Racconto di Francesco Cordero di Pamparato (seconda puntata)
Giovanni si aggirava pensoso per il grande salone del Castello. Guardò con rinnovato interesse quegli strani bassorilievi scolpiti sulle pareti e il pavimento a scacchiera. Tutte quelle “cose” erano quindi l’opera di qualche precedente abitante del castello, che aveva voluto lasciare un messaggio criptico ai posteri.
Era interdetto.
Un messaggio oscuro ha sempre una chiave di interpretazione. Lui, invece, quella chiave non la possedeva e non sapeva neanche come trovarla. Aveva sentito dire, ma non ricordava neanche da chi e quando, che gli appartenenti a certe società iniziatiche conoscevano il linguaggio dei simboli.
Il problema però non cambiava molto: chi fa parte di una società iniziatica non va in giro a parlarne. Non sarebbe stato facile decifrare i messaggi che il castello nascondeva. In fondo, pensò, non era neppure il suo problema principale. Il problema maggiore era un altro. Lo zio gli aveva lascito in eredità quell’antico maniero. Adesso che era suo, cosa doveva fare di quel benedetto castello? Tenerlo? Venderlo? Farne un qualche uso? Ma quale?
I castelli, per quanto ne sapeva, avevano un costo di manutenzione altissimo. Lui guadagnava bene, ma cambiare tenore di vita per mantenere quell’enorme costruzione era un’idea che non gli andava giù.
Venderlo? Non era certo facile, proprio per il costo di esercizio così alto, per di più apparteneva alla sua famiglia da chissà quanti secoli. Ebbe un momento d’imbarazzo. Adesso, che il proprietario era lui, avrebbe anche dovuto documentarsi sulla storia di quell’antico maniero e di come e quando era arrivato alla sua famiglia.
Un altro problema da non sottovalutare era la presenza del fantasma. Almeno così lui chiamava quell’entità che gli era apparsa la notte precedente. Cosa era successo realmente? Giovanni se lo chiedeva ma non poteva negare che qualcosa gli era comparso e si era messo in contatto con lui. Era un’entità strana, qualcosa che non aveva mai visto prima e nemmeno aveva mai pensato che potesse esistere. Era dunque un fantasma?
In fondo, era solo spostare i termini del quesito. Era un fantasma, va bene, ma che cos’era allora un fantasma? È davvero un essere umano defunto, che è rimasto sulla terra? È una creazione del nostro inconscio, un’allucinazione? O qualcosa che addirittura sfugge alla nostra fantasia? E se un fantasma è l’anima di un trapassato, perché alcuni defunti diventano fantasmi e altri no? Perché compaiono solo ad alcuni mortali?
L’entità gli aveva detto: “Io sono chi tu vuoi che io sia”.
Quella frase, invece di chiarirgli il quesito, glielo aveva reso ancora più complicato. Come poteva lui volere che un’entità fosse quello che lui desiderava? In un primo momento aveva pensato che fosse stato un sogno, ma dopo che la custode gli aveva chiesto com’era andato l’incontro con il fantasma, si era spaventato. Come faceva quella donna senza tempo a sapere che lui aveva visto il fantasma? E se il fantasma non fosse altro che una manifestazione di quella donna? Giovanni la osservò mentre si aggirava nella grande sala; alta e magra, con un viso che sembrava scolpito nel legno. Poteva avere qualsiasi età dai cinquanta in su. Camminava senza fare il minimo rumore. Chissà, forse era in grado di leggere nel suo pensiero. Proprio in quel momento la donna si voltò.
“Ha bisogno di qualcosa dottore?”
La sua voce aveva sempre un tono distaccato, gentile e fiero allo stesso tempo. Giovanni dovette ammettere suo malgrado che quella donna lo metteva a disagio.
“No grazie Ersilia, faccia pure quello che ha da fare”
“Come vuole dottore”.
La donna scomparve con tale rapidità, che Giovanni pensò che fosse passata attraverso ad un muro. Si, pensava, probabilmente era proprio lei il fantasma. Intanto il problema principale rimaneva. Cosa avrebbe dovuto fare lui, si proprio lui, con quel benedetto castello? Più rimaneva in quell’antica magione, più sentiva che qualcosa lo legava al vecchio edificio.
