Un uomo un castello e…

Racconto di Francesco Cordero di Pamparato (terza puntata)

Giovanni ormai passava i suoi giorni liberi al castello. Di solito arrivava il venerdì sera e ripartiva il lunedì mattino. Qualche volta invitava gli amici, ma molti di loro, dopo aver sentito che forse quell’antico edificio era abitato da un fantasma, rifiutavano di tornare. Di solito adducevano strane scuse, ma Giovanni comprendeva facilmente qual era il motivo reale per cui non volevano ritornare. Oramai aveva ereditato quel maniero da alcuni mesi e incominciava ad affezionarcisi. In fondo era un pezzo della storia della sua famiglia. Aveva sì il difetto di avergli fatto perdere alcuni amici, ma se lo avevano abbandonato, voleva dire che non erano amici veri.

Grazie agli appunti, trovati nello studio dello zio, ora stava scrivendo la storia della sua famiglia e del paese. Non era poi così difficile, dato che erano due realtà molto collegate tra di loro. A mano a mano che leggeva libri, scritti dagli antichi cronisti della regione e l’archivio di famiglia, la storia del castello gli diventava più chiara. Quel grande salone, che gli era sempre sembrata una struttura misteriosa, gli diventava sempre più famigliare da quando leggeva la storia dei suoi avi.

Passava lunghe ore nella torre a studiare i testi antichi e gli appunti che lo zio aveva lasciato, quindi a scrivere. Più leggeva, più sentiva che la sua curiosità verso il trascorso della propria famiglia aumentava.

Ogni giorno imparava qualcosa di nuovo e ne era sempre più affascinato. Molti dei suoi interrogativi sul passato avevano trovato una risposta, e questo lo riempiva di soddisfazione, però, per ogni quesito che veniva sciolto, nella sua mente se ne formulavano almeno altri due.

C’era sempre qualcosa che gli sfuggiva. Nella storia che stava studiando, c’era un aspetto letterale che diventava ogni giorno più chiaro. Giovanni però avvertiva che c’era un significato recondito, nascosto, che ancora non era riuscito a cogliere. Alcuni oggetti, come le tante sculture del salone, continuavano a guardarlo in un modo, che gli dava l’impressione volessero comunicare con lui, ma che fosse lui a non sapere cosa e come rispondere. La strana entità non gli si era più manifestata, altrimenti avrebbe ben saputo a chi chiedere, ma così molti enigmi rimanevano insoluti.

Un mattino stava riflettendo su questo risvolto del suo lavoro di ricerca, quando Ersilia, la cameriera custode si materializzò di colpo, come sua abitudine. Giovanni la guardò in silenzio. Quella donna senza tempo gli procurava sempre un certo senso di disagio. Tante volte si era chiesto se passava attraverso ai muri, se per caso non era lei il fantasma, ma non era mai riuscito a darsi una risposta. 

La donna, come d’abitudine, parlò con un tono misto di sussiego e di distacco:

“Dottore è arrivata la signorina Carla. Sta parcheggiando la macchina nel cortile. Ho pensato di avvisarla.”

Giovanni non ebbe il tempo di dare una qualsiasi risposta, che Ersilia si era smaterializzata come suo solito. Adesso avrebbe dovuto sentire cosa aveva da dirgli la nuova venuta, anche se già lo immaginava. Lui e Carla vivevano una storia infinita, che durava da molti anni. Era uno di quei rapporti che procedono a corrente alternata, per qualche tempo bene, poi un litigio e conseguente peggioramento, poi di nuovo bene e così via ormai da una diecina d’anni. La sua compagna era una donna in carriera, molto compresa del proprio ruolo, bionda, alta, atletica, forse un po’ mascolina. Entrò nello studio di Giovanni con il fare dell’eroina di un dramma teatrale.

“Giovanni, volevo parlarti di questa strana vita che ti sei messo a fare. Già il mio lavoro mi impegna molto, ma quando sono libera, tu sei qui, immerso in queste scartoffie e non ti interessi più né di me né dei nostri amici. È una situazione alquanto seccante. Non ti pare di esagerare con questa mania di passare tutto il tuo tempo libero in questo benedetto castello?”

“Non è affatto una mania, mio zio aveva concordato con il comune di scrivere la storia della nostra famiglia e del paese e, visto che lui è morto, tocca a me farlo. Per di più, mio zio aveva concordato anche una data, cioè l’anniversario della festa del paese e quindi adesso mi tocca sbrigarmi per finire in tempo. Poi, tu forse non mi crederai, è veramente interessante conoscere cosa hanno fatto i miei avi in questa regione. Io, per tanti anni, me ne sono completamente disinteressato, ma adesso più leggo più scopro cose interessanti sulla mia famiglia. Si tratta di cose che sento di dover conoscere. E poi sarà ancora questione di un paio di mesi, e avrò finito. A quel punto potrò tornare a fare la vita di prima. Non appena avrò finito, potremo di nuovo vederci con la solita regolarità.”

Carla diede manifesti segni di insofferenza.

“Belle parole! Però tu passi qui tutti i week-end e mai che mi inviti a venire qui e stare insieme almeno due giorni la settimana! Hai qualcosa contro di me? Sentiamo, voglio vedere quale scusa mi inventerai questa volta!”

