L'intervista

Racconto di Francesco Cordero di Pamparato (seconda e ultima parte)

Leggi qui la prima parte.

 

Quando sentì dei passi dietro di lei, era ormai in un grande spiazzo aperto, molto lontano da qualsiasi edificio. Si accorse di essere stata molto imprudente, provò un attimo di brivido, ma si voltò. Vide due uomini che ridevano e che si stavano avvicinando. Erano dei locali, erano alti e ubriachi. La rabbia provata nelle ore precedenti ebbe il sopravvento sulla paura. Samantha quasi si lanciò sugli uomini. Con uno schiaffo colpì più forte che poté il più vicino. Non fu una mossa felice. I due uomini smisero di ridere e il loro sguardo si fece cattivo. L’uomo che era stato schiaffeggiato le rese la sberla, ma fu tanto forte da farla cadere.

 

Prima che potesse rialzarsi, l’altro uomo l’aveva presa per le braccia. La teneva a terra con tanta forza che non le consentiva di muoversi. L’altro le si rivolse in inglese: “Adesso ti faccio vedere io puttana americana”.

 

Samantha era terrorizzata, immaginava con disgusto cosa le sarebbe successo, e dopo... l’avrebbero uccisa? Era paralizzata per la paura.

 

Kalas!

 

La parola era stata pronunciata, secca come uno sparo da qualcuno che la ragazza non riusciva a vedere. Gli uomini si erano girati e la loro sicurezza sembrava svanita. Quell’uomo continuava a parlare con voce ferma in una lingua che la ragazza non riusciva a capire. Vedeva le due teste che di tanto in tanto facevano segno di annuire, sino a che i due uomini se ne andarono mogi mogi. Lei, ancora spaventata, finalmente ebbe modi di vedere chi era il nuovo venuto. Con sua sorpresa si accorse che era un bianco. Era alto sul metro e ottanta, di costituzione robusta, capelli neri cortissimi, un viso abbronzatissimo e con lineamenti regolari. Al buio non vedeva il colore degli occhi. Poteva avere un’età tra i quaranta e i cinquant’anni. Vestiva dei jeans, una maglia scura e un giubbotto scuro di pelle.  Come poteva essere riuscito a imporsi facilmente a quegli uomini del posto?

 

“Tutto bene miss? Niente di rotto? Immagino che se la sia vista brutta con quei due. Non sono cattivi, erano solo ubriachi”.

 

“La ringrazio è stata una bella fortuna che lei passasse di qui proprio adesso, grazie va tutto bene”.

 

“A dire la verità ho visto come quei due la guardavano già in albergo. Poi, quando ho visto che la seguivano, vi ho seguiti anch’io. Se non fosse successo niente, non sarei intervenuto, ma temevo che l’alcol avrebbe fatto brutti scherzi a quei ragazzi. Sono contento che non le sia capitato niente di grave. Ma mi pare che sanguini dal labbro”.

“Grazie non è niente, però le assicuro che mi sono molto spaventata. Adesso dorò tornare in albergo a farmi disinfettare”.

 

L’uomo le passò un braccio intorno alla vita.

 

“Venga, la porto in albergo”.

 

Samantha avrebbe voluto replicare, ma sentì la forza di quell’uomo nel suo braccio ed era ancora scossa per quello che le era successo, che per una volta accettò di sentirsi protetta. Era un qualcosa di nuovo cui non era abituata, ma non era spiacevole.

 

Arrivati in albergo, si accorse che di nuovo tutti la osservavano, ma questa volta non gliene importava più. Notò anche che il personale di sala conosceva molto bene il suo salvatore e lo trattava con deferenza. L’uomo la fece sedere su una comoda poltrona e ordinò a uno dei camerieri di passaggio: “Tecchiè porta due whisky, uno per Miss Browne e uno per me”.

“Sissignore” rispose il cameriere inchinandosi.

 

“Vedo che tutti la conoscono e la rispettano, ma lei sa il mio nome?”.

 

“Sono nato qui e tutti mi conoscono. Sono uno dei pochi bianchi rimasti, durante la guerra civile. Senza offenderla, Miss, tutti sapevamo già del suo arrivo, da quando il consolato americano ha prenotato la sua camera. Qui anche i muri hanno orecchi, non solo ma anche la bocca. A proposito, non ci siamo ancora presentati, io mi chiamo Andrea de Fontis”.

“Lei è italiano? Per il mio nome lo sa già”.

