Torino. Le diverse Anime del Romanticismo Tedesco

La Stefano Tempia riprende la sua attivitŕ concertistica con un brillante recital del pianista Umberto Santoro.

Giovedì 15 ottobre alle ore 21 nel Teatro Vittoria di Torino (Via Gramsci 4) partirà La Bella Stagione continua dell’Accademia Corale “Stefano Tempia”, ministagione di recupero dei concerti cancellati in primavera a causa della pandemia di Covid-19, che comprende quattro appuntamenti nel segno di Ludwig van Beethoven, compositore di cui quest’anno il mondo celebra il 250° anniversario della nascita. Nel primo concerto il pianista Umberto Santoro abbinerà due delle sonate più conosciute e amate di Beethoven a pagine di Johannes Brahms e di Franz Liszt.

 

Nel 1760 a Londra venne pubblicato in forma anonima un volume di canti di Ossian, un leggendario bardo irlandese, che evocava le atmosfere cupe e tenebrose di un remoto passato, popolato da arditi guerrieri perennemente in lotta contro nemici crudeli e le oscure insidie di una natura selvaggia. Il libro ottenne subito uno straordinario successo, al punto che Ossian venne soprannominato l’“Omero nordico”. In realtà, queste scabre liriche, in cui il dolore e la morte sono sempre presenti, erano state scritte dal poeta scozzese James MacPherson, ma la loro fama si diffuse rapidamente in tutta Europa, al punto da diventare una sorta di manifesto dell’insopprimibile bisogno di interiorità del Preromanticismo sulla razionalità dell’Illuminismo e di dare vita a una generazione di giovani artisti tormentati, i cui esponenti più conosciuti sono il goethiano Werther e il nostro Jacopo Ortis.

 

In campo musicale, sui versi di Ossian scrissero Lieder e ballate molti compositori, tra cui Franz Schubert e Carl Loewe, e alle evocazioni di queste poesie si ispirò Felix Mendelssohn per l’ouverture La grotta di Fingal, meglio nota come Le Ebridi. Questa ventata di suggestioni celtiche mantenne una insospettabile freschezza per decenni, come dimostra il fatto che nell’estate 1854 – quasi un secolo dopo l’uscita del libro di MacPherson – il ventunenne Johannes Brahms basò la prima delle sue quattro Ballate op. 10 – considerate da molti commentatori moderni tra le opere pianistiche più emblematiche della prima maturità del grande maestro amburghese – sul poema Edward, scritto in perfetto stile ossianico dal filosofo e letterato tedesco Johann Gottfried Herder. Non si può che rimanere colpiti dai toni profondamente drammatici con cui il giovane Brahms traduce in musica il dialogo in cui Edward confessa penosamente alla madre di avere ucciso suo padre, indulgendo su dettagli di macabro realismo, fino alla maledizione che alla fine il giovane rivolge a se stesso. Il dramma procede spedito e con toni estremamente coinvolgenti, senza aggiungere alcuno sviluppo tematico, delineando con potente eloquenza l’oscura atmosfera celtica che pervade la luttuosa vicenda.

 

Di carattere fortemente contrastante sono le altre tre ballate, la seconda intrisa di una vena melodica che preconizza già il Brahms più maturo con la sua sfuggente introversione, la terza un intermezzo concepito in forma di scherzo drammatico e la quarta un brano dai contenuti delicatamente meditativi, che ricordano a tratti lo stile di Robert Schumann, mentore del giovane Brahms, che definì la prima ballata «pagina strana e nuova», un giudizio che ne testimonia la straordinaria originalità.

 

Composte a poco più di un anno di distanza, le Sonate op. 22 e op. 27 n. 2 – quest’ultima universalmente nota con il titolo “Al chiaro di luna” – incarnano le due anime del trentenne Beethoven, la prima con una scrittura brillante che esprime chiaramente il piglio ottimista del giovane virtuoso arrivato dalla città provinciale di Bonn per conquistare la capitale dell’impero asburgico e la seconda pervasa da una toccante sensibilità, che anticipa i capolavori della piena maturità.

 

Strutturata non in tre ma in quattro movimenti come le sinfonie coeve, la Sonata n. 11 in si bemolle maggiore op. 22 si apre con un Allegro con brio dai toni spiccatamente virtuosistici, nei quali si insinuano parecchi spunti cantabili, dai quali traspare la joie de vivre di un musicista che sentiva di avere di fronte a sé un futuro promettente e ricco di soddisfazioni. A questo tempo fa seguito un Adagio con molta espressione sereno e intensamente melodico, che rifugge da ogni forma di nostalgia a favore di un sinuoso lirismo, che si colloca nel solco tracciato dagli Andanti delle sinfonie di Haydn e che qualche decennio più tardi sarebbe giunto all’incanto dei notturni dei grandi autori romantici. Dopo questa oasi contemplativa, Beethoven inserisce un Minuetto – retaggio della sonata settecentesca – il cui incedere sbarazzino viene controbilanciato dalla maggiore intensità del Trio e chiude l’opera con un vorticoso Rondò ricco di spunti di sicuro effetto, pensato per fare colpo sul raffinato uditorio che frequentava i salotti viennesi prima dell’occupazione napoleonica.

