Non è "Vistoso e banale piemontesismo" ricordare la strage cittadina del 1864

di Roberto Gremmo

Con grande dispiacere ho appreso oggi che ci sono torinesi infastiditi dalla commemorazione dei morti torinesi delle “giornate di sangue” del 21 e 22 settembre 1864. E non sto parlando delle molte persone comuni con cui ho avuto contatti, e talora scontri, in occasione delle passate celebrazioni: persone ignare della strage, magari sospettose verso il drapò visto come bandiera di un preciso partito politico e non come simbolo del Piemonte, o semplicemente alla ricerca di una passeggiata in centro senza complicazioni “storiche”. No, questa volta si tratta di un illustre intellettuale torinese che esprime le sue sprezzanti considerazioni sulla base del rispetto del “mito fondante” del Risorgimento.

“I peggiori nemici del Piemonte sono spesso i Piemontesi”, la considerazione non è mia ma mi pare molto adatta a questa circostanza. Nessuna analisi storica, nessun “mito fondante” possono permetterci di giustificare l’uccisione di persone innocenti, tra cui due donne. Ho quindi deciso di riportare l’articolo di Roberto Gremmo apparso su “La nuova Padania” di oggi, 28 settembre 2020, come adeguata risposta alle esternazioni dell’illustre intellettuale torinese (m.j.).

 

Non è “Vistoso e banale piemontesismo” ricordare la strage cittadina del 1864

 

Non ha atteso due giorni il gran maestro del laicismo Torinese per lanciare i suoi strali contro il “vistoso e banale piemontesismo”, imputato di aver voluto ricordare la strage cittadina del 1864, un tragico evento simbolico che segna la fine del nostro vecchio Piemonte. Con fastidio e disprezzo, sul quotidiano “Il Torinese”, Franco Quaglieni critica duramente la commemorazione dei 62 morti innocenti da parte del Comune e lo accusa di non avere il senso della storia per essersi dimenticato di festeggiare il 20 settembre, giorno dell’invasione militare del pacifico e neutrale, Stato sovrano del Papa.

A me pare invece più che doveroso l’omaggio alle vittime d’una violenza militarista e semmai andrebbe biasimato il colpevole disinteresse della Regione, ancorché a guida semi-sovranista. Ognuno ha i suoi “miti fondanti”, caro Quaglieni. Quello della “terza Roma” è stato alla base dell’isteria massonica che ha portato ai 600mila poveri popolani morti del primo conflitto mondiale ed al Fascismo mentre quello nostro, da lei bollato come “revisionismo piemontardo”, è il nostalgismo per un Piemonte unito a val d’Aosta, Nizzardo e Savoia, unico orizzonte di Casa Savoia prima dell’avvento del cadetto e caduco ramo Carignano che sconvolse la “Patria Cita” con guerre sanguinose di conquista, intrighi, avventure militariste e cancellazione delle identità culturali dei vari Popoli della Penisola.

Celebrare il 20 settembre? Certo, ma solo la battaglia del 1860 a Caiazzo dove i fedeli armati di Francesco II e del duca di Caserta misero in fuga i “picciotti” di Garibaldi. L’ultima vittoria dei soldati meridionali prima di essere deportati a migliaia nel campo di concentramento di Lombardore, primo lager dell’Europa moderna. Un’altra vergogna che nessun senso mitologico della storia scritta dai vincitori può cancellare.

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Articolo pubblicato il 28/09/2020