Le tradizioni popolari "a la manera ‘d Gianduja"

L’indimenticabile Andrea Flamini e la Famija Turineisa per mantenerne viva l’immagine

Le tradizioni popolari sono argomento piuttosto delicato da affrontare, poiché entrano in gioco aspetti che riguardano l’identità, con il rischio di derive ideologiche. Un rischio che Giorgio Enrico Cavallo, con eleganza sabauda, ha saputo bypassare nella sua preziosa monografia: A la manera ‘d Gianduja.

 

Un bel libro che ci voleva, dopo oltre quarant’anni dall’opera sull’identico argomento di Gec (E. Gianieri), che si avvaleva di strumenti filologici e approccio storiografico necessariamente datati.

Quello di Cavallo è un libro che affronta tutte le tematiche connesse all’amata maschera torinese: dalla sua origine al suo legame con burattini e marionette, dal ruolo di Gianduja nelle questioni socio-politiche della città (il trasferimento della capitale in primis) al lavoro svolto dall’Associassion Piemontèisa con l’indimenticabile Andrea Flamini e dalla Famija Turineisa per mantenerne viva l’immagine.

 

Ma sono veramente tanti gli aspetti, le curiosità e le notizie che questo libro raccoglie e propone con un linguaggio sempre coinvolgente.

 

Troppo spesso, purtroppo, abbiamo un’idea retorica di Gianduja: infatti viene con frequenza posto in relazione al delirio festaiolo, al Carnevale, alle mangiate e soprattutto alle bevute… Insomma uno stereotipo tanto vicino a quello più superficiale che contrassegna alcune delle “maschere locali”: figure che in alcuni casi sono costrette a essere ombre di se stesse, violentate da atteggiamenti in cui il campanilismo risulta rivisto e corretto da un’interpretazione superficiale e troppo materialista.

 

Nato come burattino, il buon Gianduja è contrassegnato da un background culturale e storico che attraversa l’articolato e non sempre facilmente ripercorribile cosmo del Risorgimento italiano, sostenendo i primi vagiti dell’unità d’Italia.

 

Gianduja veste come un servitore del Settecento ma nasce in età napoleonica, probabilmente nel 1802 per opera della fantasia di Giovanni Battista Sales e Gioacchino Bellone come evoluzione di un burattino più antico, chiamato Giròni (Gerolamo). L’aspetto lo contestualizza come figlio della sua epoca: livrea, parrucca con il codino, scarpe con la fibbia.

 

L’itinerario tracciato dall’etimologia ci conduce attraverso diverse “scuole di pensiero” che vorrebbero possedere la chiave per risalire alla genesi del nome Gianduja: ma la storia si complica, poiché, come ci rivela Cavallo, le radici di quel nome affondano in un vero e proprio groviglio semantico, che l’autore smonta e rimonta, giungendo a interpretazioni anche originali e innovative.

Così come ridimensiona il luogo di nascita della nota maschera torinese: niente Callianetto, con buona pace del locale Ciabòt ëd Gianduja.

Comunque, al di là di questioni che potrebbero sembrare ristrette ad ambiti limitatamente locali, il libro si apre a ventaglio su tantissimi aspetti della tradizione, non solo piemontese, proponendo vari percorsi di lettura e suggerendo numerosi spunti per tutta una serie di approfondimenti.

 

 Giorgio Enrico Cavallo, A la manera ‘d Gianduja, Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, pag. 192, 10,00 Euro.

 

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Articolo pubblicato il 04/10/2020