Giovanni per un istante fu tentato di raccontarle del “fantasma” ma si bloccò subito. Una donna pragmatica e priva di fantasia come Carla non ci avrebbe mai creduto. Per un momento pensò anche di farla restare, ma come avrebbe reagito se il fantasma si fosse manifestato? Non c’era che un modo per saperlo: farla fermare.

“Cara, non ti ho mai proposto di fermarti, perché qui le camere sono piuttosto rustiche, i bagni sono un po’ antichi e i letti sono un po’ duri.  Se però ti adatti e vuoi fermarti, sai benissimo che mi farai molto piacere, ma non prendertela con me se la sistemazione non è molto accogliente.”

La donna sorrise e lo abbracciò teneramente.

“Sarà un piacere passare il week-end con te. È da tanto che non ne passiamo uno insieme…Mi fa molto piacere.”

La giornata trascorse con Carla, che passò il suo tempo a esplorare il castello, mentre Giovanni continuava il suo lavoro sull’archivio di famiglia e sugli appunti dello zio. Rimasero insieme solo durante i pasti, serviti nel salone da un’Ersilia visibilmente imbronciata. Giovanni constatò con rammarico che, la prima volta che la cameriera manifestava un sentimento, manifestava emozioni negative. Dopo cena, andarono a letto presto, come di consueto al castello. Passarono insieme alcune ore molto belle, poi si addormentarono. Giovanni cadde in un sonno profondo. Fu svegliato di soprassalto, dopo un tempo imprecisato, da un terribile grido di terrore. Ci mise qualche istante a prendere conoscenza e vide Carla, seduta sul letto, con il viso contatto in una smorfia piena di sgomento, che guardava dritto di fronte a sé. Guardò anche lui in quella direzione e vide quello che già sapeva potesse essere successo. Di fronte a loro era apparsa la solita immagine luminosa. Questa volta era più nitida del solito e aveva assunto le sembianze di un cavaliere del Quattrocento. L’immagine non disse niente, fece un inchino, li guardò con un ghigno poco piacevole, in fine scomparve, passando attraverso al muro.

Carla rimase per un breve tempo in silenzio respirando affannosamente. Poi, di colpo, scattò in piedi. Era furiosa.

“Tu! Tu hai voluto prendermi in giro! Mi hai fatto prendere un terribile spavento! Che cos’era quell’immagine luminosa? Un fantasma o un gioco di luci? No, tu sei un commerciale e non un tecnico, tu non sapresti mai fare un gioco di luci di quel genere. Quello era un fantasma e tu non mi hai detto niente!”

Mentre parlava si stava rivestendo rapidamente.

“Ma cara, se ti avessi detto che qui c’era un fantasma, mi avresti creduto? Non avresti detto piuttosto che era una scusa inventata da me per convincerti ad andartene? Pensaci un momento, oggi, se non li vedi, ai fantasmi proprio non ci crede nessuno. E poi ti assicuro che questo è innocuo. L’ho visto tante volte e non mi ha mai fatto niente di male. Non c’è da avere nessuna paura, ti assicuro.”

“Tutte storie, lo hai fatto perché ti volevi liberare di me. Ci sei riuscito! Addio.”

Detto questo, Carla prese la borsa con le sue cose, aprì la porta e si allontanò rapidamente. Giovanni avrebbe voluto fermarla, ma qualcosa, che non riuscì a comprendere, lo trattenne. Spense la luce e mandò tra sé un accidente al fantasma.

Sentì una voce che gli diceva

“Non prendetela, Giovanni, se ti vuole davvero bene tornerà, ma mi sembra che in fondo a te che di quella donna importa poco e che lei lo abbia capito.”

Giovanni dovette ammettere che quella voce aveva ragione.

“Inoltre, in questo momento, in te sta avvenendo un cambiamento, tu, anche senza accorgertene, hai intrapreso una via della conoscenza che ti sta trasformando. Non sei più quello di prima e non sei ancora quello che diventerai nei prossimi mesi. Oggi i tuoi interessi sono cambiati e ti poni degli interrogativi, che una volta non ti saresti nemmeno immaginato di porgerti. Quando avrai trovato la risposta, avrai completato l’opera e vedrai tutto con un’ottica diversa. Allora potrai capire quale sia la donna giusta per te e quali gli amici veri.”

Giovanni si riaddormentò ed ebbe un lungo sonno senza sogni.

Il mattino seguente si alzò più tardi del solito. Non era ancora entrato nel salone, che Ersilia si materializzò, con il vassoio della colazione. Questa volta il suo viso esprimeva soddisfazione. Giovanni fece rapidamente colazione, quindi si recò nel suo studio. Di colpo, mentre stava dando uno sguardo alla libreria, il suo sguardo fu attratto da un volume antico, che non aveva nessun titolo sul dorso. Doveva essere lì da secoli, ma mai prima di allora lo aveva notato. Lo aprì: era un trattato di simbolismo medievale. Scorse alcune pagine e vi vide raffigurati le stesse figure che erano scolpite nel salone. Un raggio di luce attraversò la coltre di nubi e per un istante si posò sul libro.

Giovanni si chiese se il fantasma e il castello non fossero diventati padroni della sua vita.   

Francesco Cordero di Pamparato

Fine terza puntata (continua)

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 20/10/2020