L'intervista

Racconto di Francesco Cordero di Pamparato (prima parte)

La donna, che stava entrando in uno dei tanti palazzi della Sixth Avenue a New York, era indubbiamente bella. Era alta e slanciata, bionda con capelli tagliati corti, elegante nel suo tailleur italiano, rigorosamente firmato. Poteva avere un’età sui trentacinque anni e si muoveva con un passo deciso e veloce. Proprio il suo modo di muoversi faceva capire che, nonostante la bellezza, non era certo un’attrice o una persona del mondo della moda. Tutto di lei faceva pensare che si trattasse di una giovane donna in carriera. Di fatto Samantha Browne era una giornalista, una di quelle donne aggressive famose per l’abilità e la cattiveria con cui conduceva le interviste. Molti illustri personaggi della politica e degli affari si erano trovati in imbarazzo quando avevano dovuto rispondere alle sue domande incalzanti.

 

Quella mattina, il lavoro alla rivista di cui era la redattrice di punta, si prospettava alquanto monotono. La ragazza entrò nel suo ufficio con fare annoiato. Non aveva ancora fatto in tempo a sedersi alla sua scrivania, che notò una nuova mail apparire sul monitor del computer. La lettera arrivava dalla Rubrya, un piccolo paese africano, in cui da anni si combatteva una sanguinosa guerra civile. Chi la spediva era un funzionario del consolato americano, che la rivista foraggiava largamente in cambio di notizie di prima mano. La donna l’aprì con curiosità e la lesse rapidamente. Il contenuto era esplosivo:

 

Questa notte i guerriglieri sono entrati in città. Il dittatore Abraham è stato deposto e ucciso. Il generale Moktar, capo dei ribelli, ha assunto il potere. Sembra che un ruolo determinante sia stato svolto da Marcus, noto mercenario bianco, grande amico di Moktar.

 

La notizia era recentissima e Samantha, presa la mail, corse tutta eccitata nell’ufficio del Direttore. L’uomo, padre della ragazza era anche l’editore della rivista, tollerava mal volentieri queste intrusioni. Gli sembrava di fare favoritismi, ma la figlia era comunque il miglior reporter di cui disponesse. Samantha come sempre andò dritta al sodo.

 

Daddy, ha visto che notizia? Ho fatto bene a foraggiare Jones. Noi sappiamo prima degli altri del colpo di Stato, ma quello che più è importante sappiamo che c’è di mezzo Marcus! È ino dei più famosi e pericolosi mercenari del mondo e nessuno lo ha mai intervistato. Vorrei partire subito e andare in Rubrya a intervistarlo io, intanto potrei scrivere articoli sul Paese per la nostra rivista”.

 

Il padre assunse un’espressione dubbiosa, sapeva che era impossibile far cambiare idea alla figlia. “Sammy, mi pare che tu sia un po’ troppo impulsiva. Non sei mai stata in Africa. È un mondo molto diverso da questo in cui hai sempre vissuto. Se quel Marcus non ha mai voluto farsi intervistare da nessuno, ci sarà un motivo. Perché vuoi andare a cacciarti nei guai? Sei già un’ottima giornalista. Hai ottenuto già notevoli riconoscimenti, per cosa vuoi rischiare la pelle? Il Rubrya è una nazione fuori controllo, vi può succedere di tutto!”.

 

“Daddy, voglio dimostrare a tutti quanto sono brava. Nessuno ha mai intervistato Marcus, non se ne conosce nemmeno l’aspetto. Voglio essere io la prima persona che ci riesce!”.

“Sia come vuoi bambina mia. In bocca al lupo!”.

 

Quella sera stessa un Jet aveva portato Samantha sino alla capitale dello Stato limitrofo al Rubrya. Il volo era stato lungo e faticoso e ora si sarebbe dovuto aspettare sino al mattino successivo, per prendere il volo per la città meta della giornalista. Il terminal era bello e accogliente, ma emanava una serie di odori forti, a cui non era abituata. L’attesa fu più lunga del previsto. Per l’ampio salone si aggiravano persone in costumi multicolori, anche se il bianco ere quello dominante. Poco lontano, tra i passeggeri di un volo interno, alcuni avevano delle capre che si erano messe a belare.

 

L’aereo era in vistoso ritardo e quando finalmente fu ora di imbarcarsi, i controlli sulle persone furono fatti con una pignoleria tanto esasperata quanto imbarazzante. Anche il riconoscimento dei bagagli, sulla pista assolata non era stato per niente gradevole. Era una Samantha alquanto scocciata quella che finalmente riuscì a sistemare il bagaglio a mano sull’aeroplano. Non aveva ancora avuto il tempo di sedersi, quando la voce metallica dell’altoparlante si fece sentire: Signore e signori, ci scusiamo, ma vi abbiamo indicato un aereo sbagliato. Per favore scendete con calma, bisogna recarsi sull’aeromobile in partenza per Rubrya”.