 

«La Sonata è inappuntabile. Questa fantasia dalla perfetta unità sembra uscita di getto, ispirata da un sentimento intimo e profondo e, per così dire, scolpita in un solo blocco di marmo». Con queste frasi il critico dell’autorevole (e severissima) Allgemeine Musikalische Zeitung recensì la Sonata n. 14 in do diesis minore op. 27 n. 2, che Beethoven definì “Sonata quasi una fantasia” e che ottenne il titolo “Al chiaro di luna” solo più tardi, per ragioni squisitamente commerciali. Su questa opera immortale circolano parecchie storie, la più nota delle quali si riferisce all’amore non corrisposto di Beethoven per la sedicenne Giulietta Guicciardi, fatua rampolla dell’aristocrazia austriaca, mentre secondo il violinista Karl Holz – che disse di essere stato informato dallo stesso Beethoven – l’Adagio sostenuto iniziale sarebbe stato improvvisato dal compositore accanto al cadavere di un amico.

 

Comunque sia, questo lavoro non solo ha commosso nel corso degli ultimi due secoli milioni di ascoltatori, ma è anche una delle opere in cui il Titano di Bonn seppe esprimere con maggiore sincerità la sua complessa e tormentata interiorità. Sotto il profilo strutturale, l’opera può essere divisa in due parti, la prima costituita dall’Adagio e dal successivo Allegretto, un movimento dal carattere contrastante che Franz Liszt definì con felicissima intuizione «un fiore tra due abissi», e la seconda dal grandioso Presto agitato, un tempo dai toni concitati, nel quale Beethoven si affacciò arditamente verso un futuro ancora tutto da scrivere.

 

A seguito della scomparsa della figlia primogenita Blandine, nel 1862 Franz Liszt cadde in un profondo stato di scoramento, che lo spinse a entrare nel Monastero della Madonna del Rosario di Roma, nella convinzione che solo la fede religiosa avrebbe potuto essergli di vero conforto. Nello stesso anno scrisse la Variazioni su Weinen, Klagen, Sorgen und Zagen, una passacaglia basata sulla omonima cantata di Bach, che si compone di una fantasia su un basso ostinato, che alla fine sfocia nel tema del corale Was Gott tut, das ist wohlgetan (Ciò che Dio fa è ben fatto). Si tratta di un commovente itinerario nel dolore più lacerante che un uomo può provare – il testo della cantata bachiana recita «Piangere, gemere, tormentarsi, provare paura, angoscia e pena sono il pane bagnato di lacrime del cristiano» – dal quale alla fine emerge una speranza illuminata dalla luce di Cristo, approdo sicuro di ogni fedele. Anche in questo caso, il compositore adotta uno stile molto innovativo per i tempi, con una serie di progressioni armoniche che saranno proprie dello stile di César Franck e di Aleksandr Skrjabin.

 

 

Giovedì 15 ottobre 2020 – ore 21

Teatro Vittoria

Via Antonio Gramsci 54 – Torino

 

Umberto Santoro, pianoforte

 

Johannes Brahms (1833-1897)

Quattro Ballate op. 10

Andante

Andante

Intermezzo – Allegro

Andante con moto

 

Ludwig van Beethoven (1770-1827)

Sonata in si bemolle maggiore op. 22

Allegro con brio

Adagio con molta espressione

Minuetto

Rondò – Allegretto

 

Sonata “Quasi una fantasia” in do diesis minore op. 27 n. 2 “Al chiaro di luna”

Adagio sostenuto

Allegretto

Presto agitato

 

Franz Liszt (1811-1886)

Variazioni su Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen

 

 

UMBERTO SANTORO

Umberto Santoro si è diplomato in Pianoforte con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio di Verona sotto la guida di Laura Palmieri e in Composizione al Conservatorio di Torino con Gilberto Bosco. Ha perfezionato i suoi studi pianistici con Maria Gachet, con Sergei Dorensky al Mozarteum di Salisburgo ma soprattutto, grazie alla DE SONO – Associazione per la Musica, con Dominique Merlet a Parigi e al Conservatorio Superiore di Musica di Ginevra, dove ha conseguito il “Prix de Virtuosité”. Su segnalazione del Conservatorio di Ginevra, è stato invitato dall’Académie Musicale de Villecroze, dove ha avuto modo di perfezionare il repertorio moderno e contemporaneo con Claude Helffer, con il quale si è poi creato un abituale rapporto didattico.

 

Fondamentali sono state anche le lezioni di Pierre-Laurent Aimard al Centre Achante di Avignone. In quell’occasione un suo concerto nell’ambito del Festival d’Avignon dedicato al repertorio contemporaneo è stato accolto dal pubblico e dalla critica con straordinario calore. Lo stesso Iannis Xenakis, presente in sala, si è espresso nei suoi confronti in termini assai lusinghieri. Ha iniziato molto presto un’attività artistica che lo ha visto affermarsi in numerosi concorsi nazionali e internazionali ed esibirsi in importanti sale concertistiche in Italia, Francia, Austria (Wiener Saal e Leopold Mozart Saal), Svizzera (Conservatorio di Ginevra) e Germania, sia come solista sia in formazioni cameristiche e con orchestra.

 

Nella Stagione 1999-2000, su invito del Tanglewood Music Centre, ha debuttato a New York, esibendosi al Baldwin Piano Centre. Ha più volte registrato per la RAI Radio Tre. Oltre all’attività concertistica è regolarmente invitato a tenere Masterclass in Francia (Parigi, Courchevel e Flaine). Recentemente è stato invitato a far parte della giuria del Concorso Internazionale Pianistico “Teresa Llacuna” Ville de Valence. È titolare di una cattedra di Lettura della Partitura al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino.

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Articolo pubblicato il 12/10/2020