 

“Di origine sono italiano, ma come le ho detto, sono nato qui. Ho vissuto molto in questo paese, tanto che mi conoscono tutti. La mia famiglia ha una fattoria appena furi città. Ho studiato a Londra, poi ho viaggiato parecchio, soprattutto in Africa. In questo mondo mi trovo bene”.

 

“Lei conosce Marcus? Il famoso guerrigliero intendo”.

 

L’uomo sorrise e in quel momento Samantha ebbe un istante per studiarlo. Alla luce osservò quel viso angoloso, duro con gli occhi verdi. L’uomo, abbronzatissimo, aveva una struttura longilinea ma robusta e dimostrava molta disinvoltura e sicurezza di sé. Era un tipo notevole, anche se avrebbe potuto passare inosservato, qualora lo avesse voluto.

 

“Marcus? Miss, dica la verità, lei vorrebbe intervistarlo. Non glielo consiglio. Non si è mai fatto intervistare, la cosa non gli interessa. Proprio non vuole”.

 

“Come ha fatto a capirlo? Non si preoccupi, sono sempre riuscita a intervistare anche i più coriacei politici e uomini d’affari americani”.

 

“Qui siamo in Africa, Miss. Siamo in un mondo molto diverso. La gente si muove e si comporta secondo le proprie regole, che non sono quelle degli Stati Uniti”.

 

“Non mi ha ancora detto se lo conosce”.

 

“Miss, non faccia mai queste domande in Africa. Essere curiosi potrebbe diventare molto pericoloso, soprattutto per una persona come lei. Ricordi il detto. Non far domande e non ti diranno bugie. Ormai tutti sanno chi è e perché è venuta qui. Per quanto riguarda Marcus, è meglio non parlarne. Non gradisce che si parli di lui. Ora però devo andarmene miss, la mia fattoria è fuori città e vorrei arrivarci non troppo tardi”.

 

L’uomo si alzò, le baciò la mano e si allontanò con un passo lento ma deciso. La ragazza notò come si fosse fatto il silenzio quando Andrea si era alzato. Gli occhi di tutti lo avevano seguito sino alla porta, quando era uscito per salire su di un fuoristrada aperto.

 

Ora, quegli stessi occhi la osservavano con molta più considerazione. Samantha a quel punto non ebbe più dubbi: quell’uomo era Marcus. Sì, era sicuramente lui, ma perché non aveva fatto niente per non rendersi riconoscibile? Da come si era comportato, sembrava quasi si fosse voluto rivelare di proposito. Aveva forse voluto prenderla in giro? Sì, era proprio arrabbiata, quell’uomo avevo osato sfidarla, e lei le sfide, di solito, le vinceva.

 

Arrivata nella sua camera, chiamò al telefono suo padre. Il centralino locale ci mise un po’ a capire cosa voleva, ma dopo alcuni tentativi finalmente riuscì a collegarla con l’America.

Ciao Daddy, tutto bene, ho scoperto chi è Marcus, ma è un furbastro. Senti, tu conosci molta gente a Washington, non puoi far fare pressioni al governo locale perché Moktar convinca quel mercenario becero a concedermi l’intervista?”.

 

“Ciao baby, mi fa piacere sentire che stai bene. Ci proverò, ma non credo che sia tanto facile. L’unica possibilità è che con il nuovo governo, si possa ritardare qualche finanziamento. Non ci contare però e stai attenta. Hai bisogno di altro?”.

 

“No grazie, ti darò notizie al più presto”.

 

Il mattino dopo telefonò al Consolato, le dissero che Jones era in riunione, ma che sarebbe passato a prenderla per il lunch. Non sapeva cosa fare e così decise di andare a fare un giro in città. Il traffico era scarso, anche se in centro. Le macchine erano quasi tutte molto vecchie, i negozi avevano delle buffe vetrine dove la merce era accatastata alla rinfusa, tanto che quei pochi oggetti belli erano i meno visibili. C’erano pochi negozi di artigianato locale con molti oggetti di cattivo gusto, tranne le scarpe fatte a mano e oggetti in filigrana d’argento e oro. La colpì la gente: per la maggior parte si trattava di persone malvestite, ma che si muovevano con molta dignità, molto più dei ragazzi del suo paese.

 

A un certo punto un bambino molto piccolo, con il viso coperto di mosche, le chiese l’elemosina. Commossa, gli diede una banconota locale, il bambino la ringraziò moltissimo, ma subito dopo fu circondata da altri bambini, tutti piccoli e sporchi, che urlavano per avere un’elemosina anche loro. Qualcuno si aggrappava alla sua sottana e la tirava per farsi notare. Samantha, infastidita, cercò di allontanarsi, ma non riusciva a liberarsi da quel nugolo di marmocchi, che continuavano a girarle intorno urlando: “Please! Please! Give me money! Give me money!”.

