La Villa d'Aglié, a Torino

Di Ezio Marinoni

La collina presenta caratteristiche particolari e uniche. Abitata fin dall’antichità, ricoperta di boschi nel Medioevo, era chiamata “montagna di Torino”, con una denominazione che sottintende qualcosa di misterioso e sconosciuto. Tale appellativo è rimasto in uso fino al XVIII secolo, quando il pullulare di ville e giardini si alternava alla coltivazione dei terreni.

Gli Statuti della Città di Torino del 1360, ad esempio, dedicano una minuziosa regolamentazione alla coltura della vite.

Un servizio di trasporto fluviale solcava il Po per trasportare merci e persone dalla collina alla città e in senso inverso.

Il Cinquecento segna l’inizio di un’epoca nuova: nasce la “moda” di edificare ville e vigne sulla collina.

La prima “vigna” torinese risale al 1523 e alla famiglia degli Antiochia.

Nel 1790 Amedeo Grossi elencava 421 vigne, nel suo “Guida alle vigne del territorio di Torino”.

Nel Seicento, dopo il trasferimento della capitale del Ducato di Savoia da Chambéry, la nobiltà terriera si avvicina a Torino da tutta la regione: si costruiscono palazzi in città e residenze per la villeggiatura sulla collina, frequentate da giugno ad ottobre; a causa degli elevati costi di gestione e manutenzione si verificavano frequenti passaggi di proprietà.

La Villa d’Aglié (in antico Vigna Castelmagno, dal nome di un proprietario) è una delle poche dimore collinari torinesi rimaste pressoché intatte dal Settecento ad oggi e ha mantenuto inalterato il suo fascino di residenza nobiliare di impronta sabauda.

Non è difficile immaginare che qui sia sorto un antico “castrum”: da una parte vi era la strada percorsa dai mercanti chieresi diretti in Francia (la Valle di Reaglie), dall’altra la direttrice dei Castelli di Pian dell’Osio e di Montosolo (attuale Mongreno), che era il punto strategico più importante della collina, con la Valle di Sassi; di fronte, la confluenza della Stura e della Dora nel fiume Po, fra i traghetti di Barra e di Baino. Qui, secondo la donazione di Aleramo Beccuti ai Gesuiti del Meisino, si pagava ancora il pedaggio!

La visita

Con queste premesse, sabato 17 e domenica 18 ottobre 2020 il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha aperto ai visitatori, su concessione dei proprietari, il parco della Villa d’Aglié.

Nel passato, con una diversa sistemazione del terreno collinare, dal Viale dell’Agrifoglio facevano il loro ingresso le carrozze dirette alla villa.

Insieme alle guide del FAI, si attraversa il Bosco Nuovo, che ospitava ippocastani, ed è stato ripiantumato circa trenta anni fa.

Ci affacciamo al giardino segreto del parco. Una grotta naturale ne era il ninfeo, utilizzata per i giochi d’acqua ideati per allietare e rinfrescare. La sua caduta d’acqua sul davanti creava una vera e propria tenda d’acqua che stupiva i visitatori del tempo.

Il parterre è la parte alta del parco, dove la passeggiata si conclude, di fronte all’ingresso della villa. Al di sotto, durante lavori di sistemazione, sono stati ritrovati resti di un “castellotto”, ma non è stato possibile identificarlo con esattezza.

Completano il parco una fonte sotterranea, un tempietto e una ghiacciaia settecentesca.

Nel 1956 è intervenuto sul giardino Russel Page, che ha ripristinato il parterre.

I proprietari permettono di affacciarsi alla cappella privata, a piano terra sul lato sinistro della facciata.

Nell’atrio sono esposte alcune stampe e fotografie che danno l’idea delle trasformazioni subite dall’edificio nel corso dei secoli.

Dal 2007 il giardino è stato inserito dalla Regione Piemonte nell’elenco ufficiale dei giardini storici e di interesse botanico.

 

Il cinema a Villa d’Aglié

La settima arte, il cinema, ha scoperto e utilizzato la villa come perfetto fondale.

Per primo il regista Luigi Comencini che vi ambienta, nel 1975, nel film “La donna della domenica”, l’abitazione della famiglia Campi.

Sempre nel 1975, è anche la quarta villa osservata da Mark nel tour alla ricerca della villa del bambino urlante in “Profondo rosso” di Dario Argento.

Nel 2000 Mimmo Calopresti la sceglie per le riprese di “Preferisco il rumore del mare”. Vi gira la scena in cui Matteo, la notte dell’ultimo dell’anno, in un atto di ribellione nei confronti del padre mette a soqquadro la loro splendida villa e tenta il suicidio ingerendo farmaci e alcol.

 

Una gloriosa storia secolare

Si hanno notizie di una “mansio” romana, che ha subito invasioni e occupazioni barbariche.

I monaci benedettini che si sono insediati in seguito hanno iniziato a coltivare i terreni tutto intorno, nel loro stile di vita “ora et labora”.

Nel corso del Medioevo, a scopo difensivo, si costruiscono una serie di “castellotti” sulla collina: uno di essi, la casaforte di Cerniasco, sorgeva nei pressi di Villa d’Aglié.

I primi documenti ufficiali che la citano risalgono al 1606, quando era proprietà del Duca Carlo Emanuele I, insieme alla attigua Villa Emanuella.

Nel 1612 viene ceduta all’avvocato Gaspare Bellezia, devoto alla Corte. Suo figlio, Giovanni Francesco Bellezia (1602 – 1672) è Decurione di Torino nel 1625 e Primo Sindaco nel 1628. Passerà alla storia come “il Sindaco della peste”, perché non lasciò mai la città durante l’epidemia, alternando la sua residenza fra il palazzo in città e la villa in collina.