 

La ragazza era ancora più infastidita, possibile che questi africani fossero così disorganizzati? Aveva fatto pochi passi e si stava allontanando dall’aereo con gli altri passeggeri, quando un altro altoparlante gracchiò: Scappate, c’è una bomba!

 

Tutti i passeggeri, con i loro bagagli a mano, si misero a correre come dei forsennati, cercando di allontanarsi il più possibile dall’aereo. Si fermarono dopo alcuni minuti, tutti trafelati. A quel punto un militare, con aria tronfia si avvicinò e li invitò alla calma. Era stato un falso allarme. Dopo una mezz’ora, di attesa sulla pista, poterono tornare all’aeromobile. Finalmente il viaggio per la meta tanto sospirata stava per concludersi. Il volo durò poco più di un’ora ma in quel lasso di tempo la ragazza poté farsi una cultura su tanti odori forti e aspri, tipici dell’ambiente locale. Lei non lo percepiva bene, ma si trattava soprattutto di aglio, cipolla e peperoncino rosso, oltre a quello di burro rancido. Un africano elegantissimo, suo vicino di sedile le chiese: “Miss, è mai stata in Rubrya?”.

 

“No, non sono mai stata in Africa prima d’ora”.

 

“Vedrà le piacerò, anche se è un mondo molto diverso dal suo. Americana, vero?”.

 

“Si è lei? È di Rubrya?”.

 

“Si, ero perseguitato politico, e adesso torno a ritrovare la mia famiglia. Sono tre ani che non li vedo”.

 

Quando l’aereo si fermò sulla pista ci volle un po’ prima che la scaletta fosse appoggiata all’aeromobile. Samantha sentì che stavano armeggiando. Finalmente iniziarono a scendere e, si accorse che i primi gradini erano fatti con una prolunga di legno. Quello che era stato suo compagno di viaggio, le spiegò che la guerra civile aveva isolato la città per alcuni anni e che quella prolunga veniva usata per gli aerei più grossi, mentre con quelli più piccoli veniva tolta.

 

Si guardò intorno, da un lato vide due veicoli fuoristrada ribaltati, un carro armato, rovesciato anche lui e privo di torretta. Poco più in là, un dromedario camminava tranquillo, mentre in fondo alla pista un vecchio aereo, un DC3Dakota del 1936, giaceva con un’ala e un carrello spezzati. Sembrava un gigantesco uccello ucciso da chissà quale cacciatore.

 

Dovette compilare diversi moduli e districarsi tra molti militari e donne in costume bianco, con orli o rossi o grigi a loro volta orlati d’oro. Dopo un lungo iter, quando ormai vedeva dietro allo sbarramento la figura rassicurante di Daniel Jones, il funzionario d’Ambasciata suo amico, tutto si fermò. Un passeggero si era abbracciato più volte con un funzionario e si erano messi a chiacchierare. Samantha cercò di protestare, ma gli altri passeggeri le fecero segno di star zitta. La conversazione dopo un po’ terminò.

 

Alla fine Jones le venne incontro.

 

“Ben arrivata Samantha, spero che tu abbia fatto un buon viaggio, anche se immagino, avrai avuto qualche contrarietà. Sai l’Africa è un continente speciale, qui sembra di essere in un mondo a sé”.

 

“Incomincio a capirlo Daniel, grazie per essere venuto a prendermi. Hai già preso contatti per l’intervista di Marcus? Hai saputo che tipo è?”.

 

“Non è così facile Samantha, i locali lo conoscono, ma non vogliono dirti chi è. Per loro è un eroe, anche se è un europeo”.

 

“Hai provato ad offrire dei soldi? A questo mondo tutto si compra”.

 

“Qui no. Questo è un popolo fiero. Se qualcuno ha fatto loro del bene, piuttosto che fargli un torto si fanno uccidere. Non dimenticare che in Africa, noi non siamo amati. Lui sì”.

“Domani vedrò io. Tu pensa di organizzarmi un incontro al governo”.

 

“Come vuoi Samantha”.

 

Il viaggio proseguì in silenzio Daniel trovava Samantha molto bella anche se insopportabile. Non era certo il tipo di donna che si sarebbe augurato per sé. La pianura intorno all’aeroporto era desolata, la terra era arsa e si vedevano solo alcune palme; in lontananza qualche eucalipto. Le case erano basse, ad un piano e dei colori più svariati. Si andava da un bianco vivo, a un verde shocking, a un rosa pallido ad un azzurro. Intanto la donna dava segni di impazienza ma finalmente la vettura si fermò davanti all’albergo. Jones si rivolse alla ragazza.

 

“Eccoti arrivata: come hai voluto tu, ti ho scelto il primo albergo della città, anche se non sono d’accordo su questa scelta”.

 

“Perché?”.

