Elezioni, la sfida e il dopo

Si sta votando il taglio dei parlamentari e il rinnovo di 75 sindaci in Piemonte. Alle 23 di ieri ha votato circa il 39% degli elettori

Così dopo tante  parole, sovente ripetute a iosa ed ascoltate con scarso entusiasmo, anche in Piemonte siamo arrivati al voto per il referendum costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari e per il rinnovo di 75 amministrazioni comunali.

 

I Seggi sono rimasti aperti dalle 7 alle 23 di ieri, domani dalle 7 alle 15.


L'elettore, per votare, deve esibire al presidente di seggio la tessera elettorale e un documento di riconoscimento. In occasione delle elezioni, a Torino gli uffici comunali osservano un orario straordinario di apertura al pubblico. Chi è impossibilitato a recarsi negli uffici elettorali, può stampare il proprio attestato sostitutivo della tessera elettorale, in carta libera, valido solo per questa votazione. Il servizio è accessibile tramite SPID, TorinoFacile, CIEid, CNS.


La gestione di quest’elezione, almeno a Torino, è stata faticosa. 506 su 919 i presidenti di seggio che hanno rinunciato all'incarico, mentre le rinunce degli scrutatori sono state 1.487 su 2.800. Il Comune ha provveduto a sostituire i Presidenti attingendo dal proprio personale inquadrato in fascia D. Per quanto riguarda gli scrutatori, la sostituzione è stata completata nella serata di sabato grazie alla grande affluenza di giovani che hanno risposto all'appello lanciato dalla Città attraverso il portale di Torino Giovani.

 

Al momento le uniche difficoltà hanno riguardato le barriere architettoniche, perché nonostante le segnalazioni degli anni scorsi, in molte scuole non si sono utilizzate le aule al piano terreno obbligando soprattutto le persone anziane ad arrampicarsi sulle scale. E’ un’indecenza.

 

La scarsa affluenza di pubblico ha attenuto le attese dovute alle farraginose procedure imposte dalla prevenzione Covir -19.


Al voto in Piemonte anche 75 Comuni su 1.181. Fra questi nessun capoluogo, e solo quattro centri con più di 15 mila abitanti: Moncalieri, Venaria Reale e Alpignano nell'area metropolitana di Torino e Valenza nell'Alessandrino. Alla chiusura dei seggi, la percentuale dei votanti in Piemonte per il referendum è stata all’incirca del 38,81%, leggermente inferiore alle media nazionale (39,38).Per il rinnovo dei consigli comunali, la media dei votanti supera il 50% rispetto media nazionale (49,60%).

 

Avremo modo a spoglio ultimato di formulare le ipotetiche ripercussioni sul quadro politico nazionale e locale.

Al momento ci limitiamo ad evidenziare le criticità, perché sono i partiti di governo che nutrono timori.

 

Il governo, secondo il premier, non rischia. In qualunque caso. Si tratta di un voto per i territori e non per gli equilibri nazionali, si è affrettato a chiarire Giuseppe Conte. Lui stesso, però, sa che non è così e che sarebbero in molti a chiedergli conto di un’eventuale batosta elettorale. L’ha ben capito Luigi Di Maio, che in queste ultime settimane ha scelto di puntare tutto sul sì al referendum, così da potersi intestare lo storico traguardo del taglio dei parlamentari. Anche perché, tranne che in Liguria, i due principali partiti di governo si presentano divisi in tutte le regioni chiamate alle urne.

 

Le fibrillazioni tra democratici e grillini sono evidenti anche sul Recovery Fund, partita decisiva per la ripartenza dell’Italia. Lo scontro tra Palazzo Chigi e Ministero dell’Economia è solo agli inizi e c’è da scommettere che da domani, a urne chiuse, esploderà in modo ancora più virulento, anche in vista della scadenza del 15 ottobre per l’invio all’Europa del documento di programmazione economico-finanziaria. Questo potrebbe determinare vari scenari alternativi.

