuova Europa e della nuova epoca della “Primavera dei Popoli”, è noto come Statuto Albertino dal nome del re che lo promulgò: Carlo Alberto di Savoia. Risale al 4 marzo del 1848, quando ancora non esisteva l’Italia Unita (1861), e fu l’allora Costituzione dal Regno di Sardegna, adottata quel giorno stesso a Torino. Durerà per tutto il tempo del Regno d’Italia.
È facile immaginare dunque un Parlamento e un Senato a quel tempo frequentati da eleganti, ottocenteschi, paffuti gentiluomini sardo-piemontesi con i baffi impomatati e la tuba in testa, trattar tra il fumo dei sigari, di grandi progetti, di trafori e di alleanze, per portare a termine quei patriottici disegni del Risorgimento. Farsi pagare per questo era fuori questione, così era, se vi pare, in quell’ardente momento d’un contesto storico intriso di fermento.
Poi fu Cavour, Mazzini, Garibaldi, l’unità d’Italia e il Regno che, da Sardo-Piemontese, prese la forma dello Stivale. Dunque chi scrive si immagina un progressivo, politico ragionare in italiano, con un intreccio di cadenze regionali, ognuna con la sua inflessione snob.
Italia unita, nuove teste, altre idee e poi, quante cose da fare. Quell’articolo 50 dello Statuto Albertino non poteva durare, calcare le poltrone cominciava a reclamare spese.
L’indennità parlamentare fu introdotta nell’ordinamento italiano nel 1912, a corredo della riforma voluta da Giolitti, di estensione del suffragio a “quasi universale maschile”, ma già nel 1900 vi fu uno strappo alla regola.
Certo Pietro Chiesa infatti, operaio portuale di Genova, quell’anno fu eletto delegato dai compagni, quindi parlamentare. Non avendo un reddito sufficiente per mantenersi a Roma, così come certo Pietro Abbo, contadino e socialista anch’esso, furono capostipiti di primitivi strappi alla regola, poveri tra i ricchi, percependo in modi diversi, blandi favoritismi. Fu l’inizio di quello che col tempo diventerà un pozzo senza fine.
Dunque, per aggirare lo statuto Albertino, nel 1912 l’indennità parlamentare fu infilata tra le richieste con una furbata: come “rimborso delle spese di corrispondenza”… Un’astuzia ripetuta anche in tempi più recenti sotto forma di “rimborsi elettorali” al posto del finanziamento pubblico abrogato dal referendum del 93 (scaltrezza che vince non si cambia).
Va ricordato che, all’introduzione dell’indennità parlamentare Pietro Abbo poté dormire a Roma e Pietro Chiesa mantenersi senza la colletta dei compagni.
L’indennità fu introdotta solo per la Camera Dei Deputati. Per il Senato, il 5 aprile 1920 sarà autorizzato il gettone di presenza, poi la legge 720 del 24 maggio 1925 istituì una somma annuale di lire 15.000 a titolo “rimborso spese”, provvedimento in vigore fino alla fine della IIª guerra mondiale. Nel dopoguerra, il Regno avrebbe fatto le valigie e sarebbe nata la Repubblica.
1946, nell’Assemblea Costituente si discusse se l’indennità parlamentare dovesse essere prevista dalla Costituzione suscitando un certo dibattito per essere infine approvata con la seguente formula: “I deputati ricevano una indennità fissata dalla legge per garantire loro l’indipendenza economica e il doveroso adempimento del mandato”.
La breve, e dapprima romantica storia della nascita dei costi della politica, di volta in volta evoluti con lo sviluppo del genere umano, da Roma a tutti i Comuni, ora si ferma qui, ma sarebbe giusto conteggiare pure l’Europa.
Dai dati del Sole 24 Ore, oggi, di riffa o di raffa, 1,3 milioni di persone vivono di politica e i costi annuali, diretti o indiretti della politica ammontano a 18,3 miliardi di euro a cui sommarne altri 6,4 per costi aggiunti del sistema istituzionale. Nel 2018, per mantenere il solo Parlamento ogni italiano spendeva € 24,71 all’anno… E io pago!
In pratica, il sottoscritto che vive d’altro e mai si è mantenuto con qualche rimborso per impegno politico, non sa se sentirsi un onesto sprovveduto o un perfetto imbecille.
Quindi, il referendum bilaterale che ci sta piombando addosso come la panacea di tutti i mali, sembra un effetto placebo taglia-poltrone-decisionale affidato ai cittadini, sui privilegi della casta… In realtà i costi sono altrove; ciò mi rende confuso, nervosetto e titubante, c’è qualcosa che mi sfugge, sento che mi sta prendendo per i fondelli, ma armi per salvarmi dall’ennesima presa non ho.
Mi avessero prospettato una scelta anche per abolire i vitalizi, una bicamerale ormai imperfetta e magari per riunire il numero degli “eletti” in un’unica Camera, sarebbe stata un’altra cosa. Altrettanto mi avessero interpellato su un’ipotetica Repubblica presidenziale… Ma di fronte ad un annacquato sì oppure no, più elettorale che altro, personalmente ho deciso che voterò “forse”.
Chiedo scusa e ringrazio il lettore che è arrivato fin qui… Altro non so.
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Articolo pubblicato il 07/09/2020