 

“Perché in quest’albergo vengono tutti i faccendieri di Rubya. Tutta gente da prendere con le molle. Molto di loro hanno ucciso a sangue freddo e sono pronti a rifarlo. La hall è piena di loro e dei nativi che vogliono fare affari sporchi con loro. Non dimenticare che qui la maggior parte della gente che ha soldi, se li è fatti con il traffico d’armi. Non è un posto tranquillo. Inoltre tieni sempre presente che in Africa la vita umana vale zero”.

 

“Pensi che Marcus possa venire anche lui la sera a prendere qualche drink?”.

 

“Non lo escludo affatto. Da come lo descrivono, non è astemio. Inoltre qui vengono tutti. Ieri sera ho visto il presidente Moktar con cui è grande amico. Ma se c’è Moktar, non potrai avvicinarti né a lui né ai suoi ospiti. La polizia allontana tutti. Marcus se viene non si fa certo chiamare con quel nome”.

 

“Grazie comunque e buono a sapersi. Adesso vado a registrarmi. Chiamami oggi, dopo che avrai sentito il governo per l’intervista”.

 

Daniel ripartì sempre più convinto che quella ragazza fosse decisamente antipatica. Peccato in una donna così bella.

 

In camera sua, Samantha si era addormentata dopo essersi disfatta la valigia ed essersi fatta una doccia, la camera era bella e di buon gusto, anche se di uno stile un po’ obsoleto. Il letto però era comodo e lei si era abbandonata ad un sonno profondo. A un certo punto fu svegliata dal telefono. Alzò il ricevitore: era Jones.

 

“David, perché mi chiami adesso? Non dovevi chiamarmi verso sera?”.

 

“È sera mia cara Samantha. Sono scherzi dell’altitudine, hai dormito circa otto ore. È normale quando si arriva qui. Bisogna comprare l’aria”.

 

“Va bene, ma quando posso vedere Marcus?!”.

 

“Marcus? È come cercare di impugnare l’acqua, nessuno vuol dirti chi è e se sentono parlare di giornalisti peggio ancora. Poi ricorda che noi americani non siamo amati in Africa. Al governo sono stati molto evasivi. Hanno detto che chi gli può parlare non c’è e chiameranno appena possibile. Il che nella loro lingua vuol dire mai. Io proverò a richiamare domani”.

“Ho capito. Datti da fare David”.

 

Samantha chiuse la comunicazione e Jones ringraziò che non doveva portarla a cena quella sera. La trovava proprio insopportabile.

 

La ragazza mangiò un breve pranzo al ristorante dell’albergo. Il cibo era mangiabile, persino buono. La giornalista sentiva gli occhi di tutti che la guardavano. Ci era abituata, ma questa volta era diverso. Di solito erano sguardi di ammirazione per la sua bellezza. Questa volta sentiva la curiosità degli altri commensali, una curiosità a cui sentiva aggiungersi una forte ostilità. Pochissimi parlavano inglese. La maggior parte di loro parlava in lingue con forti suoni gutturali. Intuì che una doveva essere la lingua locale e che l’altra dovesse essere arabo. Capì che molto stavano parlando di lei, e il fatto di non comprendere la lingua la mandava in bestia, specie quando sentiva scoppiare una risata. Notò che tra questi c’erano anche degli europei e la cosa la indispettì ancora di più.

 

Dopo cena, si recò nella hall, ma non c’era la televisione e di nuovo notò che le persone si erano sedute a gruppetti come in sala da pranzo. Anche qui notò come la gente la guardasse con curiosità e sempre con diffidenza. Altro motivo di disappunto, fu la quasi totale assenza di donne. Lei era l’unica donna bianca.

 

Dopo qualche tempo, alcuni uomini iniziarono a dare segni di ubriachezza e qualcuno di loro iniziò a girarle intorno fissandola. Mentre passava diceva parole a lei incomprensibili e si metteva a ridere. Alla rabbia era subentrato l’imbarazzo. In America sapeva come avrebbe reagito, ma qui? Si accorse che se qualcuno rideva, dopo poco scoppiavano a ridere anche gli altri. Con gli occhi cercò per la sala gli europei che aveva visto durante il pranzo. Avrebbe voluto chiedere soccorso a loro, ma non si vedevano.

 

Sempre più adirata, Samantha decise di uscire e fare una passeggiata. Aveva dormito tutto il giorno e non aveva sonno. I taxi non le ispirarono fiducia. Erano vecchi scassati e sporchi. I taxisti erano vestiti male, nemmeno loro le ispiravano fiducia. Vide un bel viale che si snodava in discesa e istintivamente incominciò a percorrerlo. Era una notte senza luna e il cielo era pieno di stelle, tante come non le era mai capitato di vedere. La curiosità la porto a seguire una strada buia. Sicuramente senza le luci della strada e delle case avrebbe potuto ammirare meglio quello spettacolo. Proseguì in silenzio, era talmente ammirata da quella visione, le stelle sembravano talmente vicine, che sarebbe bastato allungare una mano per prenderle, che non si accorse di essere stata seguita.

 

Francesco Cordero di Pamparato

Fine prima parte (continua)

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 11/10/2020