Torino, 21 e 22 settembre 1864, la prima strage insabbiata

Di Roberto Gremmo

Quest’anno le vittime delle “giornate di sangue” di Torino del 21 e 22 settembre 1864 non sono state commemorate in alcun modo. A ricordo di questo triste avvenimento, riporto questo articolo scritto da Roberto Gremmo, apparso sul giornale “La nuova Padania” del 17 settembre 2020 (m.j.).

 

Biglietto da visita di Stato: Torino, 21 e 22 settembre 1864, la prima strage capitale insabbiata

di Roberto Gremmo – Il 21 e 22 settembre 1864 la nuova Italia unita ed imperialista che aveva regalato alla Francia Nizza e Savoia dopo aver invaso Stati sovrani e colonizzato le loro popolazioni, mostrava il suo volto più sanguinario massacrando a Torino decine di popolani inermi che stavano manifestando pacificamente contro lo spostamento della capitale a Firenze.

Quelle tragiche giornate di sangue torinesi non sono state dimenticate e sono una ferita ancora aperta.

Segnano la dolorosa frattura fra un Popolo che aveva per secoli seguito con disciplina la Dinastia Sabauda ed i regnanti del ramo Carignano che indegnamente e spregiudicatamente aveva avuto la corona reale, dopo la morte dell’ultimo discendente diretto di Emanuele Filiberto che proprio Torino aveva voluto come capitale.

Le ragioni della protesta popolare del 1864 sono note. Traevano motivo dal sicuro impoverimento economico della città che veniva ‘scippata’ delle sue più importanti funzioni ma prendevano forza dal rancore giustificato dei Piemontesi che si sentivano, a giusta ragione, traditi, abbandonati ed impoveriti.

Di fronte al malcontento, una classe politica straniera almeno nella mentalità, capeggiata dal toscano Peruzzi e sostenuta dai politicanti nostrani già pronti a trasformarsi in ‘italianissimi’, aveva fatto brutalmente ricorso alla maniera forte, ordinando a poliziotti, carabinieri e soldati di sparare ad altezza d’uomo sulla folla inerme.

Restarono sul selciato almeno una sessantina di morti e nel fuggi fuggi generale diversi poveracci rimasero più o meno gravemente feriti.

Senza colpa alcuna.

Un’inchiesta sbrigativa doveva insabbiare l’episodio, pur ammettendo che gli spari dei poliziotti e dei soldati erano stati ingiustificati. Solo in seguito, si seppe che fra i dimostranti agivano di nascosto degli abili provocatori, infiltrati fra la folla per giustificare la folle reazione militarista.

Al funerale delle 62 vittime partecipò una folla immensa, praticamente l’intera Torino d’allora, con in prima fila i primi rappresentanti delle “Società di Mutuo Soccorso” operaie che stavano appena nascendo in Piemonte, Liguria e Lombardia (lì soltanto; a riprova della diversità culturale rispetto alle altre Regioni d’Italia).

Quella del 1864 non doveva essere l’unica strage sabauda a Torino.

I soldati tornarono a far fuoco sulla folla inerme nell’estate del 1917 quando Torino, unica fra le grandi città europee in guerra, manifestò per il pane e per la pace. Vi fu un numero imprecisato ma consistente di morti e di feriti, quasi tutti donne e bambini, perché gli uomini erano stati mandati a farsi ammazzare nelle trincee.

Ancora il 26 luglio 1943 davanti alle carceri Nuove, due operai che con decine di compagni di lavoro inneggiavano alla fine della guerra dopo la caduta di Mussolini furono uccisi dai soldati del Re per ordine del generale Adami Rossi che voleva imporre l’ordine ad ogni costo.

Dopo anni di oblio, i martiri torinesi del 1864 sono stati celebrati soltanto con la nascita del movimento autonomista. Nell’autunno del 1980 eravamo appena in tre, con il giovane Fabro Arnaud che sventolava il “drapò” nazionale e barba Tòni Baudrier a parlare in lingua piemontese con uno scassato megafono ad una piazza vuota dove io solo facevo da pubblico.

Ricordavamo in mezzo alla nebbia ad una città distratta ed opulentamente ‘fiattizzata’ che sul monumento del “Caval ‘d Brons” di piazza San Carlo ci sono ancora i segni delle pallottole del tragico eccidio.

Biglietto da visita d’un Italia violenta, militarista e criminale.

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Articolo pubblicato il 22/09/2020