L'eresia in Dante Alighieri

I significati occulti dell'Opera del più grande Poeta della Storia italiana, il cui settecentesimo anniversario dalla morte cade il 14 settembre del 2021, sono fonte di grandi approfondimenti e rivisitazioni, ma sono soprattutto fonte di assordanti silenzi.

Che Dante non piacesse alla chiesa del suo tempo è fatto noto, lo dimostra il famosissimo “Libro del chiodo”, custodito ancora oggi nell’Archivio di Stato di Firenze.

Il volume, autentico monumento della storia fiorentina, si presenta con una veste minacciosa, addirittura inquietante, con un chiodo ancora impresso sul piatto anteriore del libro, altri chiodi sono andati perduti.

Il testo contiene copia delle registrazioni dei bandi comminati contro i Ghibellini e i Guelfi Bianchi, colpevoli di ribellione contro il Comune ed espulsi dalla vita politica.

Tra i nomi figura anche quello di Dante Alighieri, dichiarato colpevole di baratteria, ovvero di appropriazione indebite compiute durante il periodo del suo priorato (1300), di aver complottato contro Carlo di Valois e il Papa e contro il pacifico stato di Firenze e della parte Guelfa, altre condanne infamanti riguardavano la sua vita privata e i suoi affari.

Il valore del Libro del Chiodo è legata alla sentenza del Podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio che il 27 gennaio 1302 gli comminò l’esilio e la condanna capitale.

Se da un lato l’esilio fu per Dante il peggiore dei mali possibili per il resto dell’Umanità risultò essere la grande opportunità che permise al Poeta di scrivere la Comedia.

Nei primi sei secoli dalla sua morte, Dante, non fu mai particolarmente apprezzato dalla Santa Romana Chiesa, e già nel XIX secolo alcuni grandi poeti come Pascoli e Foscolo iniziarono ad ipotizzare l’esistenza di un quarto livello di comprensione della Commedia, che potesse emergere saltuariamente tra un verso e l’altro, senza incuriosire più di tanto le ottuse menti di troppi critici.

Solamente con l’Enciclica “In Preclara Summorum”, il Pontefice Benedetto XV, nel 1921, durante le celebrazioni del VI centenario dalla morte del Poeta, intese affermare l’intima unione di Dante con la Cattedra di Pietro.

Con queste parole il Papa si espresse a proposito:

“In primo luogo poiché il nostro Poeta durante l’intera vita professò in modo esemplare la religione cattolica, fece sua la dottrina scolastica di San Tommaso d’Aquino e fu attento conoscitore della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa.

Tutta la Commedia, infatti, non ha altro fine che glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio.

Nel poema sono espresse le verità fondamentali della Chiesa Cattolica, così da renderlo un “compendio delle leggi divine”: Dio Uno e Trino, la Redenzione operata nel mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, la somma benignità e santità di Maria Vergine Madre, la gloria dei santi, etc….”.

“È Dante stesso”, ci ricorda il Pontefice, “a manifestare la sua comunione con la fede e la Chiesa: il solo che detta è Dio”.

A proposito dei noti attacchi contro la Chiesa del tempo, Papa Benedetto XV giustifica il Sommo Poeta: “Chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero?”.

Quindi solo da circa un secolo la memoria del Poeta è stata ufficialmente riabilitata dalla Chiesa.

Sempre estremamente orientati verso una declinazione cattolica dell’Opera dantesca, furono i Papi, Paolo VI e Benedetto XVI, che interpretarono certe intuizioni teologiche del Poeta, come il passaggio dalla selva del peccato verso la Rosa Mistica della santità.

Tuttavia, sotto le braci apparentemente spente dei focolari di coloro che indagavano sul significato Anagogico dell’Opera dantesca, rimase sempre acceso il desiderio di vedere la Verità attraverso la metafora, il simbolo e la parola dei molti versi, apparentemente misteriosi o incomprensibili.

A titolo di esperimento letterario, ho prodotto un gruppo di cinque canti in stile dantesco, ipotizzando che l’Autore fosse l’Alighieri, un Alighieri libero di scrivere terzine in endecasillabi dai contenuti rigorosamente eretici…

L’esperimento, un gesto di consapevole follia, ha come unica pretesa quella di ipotizzare l'ipotetica esistenza di versi che potessero dimostrare la validità delle interpretazioni "diversamente canoniche". 

I “cinque frammenti” sono stati, successivamente, incastonati in un lavoro di prosa che ha dato origine al romanzo esoterico, “La Commedia Segreta”, edita da Pegasus Edizioni 2020.

Il romanzo ha vinto il quarto premio del concorso Milano International 2020, venendo scelto tra oltre 2000 titoli.

Propongo al Lettore i 145 versi del il Frammento N°3:

 

 

E vidi quel gran vermo ai piè d’un rovo,

intessere con altro di sua razza,

un ballo di dolor e di riprovo,

 

sembiante allo danzar di folle gazza. 

Cotal lo si strigneva tra le spire,

furiando una forza che lo strazza,

 

al punto che ‘l meschin, ch’ebbe l’ardire,

d’offrire la sua vita nel duello,

finì donando l’ultimo respire.

 

Io non mi mossi per difender quello,

non mossi alcun far a suo favore,

piuttosto mi scostai da tristo avello,

                                                                      

provato e colpito dall’afrore.

Le teste di quei serpi erano note:

Filippo dett’il bello senz’onore,

 

e ’l povero Clemente senza dote,

giaceva rantolando senza vita.

La Vita che ti macina con rote,

 

prepara alla prossima sortita,

mostrando li peccati e lor castighi,

a chi da rei giocaron la partita.