 

Per liberarsene, si diresse verso un negozio di artigianato non lontano, ma quella miriade di bambini continuava a perseguitarla, urlando sempre più forte. Finalmente entrò nel negozio, mentre i ragazzini continuavano a schiamazzare al di fuori. Comprò alcuni oggetti insignificanti e intanto si accorse che le urla erano cessate. Usci e vide quella masnada che si stava allontanando dietro ad un ragazzo locale, che stava distribuendo loro un pacco di caramelle. La ragazza rimase per un attimo interdetta, quando vide dall’altro lato della strada Andrea de Fontis che saliva sul suo fuoristrada. L’uomo si voltò, le sorrise e le fece un gesto di saluto con la mano. Poi la macchina partì.

 

Samantha tornò in albergo ancora più furiosa. Tutti quei bambini e poi così sporchi le avevano macchiato e sgualcito la gonna e se qualcuno era malato? Magari le avevano trasmesso una qualche malattia infettiva. Si spogliò e si buttò sotto la doccia.  Dopo chiamò la lavanderia dell’albergo per farsi lavare il vestito.

 

Scese nella hall per il lunch con Daniel Jones. Il giovane funzionario era sempre un po’ agitato quando doveva vedersi con la giornalista. Sapeva del suo caratteraccio e del grande giro di conoscenze che il padre di lei aveva a Washington.

 

“Buongiorno Samantha, come va? Tutto bene da quando sei arrivata? A vederti si direbbe”.

 

“Lasciamo perdere Daniel, per favore. Ieri sera per poco due locali non mi violentano. Questa mattina sono stata aggredita da una marea di bambini che volevano l’elemosina. Decisamente le cose potevano andare meglio. A proposito, tu conosci un certo Andrea de Fontis? È lui che mi ha salvato ieri sera dai due che volevano violentarmi. È un personaggio strano. Abita in una fattoria fuori città. Ho la sensazione che sia lui Marcus. Gliel’ho chiesto, ma è stato elusivo”.

 

“Non avresti dovuto chiederglielo. Se è lui, adesso è sul chi vive. In effetti potrebbe essere lui, sempre che si chiami davvero Andrea De Fontis”.

 

“Come sarebbe a dire, perché, come potrebbe chiamarsi?”.

 

“Quell’uomo ha cinque passaporti di paesi diversi e tutti con nomi diversi. La fattoria è intestata ad una società svizzera. In quanto al resto pare che sia abilissimo a truccarsi in modo da cambiare facilmente identità. Si, è un tipo molto singolare. Non sappiamo se è una spia o cosa realmente faccia. La fattoria è recintata e nessuno riesce ad entrare se non di nascosto. Anche il governo lo rispetta molto. Ma cos’è che mi dici, hanno tentato di violentarti?”.

 

“Sì due giovani locali. Erano ubriachi. Mi ero allontanata a fare una passeggiata e mi sono persa. È stato proprio De Fontis a salvarmi. Non so come si trovava lì, ma l’ho trovato strano”.

“Non è prudente girare con il buio di notte. Delinquenza ce n’è poca ma non si sa mai. Ricordati che qui noi americani non siamo amati. Poi tu vai sempre in giro vestita elegante. Qui tutti girano dimessi, ti si nota già perché sei alta e bella, e bianca per di più, stai molto bene elegante, ma qui diventa uno sputo per provocarti”.

 

“Lascia perdere. Io voglio parlare con quel De Fontis, mi sembra uno che vuole fare troppo il furbo. Oggi voglio andare alla sua fattoria e mi farò ricevere”.

 

“Fai come vuoi Samantha, ma ricordati che qui la gente è brava a menare il can per l’aia. Per loro farti perdere la pazienza è un divertimento”.

 

“Staremo a vedere”.

 

Quel pomeriggio la ragazza si fece portare con un taxi sino alla fattoria. A un certo punto vide un alto reticolato che fiancheggiava la strada. La fattoria doveva essere grande a giudicare dalla vastità delle terre, che gli sbarramenti circondavano. L’edificio si vedeva in lontananza all’interno. L’ingresso era bloccato da una sbarra, di fianco c’era una garitta in cemento armato. Ne uscì un uomo che indossava una divisa mimetica e che imbracciava un kalashnikov. La ragazza si sforzò di apparire più gentile possibile.

 

“Buongiorno, sono Samantha Browne, vorrei parlare con Andrea De Fontis”.