Quei messaggi oscuri legati al pavimento, alle sculture e ai bassorilievi avevano destato la sua curiosità. Poi c’era il fantasma o qualsiasi cosa fosse quella benedetta entità: era un qualcosa di vivo e pensante e non si può vendere un’entità pensante a cuor leggero. Infine i due custodi, quelli facevano parte del castello e forse esistevano già prima ancora che il castello fosse costruito. Per loro il problema sarebbe stato andarsene, non chi fosse il nuovo padrone, ma nessuno li avrebbe mai licenziati, bastava imporlo come clausola. Camminava lentamente e riflettendo tra sé e sé in quel salone che ormai gli era diventato familiare. Si avvicinò ad una bifora e guardò in basso nella valle. Lo spettacolo naturale era stupendo. Le colline degradavano dolcemente sino alla pianura. Le abitazioni erano scarse.
Il paesaggio non era cambiato molto dal tempo in cui il castello dominava la regione. Pensò alla battaglia che si era svolta laggiù alcuni secoli prima. Quasi gli parve di vedere i cavalieri medievali, lanciati alla carica gli uni contro gli altri. Come si svolgevano le battaglie medievali? Lui non lo sapeva, lo zio a suo tempo gli aveva detto che nei film le riproducevano malissimo, ma a parte quella dichiarazione, non aveva proprio idea di come si svolgessero. La voce, garbata ma secca, della custode lo scosse dai suoi pensieri.
“Dottore, mi scusi, ma qui c’è il sindaco con l’assessore alla cultura. Vorrebbero parlarle”.
Giovanni vide due uomini di mezz’età e di media statura, erano tipi abbastanza anonimi, ma li salutò con cortesia. Il sindaco prese quindi la parola per spiegare il motivo della visita.
“Scusi se la disturbiamo dottore, ma abbiamo saputo che lei era qui e, dato che non abbiamo il suo indirizzo di città, siamo venuti a trovarla. Volevamo parlarle di un problema che è sorto con la morte di suo zio. Noi gli avevamo commissionato di scrivere la storia del castello e quindi anche del paese, Lei sa certamente che suo zio era un importante studioso di storia locale, ma purtroppo è mancato e abbiamo pensato che potrebbe scriverla lei, l’unico che conosciamo della vostra famiglia. Sicuramente conoscerà benissimo la storia dei suoi avi.”
Gli occhi dei due uomini fissarono intensamente Giovanni, con sguardo indagatore. Questi era, ovviamente, imbarazzato; in tutta la sua vita non si era mai occupato della storia della propria famiglia. Doverlo però ammettere con quei due era un qualcosa che gli dava fastidio.
Il sindaco intanto proseguì: “Suo zio aveva già iniziato a scrivere qualcosa, una volta mi aveva mostrato degli appunti. Lei potrebbe continuare partendo da quelli…”
“D’accordo, farò così. Presto le farò sapere qualcosa.”
“La ringrazio dottore, molto gentile. Ci ha risolto un bel problema. Non vedo l’ora di leggere i primi capitoli.”
I due si accomiatarono e Giovanni avrebbe voluto tagliarsi la lingua. Non sapeva neanche lui perché aveva accettato. Non aveva mai scritto niente in vita sua. Non aveva la minima idea di come scrivere un libro. Forse però, con gli appunti dello zio, avrebbe potuto farcela. Chiamò la cameriera.
“Ersilia, lei sicuramente sapeva che mio zio stava scrivendo la storia del castello, vorrei consultare i suoi appunti potrebbe portarmeli?”
“Certo che sapevo che suo zio stava scrivendo la storia del castello, e anche quella del paese! So anzi che era a buon punto, ma dove abbia lasciato i suoi appunti, non l’ho mai saputo. Su queste cose suo zio era molto riservato. Non credo nemmeno che abbia riposto quegli scritti in cassaforte.”.
