La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Omicidio in via Madama Cristina

La “Gazzetta Piemontese” di domenica 5 dicembre 1875, sotto il titolo di «Omicidio in via Madama Cristina» scrive:

Ieri sera un deplorevolissimo fatto avvenne in questa via poco frequentata della città, situata in fondo al viale del Re, ove si trova una certa casa che non è lecito nominare. Verso le 11 circa, condotti da una vettura cittadina, discesero in questa casa tre giovani sconosciuti, di civile condizione: vi si trattennero in buona compagnia con due abitatrici del luogo per mezzora circa e poi si disposero ad uscire.

Nel 1875, lo sviluppo del Borgo San Salvario è ancora limitato e questo spiega la definizione di «via poco frequentata» data dal cronista il quale si preoccupa di indicare il postribolo location del delitto con la cauta perifrasi «casa che non è lecito nominare».

Riprendiamo la lettura:

Senonché, essendosi opposta la serva, certa Reattino Bianca, d’anni 23, da Frabosa (Mondovì), che pretendeva dai tre ganimedi l’intiera mercede pattuita alla loro entrata, ne nacque un alterco, che ebbe tristissime conseguenze.

- Apri quella porta e lasciaci uscire, diceva uno dei giovani.

- No, rispondeva secco la serva: ho qui la chiave, e se non pagate quello che dovete alla padrona, non apro per Dio!

Lo sconosciuto, che non voleva lasciarla vinta alla donna, forse per intimorirla, estratto di tasca un revolver, glielo appuntò al viso dicendole:

- Ci farai uscire ora, p... p... ?

Ma nel frattempo scatta un colpo e la donna cade esanime al suolo in un lago di sangue: una palla le aveva passato da parte a parte il cranio: spirò quasi Istantaneamente.

Fra le grida disperate delle abitatrici del luogo, non restava altro scampo agli sconosciuti che darsi alla fuga: infatti presa la chiave dalle mani della morta, aprirono e via a precipizio nella strada. Uno di essi, per non essere scoperto, infila la prima via che trova e sparisce; gli altri due, fra cui l’uccisore della Reattino, entrano nella vettura che li aspettava per ricondurli in città, ordinando al cocchiere di sferzare il cavallo e di partire al galoppo.

In tutto questo trambusto nessuno in istrada si era accorto di nulla: ma il bravo brigadiere delle guardie di P. S. però, certo Oddone, che si trovava in quei paraggi, aveva sentito il colpo: e vedendo partire quella vettura a gran corsa, pensò che lì poteva stare il bandolo della matassa.

Si slancia solo contro II veicolo, ordina al cocchiere di fermarsi, ma nel mentre i due giovani tentano fuggire dallo sportello: i sospetti dell’agente di polizia non erano infondati: ferma, ferma! grida, e raggiunge tosto i due sconosciuti, i quali dovettero rassegnarsi ad essere condotti alla sezione di P. S. Essi sono in M. D., d’anni 27, da Levone, capitano di marina, alloggiato all’albergo della Corona Grossa, e F. A., d’anni 22, studente in medicina. Al primo fu trovato in tasca il revolver con un colpo sparato e sembra che sia lui l’autore dell’uccisione della disgraziata donna.

Le autorità si recarono tosto sul luogo per gl’incombenti di legge e dovettero persino fare abbattere il cancello in ferro per entrarvi, avendo i tre giovani chiusa la porta e portata via la chiave nel fuggire.

Il terzo giovane è ancora latitante.

 

Questa cronaca del fattaccio, col giusto riconoscimento alla felice intuizione del brigadiere Oddone, indica tutti i dati salienti della vicenda. Non fornisce però il nominativo delle persone coinvolte. Anzi, il 7 dicembre viene pubblicata questa curiosa precisazione: «[…] L’altro arrestato, il M. D., è capitano di marina mercantile e non semplicemente capitano di marina, come venne asserito». Precisazione che nasce evidentemente dal desiderio di chiarire che non si tratta di un appartenente alla Marina Militare.

Le indagini, evidentemente, chiariscono che il secondo arrestato F. A. non ha responsabilità, visto che la “Gazzetta Piemontese” di domenica 21 maggio 1876 pubblica il ruolo delle cause per la nuova sessione ordinaria della Corte d’Assise di Torino: il 2 giugno sarà celebrato il processo a Massa Pompeo, per omicidio, con 6 testimoni, il Pubblico Ministero Baggiarini e l’avvocato difensore Demaria.

Quanti lettori avranno collegato queste indicazioni con le iniziali M. D. pubblicate dal giornale nel dicembre dell’anno precedente?

L’accusato si chiama in realtà Pompeo Domenico Massa, di 27 anni, nato e dimorante a Levone, capitano di marina mercantile. Evidentemente non ama il nome di Pompeo e preferisce farsi chiamare Domenico, da cui le iniziali di M. D.

È accusato di omicidio volontario commesso nella sera del 4 dicembre 1875 in Torino, nel postribolo tenuto da Virginia Troya, sulla persona di Bianca Reattino per avere, volontariamente e con intenzione di ucciderla, esploso un colpo di rivoltella provocandole una ferita alla regione temporale sinistra, causa unica ed immediata della morte istantanea.

La “Gazzetta Piemontese” non riporta la cronaca del suo processo. Così, per conoscere la fine della vicenda, dobbiamo limitarci a leggere la sentenza della Corte d’Assise, in data 2 giugno 1876: secondo il verdetto dei giurati, Massa è colpevole di omicidio commesso soltanto per imprudenza, con la concessione delle attenuanti. Viene perciò condannato al carcere per sette mesi, da calcolare dal giorno del suo arresto, il 4 dicembre 1875. Massa è anche condannato a indennizzare gli eredi della morta e alle spese processuali. La rivoltella viene sequestrata.

Alla fine del nostro racconto, schematico per forza di cose, non sentiamo tanto la mancanza di ulteriori informazioni sul capitano canavesano della marina mercantile, che probabilmente è riuscito, come si dice, a “rifarsi una vita”. Sinceramente vorremmo saperne di più sulla sua vittima, Bianca Reattino, approdata da Frabosa a un postribolo torinese dove lavorava come serva e dove è morta a 23 anni.

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Articolo pubblicato il 23/09/2020