 

Il vile imperator dai mill’intrighi,

violò con disonor le Bianche Stole,

ch’aveano compiuto già, grandi prodighi.

 

Giustizia giustiziò, giacché lo vole,

e quelli che compirono misfatti,

udiron l’anatema di De Mole,

 

e dopo pochi mesi fur disfatti.

Antica quella via, gentil l’afrore,

un varco che s’apriva tra gli anfratti,

 

dei carri ancor sentivasi stridore,

con l’alme di Templar che paion vivi.

Vagavo senza guida per mentòre,

 

mirando alti frassini e ulivi,

che donano frescor al lento passo:

sembrò di viver come se dormivi,

 

con sonno che mi fé cadere lasso.

Poi mi destai, o meglio mi sembrava,

sentendomi pesante come sasso,

 

c’agghiotta da vulcan nella sua lava,

il foco della vita che zampilla.

Credetti d’esser morto come stava,

 

immoto come essere d’argilla,

fintanto che volai senza più pesi,

leggero come lumina favilla.

 

Io vidi una Rota con su appesi

Un serpe che scendeva vers’il basso,

e lupo che movea con arti tesi,

 

per vincere la Sfinge con il passo,

portandosi nell’alta sospensione.

E gira senza posa come masso,

 

che cade dalla rupe in burrone,

facendo di color che son’appesi,

laìdo pasto, al perfido Gerione.

 

E tutte le mie vite presto intesi,

passate nelli secoli lontani:

contai le morti e gli anni male spesi,

 

vidi le donne e loro amori strani.

Io colsi nella nitida visione,

i volti di color, e son umani,

 

cui l’alma ora è condivisione.

Ma ben di più io vidi nel futuro:

i volti che giappoi saran persone.

 

Verrà sì Frate dal cipiglio duro,

un uomo dallo Spirto superiore,

che mostrerà di essere ‘l più puro:

 

 oltre del saio, si vestirà d’onore.

La Chiesa lo durrà sovra la pira,

intesa ad infiammar, lo suo Furore,  

 

ma Quegli poi vivrà, portando ira.   

Al tempo tornerà in fredd’Albione,

minando della Fede ogni spira,

 

al fine poi sarà una religione,

che l’intelletto vole per padrona,

e molti le daranno poi menzione.  

 

Sapienza si novella e si ragiona,

coi tempi della mente e della vita,

volando dalla putrida prigiona,

 

che schiavi del poter vorrian punita.

Non vi saranno papi o loro servi,

che possano aprir altra ferita,

 

non vi saranno re, anche protervi,

che possano tacer chi vero dice.

Il cor della poesia omne conservi:

 

Callimaco cantò di Berenice,

i lunghi suoi capelli poi rapiti,

che vanno ad inchiomar del ciel cornice. 

 

E altri con i carmi più arditi,

narrando degli amori senza tema,

ci canteranno come antichi miti,

 

parlando dell’amor che corpo frema:

in ver narraro sol di quanta luce

unita allo calor, d’amore trema.

 

Omero ci narrò di quanto bruce,

la figlia di Atlante e di Pleione,

per quello che per mar al fin conduce,

 

fedeli suoi compagni allo sprone.

Calipso s’invaghì dell’Odisseo,

che ebbro di piacer scordò il trone,

 

partendo poi di nuovo per l’Egeo,

savito dall’amor della sua casa.

Penelope soffrì per l’omo reo,

 

ch’avea lasciata misera e invasa,

in preda ad impostor che si rubaro,

i beni finché non fusse dissuasa,

 

a rimaner fedele al suo corsaro. 

L’amor ch’ella portò allo su’ amante

Pareva che lumasse come faro:

 

un raggio sì fedel e scintillante,

si come la saetta del dio Giove

potea ei rinvenir a ogn’istante.

 

A nulla valse quel baglior di rove,

che quando l’Odisseo fece ritorno,

e vinse l’empia torma con le prove,

 

passato poco temp’ intorn’al forno,

decise di tornar tra li marosi.

Con forza risuonò il grande corno,

 

chiamando li compagni fiduciosi,

ai remi per quellà, gran foll’impresa,

al largo delli mar, li più ‘nsidiosi.

 

Il foco del voler non sent’intesa,

ragione perde in cotal battaglia,

travolta nel cader chiedè la resa.

 

Io fui colui, che come quel non sbaglia,

avvinto dal voler onne savere,

e lanc’il dardo che diritto staglia,

 

il Cielo del poter ch’è ver Potere.

Conobbi veritate e or la canto,

trovando ne meandri delle sfere,

 

i lembi per svelar lo cupo manto.  

E l’Alme sono una che si sfrangia,

partendo dallo Punto, lo più Santo,

 

cadendo giù dal Ciel la forma cangia,

che mille di milion si fanno quelle.

Poi vann’ingravidar ciascuna frangia,

 

di quella Gaia che, vede novelle,

creature che son di, divin partece.

Portando quella Luce paion belle,

 

ma lor destin sarà divers’invece,

e fondersi dovran con quell’Essenze,

che tutto l’Universo per lor fece.

 

Or noi le intendiam come Presenze,

che ponno rivelar corpi mortali,

oppure veneriam le lor assenze,

 

             vociando che le morti son gran mali.       145

 

 

In seguito parleremo della presunta appartenenza di Dante alla religione Catara e al Gruppo iniziatico dei Fedeli d’Amore, due argomenti sicuramente controversi che potrebbero offrire al Lettore nuovi spunti di riflessione.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 12/10/2020