Giovanni si sentì sprofondare in una voragine di disperazione. Adesso come avrebbe potuto fare? Trovare uno scritto nascosto in quel grande edificio era come trovare un ago in un pagliaio. Per tutto il giorno lui, Ersilia e il marito cercarono quei benedetti appunti in lungo e in largo.
Nessun risultato.
Il manoscritto era proprio introvabile. Giovanni cenò senza appetito tanto che Ersilia rimase male a veder tornare indietro quasi tutto quel ben di Dio che gli aveva cucinato.
Dopo cena, il nuovo proprietario del castello, stanco e sconsolato, si buttò sul letto per dormire. Faticò non poco a prendere sonno. Infine la stanchezza lo vinse. Giovanni cadde finalmente in un sonno profondo. A un certo punto della notte, non sapeva che ora fosse, l’immagine luminosa gli comparve di nuovo. Di nuovo Giovanni gli chiese:
“Chi sei? Un fantasma? Come mai sei rimasto tra i mortali?”
“Non ti pare di aver problemi più urgenti da risolvere, che lo scoprire chi sono?”
“Ma tu come vai a sapere quali sono i miei problemi? Leggi nel pensiero o cosa?”
“Se mi lasciassi fare, senza farmi domande inutili, forse potrei aiutarti”.
“Ma come?”
“Proprio non vuoi perdere il vizio di fare domande quando non è il caso. Se non sbaglio, tu dovresti scrivere la storia di questo castello, ma non sai come fare.”
“E tu vorresti dettarmela? Ma io non so come si scrive un libro.”
“Perché non leggi gli appunti di tuo zio? Aveva quasi finito il libro.”
“Ma come? Quegli appunti sono introvabili.”
“Non lo sono affatto. Tu non hai cercato dappertutto, hai dato per scontato che altri potessero trovarli, ma non è così. Nessuno può trovare ciò che non può capire. La luce ti verrà da dove viene la luce.”
Giovanni avrebbe voluto chiedere spiegazioni di quel discorso sibillino, ma l’immagine si era dissolta senza lasciargli possibilità di parlare.
Il mattino dopo si svegliò un po’ confuso, ma non gli occorse molto tempo per ricordare il dialogo della notte precedente. Lo aveva colpito l’ultima frase del fantasma o di cosa era. La luce ti verrà da dove viene la luce. Cosa voleva dire con quel discorso arcano? Oltre a quello, cosa voleva dire Nessuno può trovare ciò che non può capire. Era un discorso di difficile interpretazione.
Uscì pensoso nel cortile. Era impossibile non ammirare quella massiccia costruzione. Le mura esterne erano imponenti, ma anche quelle interne del maschio erano particolarmente robuste e grandiose. Osservò come le torri fossero disposte in corrispondenza dei punti cardinali. Solo quella rivolta verso est al momento era illuminata dal sole. Era in quell’ala che aveva vissuto lo zio. Era proprio in quella torre che aveva lo studio. La luce ti verrà da dove viene la luce. La luce viene da oriente pensò e si ricordò che quell’area, il giorno prima, era stata ispezionata da Ersilia. Giovanni si precipitò in quelli che erano stati gli appartamenti dello zio. Non era mai stato nello studio. Fu sbalordito nel vedervi un computer. In quel momento ricordò la seconda frase che non aveva compreso:
Nessuno può trovare ciò che non può capire.
Certo Ersilia non sapeva usare il computer, ma lui sì. Per quello la donna non aveva pensato a cercarlo in quello strano arnese? Con stupore si accorse che era stato acceso da poco. Chi aveva potuto farlo? Preferì non pensarci. Mosse il mouse, il salva schermo sparì e sul monitor comparve un file di testo “progetto per la storia del castello”. Lo scorse rapidamente. Era un grosso file di testo. Comprendeva molti appunti e molte indicazioni bibliografiche. C’era abbastanza materiale per costruirvi sopra un buon libro.
Giovanni ebbe un pensiero: Grazie fantasma o qualunque cosa tu sia.
Francesco Cordero di Pamparato
Fine seconda puntata (continua)
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Articolo pubblicato il 19/10/2020