 

Il più gradito all’esecutivo è il pareggio 3-3 nelle sei regioni che contano (la Valle d’Aosta non viene considerata indicativa né significativa, a prescindere dal risultato). Se la sinistra riuscisse a conservare Puglia, Campania e Toscana, si riterrebbe ampiamente soddisfatta. Se, contestualmente, prevalessero i “sì” al referendum anti-casta, anche i pentastellati potrebbero cantare vittoria e la navigazione dell’esecutivo, sia pure nel mare in tempesta della pandemia, risulterebbe più agevole.

 

Il centrodestra invece sogna il cappotto (7-0, Valle d’Aosta compresa), ma considererebbe un successo storico anche il 5-1 nelle regioni che più contano. Va peraltro ricordato che il centrodestra governa già in 13 regioni su 20. Se Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, uniti ovunque, dovessero strappare alla sinistra Marche, Toscana e Puglia, lasciandole solo la Campania (tutti i sondaggi danno il governatore uscente Vincenzo De Luca abbastanza avanti rispetto allo sfidante Stefano Caldoro), ben difficilmente l’esecutivo e il Quirinale potrebbero far finta di nulla.

 

In particolare un’eventuale sconfitta in Puglia potrebbe aprire un processo al premier foggiano e accelerare la sua sostituzione o quantomeno un rimpasto di governo. Se a cambiare colore politico fosse la roccaforte rossa toscana, lo scossone sarebbe ancora più deflagrante. E a ricevere un avviso di sfratto potrebbe essere il segretario del PD, Nicola Zingaretti. Zingaretti riamane comunque più di tutti nel mirino. La caduta significativa del PD, sarebbe ascrivibile alla sua sudditanza nei confronti dei grillini e si aprirebbe la resa dei conti all’interno del partito.

 

Ad avvantaggiarsene sarebbe in entrambi i casi Di Maio, desideroso di tornare a fare il vicepremier e di poter controllare più da vicino il rivale Conte. L’impresa gli riuscirebbe però soltanto se il referendum dovesse dare l’esito da lui sperato, cioè la vittoria dei “sì”.

 

C’è poi un altro scenario ritenuto più probabile: il 4-2 per il centrodestra, che espugnerebbe Marche e Puglia ma lascerebbe alla sinistra Campania e Toscana. Probabilmente un esito del genere non sarebbe sufficiente per rovesciare il tavolo del governo ma produrrebbe scossoni in entrambi gli schieramenti. Dentro il PD si appannerebbe ulteriormente la leadership del segretario Zingaretti, sempre più in discussione.

 

Sul versante dei 5 Stelle finirebbe nel mirino il reggente Vito Crimi, reputato non all’altezza di gestire il Movimento sui territori. Ma anche nel centrodestra la leader di Fratelli d'Italia potrebbe in quell’eventualità esibire due trofei (i neogovernatori di Marche e Puglia, entrambi del suo partito),e cercare di minare la supremazia numerica della Lega. Le new entry di Fratelli d’Italia, a differenza della Lega, sono raccogliticce e composte da transfughi di Forza Italia, Lega ed altre formazioni minori. Gli stessi colonnelli della Meloni a prescindere dal balzo elettorale , non sono certi della compattezza e  fedeltà dei nuovi arrivati.

 

La sfida dell’election day si presenta, dunque, complessa e con poche certezze. Se nel Veneto il leghista Luca Zaia non corre rischi, così come non dovrebbero correrne in Liguria Giovanni Toti (anch’egli appoggiato da tutto il centrodestra) e in Campania Vincenzo De Luca, e se è probabile la vittoria dei “sì” al referendum sul taglio dei parlamentari, tutte le altre partite si giocano sul filo del rasoio, anche quelle riguardanti i risultati dei singoli partiti in competizione. Si sa che a urne chiuse tutti dicono di aver vinto e nessuno ammette le sconfitte. Ma domani sera saremo in possesso di elementi maggiormente attendibili.

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Articolo pubblicato il 21/09/2020