 

“Signor De Fontis non c’è. Lui partito. Non c’è”.

 

“Io devo parlargli! È importante, quado lo trovo?”.

 

“Passa domani”. Detto questo, l’uomo rientrò nella garitta. La ragazza un po’ contrariata fu costretta a tornare in città. Nei tre giorni successivi, Samantha tornò ogni giorno alla fattoria, per sentirsi sempre dire la stessa frase. Ad ogni giorno che passava il suo disappunto aumentava. Non era abituata a vedere la gente che procrastinava in un modo così sistematico.

Come se questi contrattempi non le fossero bastati, la tintoria le aveva restituito la sua gonna azzurra molto più macchiata di prima. Ormai la sua rabbia era sul punto di farla scoppiare, quando suonò il telefono. Era suo padre: “Ciao Sammy come va? Ti do buone notizie, sembra che il capo dello stato abbia persuaso Marcus a concederti l’intervista. Aspetta e tra poco si farà vivo. Hai bisogno di altro?”.

 

“No grazie Daddy, mi hai dato l’unica notizia di cui avevo bisogno a presto!”.

 

Non passò molto che il telefono squillò di nuovo.

 

“Buongiorno Miss Samantha. Sono la segretaria di Andrea De Fontis. Andrea le concederà l’intervista giovedì della settimana prossima. L’aspetta al mattino. Adesso è via”.

“OK grazie”.

 

Samantha era felice, finalmente ce l’aveva fatta. Si certo, con piccolo un aiuto esterno, però prima di allora nessuno c’era riuscito.  Il famoso mercenario era proprio lui! Era compiaciuta di aver visto giusto! Ad un tratto si ricordò che il suo volo di ritorno era per il giorno prima. Certo non poteva rinunciare a quell’intervista. Poco male avrebbe cambiato il volo. Telefonò alla reception, e le dissero che sarebbe dovuta andare lei di persona alla compagnia aerea. Era una questione di sicurezza. Era una scocciatura, ma pazienza. Quando arrivò, si accorse che la situazione era più spiacevole di come pensasse. C’era molta gente ma la coda non era composta da persone in piedi. Ognuno era seduto su una seggiola o poltrona e a mano a mano che la coda si sgranava, ognuno si spostava da una seggiola all’altra. Avrebbe dovuto farlo anche lei. Il problema era che tra la gente che la precedeva c’erano alcune persone davvero sporche e lei sarebbe dovuta sedersi sulle stesse seggiole. Ormai era in ballo, ma era decisamente seccata. Questa volta però non avrebbe dato il suo vestito alla tintoria locale.

I giorni passarono e li utilizzò per scrivere alcuni articoli sul Paese. Fino a che giunse finalmente il grande giorno. Quel mattino Samantha puntuale si fece portare alla fattoria. La guardia armata, questa volta le sorrise e una macchina la prese per portarla alla casa a poche centinaia di metri. Era un edificio ampio, ma ad un piano solo e con un grande porticato che gli girava tutto intorno. Andrea era in piedi davanti alla porta. L’aiutò a scendere con modi molto affabili e le sorrise.

 

“Miss Samantha è un piacere averla mia ospite. Prego, benvenuta nella mia fattoria”.

 

“Grazie, molto gentile” rispose la ragazza con modi asciutti. Tra di sé non vedeva l’ora di iniziare l’intervista, erano giorni che si era preparata le domande più cattive da fargli. Finalmente si sarebbe vendicata di tutti i contrattempi e le disavventure che le erano capitate.

 

Intanto erano entrati in un ampio salone, arredato sobriamente, con qualche grande poltrona e uno spazioso sofà. La giornalista istintivamente si sedette sul sofà, da un lato vicino ad una poltrona. Andrea si avvicinò a quella poltrona e, indicando una bottiglia, le chiese se voleva bere qualcosa. Ad un rifiuto, si sedette sorridendo. Anche Samantha sorrise e tra di sé pensò che era giunto il momento per metterlo su di una graticola.

 

Proprio in quel momento, sentì il pavimento di legno scricchiolare. Da dietro al sofà era spuntato un magnifico grosso leone maschio. La grande bestia le si avvicinò e iniziò ad annusarla.

 

“Non abbia paura Samantha, è domestico e molto socievole, se vuole può accarezzarlo. A lui piace” disse l’uomo sorridendo. Tutta l’aggressività di Samantha si era dissolta. La paura le aveva tolto la parola.

 

Francesco Cordero di Pamparato

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Articolo pubblicato il 12/10/2020