Nel suo testamento, redatto il 12 marzo 1672, scriverà: “... la Vigna antica lasciatami dal mio fu Sig. Padre resta alla metà della strada tra Torino e la Vigna predetta di San Mauro e di più si trova ottimamente disposta di fabriche civili, e rustiche, con delizie, cappella, e ogni altra comodità, nella quale son certo havervi speso in fabriche, fontane e spianamento di terra più di Ducatoni tre mila”.

Si devono, infatti, a lui i muraglioni di sostegno al giardino e la creazione del parterre.

Dopo l’assedio di Torino del 1706 la villa si trasforma in palazzo signorile grazie al banchiere Franco Colomba. La sua bancarotta lo costringe a svendere; gli subentra la Principessa dal Pozzo della Cisterna (fra il 1723 e il 1741).

Del banchiere di Corte Colomba scrive il Soleri nel 17230: “Il s.r. Banchiere Colomba si e ritirato per haver fatto banca rotta come si suol dire mà non per sua colpa mà a causa delle gran banche rotte che si son fatte in altri Paesi ove haveva corripondenza havendo però lasciato in casa ogni cosa che era in suo potere et non vi e stato mai alcuno che le sia occorso quanto sopra che sia stato compianto da tutti nella presente città come per la sua persona per non aver banchettato in casa sua continuamente ne per la pompa et si e ritirato in S. Filippo Neri et la banca rotta ascende, e fra gli effetti in casa vi era della lingeria tutta di fiandra, e d’olanda che nella casa da tre principali Cavag.ri di Città non ve ne era tanta come in casa del medemo e la spesa che si faceva in casa sua ascendeva a L. 15.000 circa l’anno oltre livre trentacinque mille circa che pagava d’interesse”.

Una menzione a parte per i Padri Barnabiti: essi utilizzavano erbe e piante del giardino per preparazioni erboristiche; per questo scopo fecero costruire una “camera galenica” nella torre centrale della villa. A loro si devono anche la distruzione ed il danneggiamento di parecchie statue di soggetto femminile, in quanto ritenute troppo audaci o sconvenienti. Alcuni pezzi mutili si sono conservati nei locali sotterranei.

Dal 1754 ne è proprietario il Conte Ignazio Demorri di Castelmagno, ricevuto nel 1722 il titolo comitale, arricchisce la sala centrale con stucchi del Martinez rappresentanti i quattro elementi; recupera, inoltre, i quattro bassorilievi marmorei applicati tra le finestre grazie alla dismissione della fontana di “Hercole Colosso” nei giardini della Venaria Reale.

Un altro banchiere vi abita dal 1788, Angelo Morelli. Su quel periodo il Grossi scrive: “Il Castelmagno villa, e vigna del Sig. Banchiere Gio. Angelo Morelli (…); nella sontuosa facciata del palazzo evvi un vestibolo al piano terreno con galleria superiore; il frontespizio è decorato con balaustri con quattro statue di marmo superiormente; nell’interno evvi un magnifico Salone, che dà l’accesso a doppi, e ben ornati appartamenti; in giro al semicircolar cortile vi sono nove statue, ed una nel fondo del giardino tutte di marmo”.

Dal 1796 ne risulta proprietario Benedetto Maurizio, Duca del Chiablese, ultimogenito del Re Carlo Emanuele III, che fa apportare modifiche dall’architetto Caselli. A lui si deve l’attuale denominazione, in quanto prediligeva fra tutte le sue residenze il Castello di Aglié, che compare per la prima volta in una mappa del 1796. Erronea, o non documentabile, è invece la credenza che la villa sia appartenuta a Filippo San Martino Conte di Aglié o a suoi familiari. L’ultimo discendente dei San Martino, il Marchese Casimiro San Martino di San Germano, ha suggerito una suggestiva ipotesi sul nome: dal 1872 al 1905 vi abitò Maria Pilo Boyl sposata con un San Martino di Aglié... un’altra associazione di nomi e idee che ci riporta nel campo della fantasia e dei misteri che anche questa villa possiede!

Con le requisizioni napoleoniche passa prima ai Conti Tarino di Chauvannaz e poi alla famiglia Cusani.

Dopo averla acquisita, nel 1825, Sir John Forster, ambasciatore inglese, trasforma il giardino all’italiana in giardino romantico, facendovi piantare cedri del Libano, ippocastani e sequoie.

A metà dello stesso secolo (dal 1842 al 1928) subentrano i nobili sardi Pilo Boyl di Putifigari. Grazie a loro il nome diventa “Villa Boyl” dal 1842. Originari della Spagna, dove detenevano la Baronia di Santa Maria de Buil. Una infiltrazione di acqua dal tetto fa scoprire i cassettoni nei soffitti, che erano stati ricoperti.

A inizio Novecento è di proprietà della famiglia svedese Reynius.

Nel 1948 il complesso viene acquistato dalla famiglia di Valerio e Franca Giacosa; a causa delle sue cattive condizioni i lavori di ristrutturazione si protraggono per dieci anni. Oggi i loro figli continuano ad abitare la villa, importante luogo di storia e memorie torinesi.

 

Al termine della visita e di questo breve scritto, desidero ringraziare i volontari del FAI e, in particolar modo, la Signora Valeria Giacosa.

 

Bibliografia

Elisa Gribaudi Rossi – Vigne e ville della collina torinese – Le Bouquiniste

Elisa Gribaudi Rossi – La collina di Torino da San Mauro a Moncalieri – Editip/Banca CRT

Amedeo Grossi – Guida alle vigne del territorio di Torino - 1791

Carlo Alberto Piccablotto -Storia e storie della collina di Torino – Il Capitello

Politecnico di Torino – Beni culturali ambientali nel Comune di Torino – 1984

 

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 24/10/2020