Perché l'omicida del prete di Como era in Italia nonostante due mandati di espulsione?

Il tunisino reo confesso dell’omicidio con alle spalle un matrimonio fallito con una ragazza italiana, perdita del lavoro, due condanne definitive per maltrattamenti in famiglia ed estorsione.

Perché Radhi Mahmoudi, l’omicida di don Roberto Malgesini, era ancora in Italia nonostante due provvedimenti di espulsione? Il suo caso non è isolato, anzi appare emblematico della difficoltà a gestire i cosiddetti irregolari in Italia applicando una  legge che l’avvocato milanese Mauro Straini, esperto in materia, definisce “utopica in quanto inapplicabile sia dalla parte dello Stato che della persona espulsa ”.

 

Le due espulsioni sulla carta di Mahmoudi. 

Il cittadino tunisino reo confesso dell’omicidio del prete di Como devoto ai poveri, non avrebbe più avuto diritto a stare nel nostro Paese dal 2014. Arrivato nel 1993 si era sposato con una ragazza italiana e lavorava, poi il matrimonio era fallito, non aveva più un mestiere ed erano arrivate due sentenze di condanna definitive per maltrattamenti in famiglia ed estorsione.

 

Fonti della Questura di Como spiegano che nel giugno del 2018 era stato fermato perché non aveva documenti al seguito e gli era stato consegnato il ‘foglio di via’. Lui aveva presentato ricorso nei sette giorni previsti dalla legge motivando la necessità di restare in Italia per motivi di salute ma il 13 luglio il giudice di pace aveva rigettato l’istanza.

 

Nella primavera di quest’anno, è stato poi controllato una seconda volta risultando ‘irregolare’ ma il provvedimento di espulsione era ineseguibile per via del Covid che ha fatto chiudere le frontiere.

"Mancano soldi e accordi bilaterali per eseguire le espulsioni".  

“Accade nella stragrande maggioranza dei casi che l’espulsione non venga eseguita per due ragioni – spiega Straini – la prima è che con molti Stati non ci sono accordi bilaterali per ‘riprendersi’ la persona che deve uscire con l’Italia, la seconda sono i costi che lo Stato dovrebbe sostenere per accompagnare queste persone all’estero in termini di forze dell’ordine impiegate e di trasporto aereo”.

 

Nel caso di   Mahmoudi viene fatto notare che dalla Questura comasca che era anche un senza fissa dimora. Da tempo, trovava alloggio nella casa di accoglienza della parrocchia di Sant’Orsola dove gli capitava di incontrare don Roberto nel suo ‘giro’ di colazioni a bordo della Panda grigia.

 

In questi casi, se, come accade quasi sempre, il cittadino straniero non ottempera in autonomia al ‘foglio di via’, esce dai radar dei controlli perché non ha una residenza. Mahmoudi è stato ricontrollato  ad aprile per la prima volta dal 2018  solo ad aprile di quest’anno.

 

Nel racconto confuso reso agli inquirenti ha spiegato  di avere ucciso il suo benefattore, l’uomo che lo sfamava e gli aveva procurato un legale per difendersi nei suoi processi, perché anche lui, come i giudici, gli avvocati e tutto il mondo che gli ruotava attorno, non lo avrebbe sostenuto nella sua disperata volontà di restare in Italia. Un ragionamento, per il suo avvocato, che palesa "un disagio psichico da approfondire con una perizia per capire se possa avere inficiato la sua capacità di intendere e di volere". 

 


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Articolo pubblicato il 17/09/2020