Luce in fondo al tunnel?

Solo con elezioni politiche e costituente (di Aldo A. Mola)

Cambiare passo? Cambiare governo

C’è una luce in fondo al tunnel? Il guaio dell’Italia odierna non è la pandemia. Come previsto da tutte le persone di medio buon senso, questa galoppa per la manifesta inadeguatezza del governo e delle amministrazioni pubbliche nel predisporre le misure atte a contenerne gli effetti, sia sanitari sia socio-economici. Si dirà: accade anche all’estero. Infatti. Avviene nella Gran Bretagna di Baby Johnson, nella Spagna di Sánchez-Iglesias, nella Francia di Macron e Brigitte, nel regno dei Belgi e altrove, a conferma che la pochezza politica non ha confini. Perché è accaduto? Perché i partiti di governo, tutti, si sono occupati e si occupano di se stessi e perché le opposizioni, tutte, non hanno una visione unitaria alternativa. Oggi Zingaretti dice che il governo deve cambiare passo. È socio in ditta da un anno e mezzo. Lo scopre adesso? In realtà l’Italia deve cambiare governo. Però la responsabilità del tracollo incombente ricade anche su parte dell’opposizione. In primo luogo perché, lasciata ai margini di tutte le decisioni governative, essa subisce trattamenti irridenti senza reagire nei modi dovuti. Inoltre perché su temi non “di immagine” ma di sostanza, come la richiesta del MES, fermamente voluta da Forza Italia, ha sostenuto le stesse posizioni dei partiti di governo, a eccezione di Italia Viva. Molti “movimenti” non hanno ancora capito da che parte stare: se in Italia, in Europa, in Cina, in Russia o chissà dove. Domina la confusione, a tutto vantaggio di chi è al governo e farà di tutto per rimanerci, com’è ovvio da sempre, non solo da noi ma in tutti Paesi del pianeta, sia democratici, sia totalitari.

 

L’imbonitore

L’Italia non è un paese di santi, poeti navigatori. È la patria degli imbonitori. Che cosa fa il predicatore? Sale sul pulpito avvolto nei drappi rituali. Guata gli astanti. Li palpa a occhio, ne percepisce gli umori e li circonviene con fluida loquela. È quanto fa da anni il professore avvocato Giuseppe Conte, uso agli artifizi della retorica forense: umile quando era guardato a vista da Salvini e di Maio, tracotante ora. Ma entro pochi giorni il contagio imporrà la resa dei conti. Ognuno dovrà assumere la propria responsabilità non “di fronte alla storia”, come di sé pretese l’Avvoltoio Appulo rinviando il giudizio ai secoli venturi, ma sotto l’incalzare di un Paese stufo di sermoni, consigli paterni, buffetti sulle gote.

Si obietterà: ma non ci sono state elezioni regionali, comunali e persino, in alcuni collegi, parlamentari? Sì, certo. Hanno segnato la disfatta del Movimento Cinque Stelle, cioè del partito che è al governo dal maggio 2018. Hanno registrato una modesta avanzata dell’opposizione (la conquista delle Marche) e la “tenuta” del Partito democratico (fermo al 20%) con due presidenti impresentabili al di fuori delle loro regioni: Emiliano in Puglia e De Luca in Campania. Tolti da lì, nessuno li voterebbe. È una delle tante anomalie del regionalismo all’italiana. Non ha promosso la democrazia rappresentativa ma il “rassismo” del Ventennio fascista, quando Mussolini tollerava che Farinacci dominasse a Cremona a patto che non sognasse di andare oltre e si fidava di Alberto Beneduce, ateo, socialista, massone, pragmatico, più che dei fanatici del “libro e moschetto”.

 

La verruca di Renzo Tramaglino e i nuovi collegi elettorali

Dove dunque s’intravvede una pur fioca luce in fondo al vero tunnel nel quale è infilata l’Italia? Per coglierla bisogna guardare al di là dell’emergenza sanitaria. Questa va affrontata chiedendo subito il MES e poi usandolo come Europa comanda per mettere in sesto il sistema sanitario nazionale manifestamente al collasso. Sul suo vero funzionamento ricordiamo il beffardo commento di Alessandro Manzoni alle spalle di Lorenzo Tramaglino, da lui inventato quale protagonista dei Promessi Sposi: “Brutta cosa è nascere povero, Renzo mio”. Una frasetta che vale cento volte più dei capitoli su nascita, diffusione e conseguenze della “peste”, in primavera raccomandati da retori implumi a giovani e meno giovani. Già, perché chi non ha soldi o santi in paradiso, come non li aveva “Renzo”, oggi non trova chi gli curi la “verruca”, ovunque l’abbia.

La crisi vera investe le istituzioni dello Stato d’Italia. Oggi rappresentano o no sessanta milioni di cittadini? Scherzando, ridendo e facendo le tre, il Parlamento approvò a straboccante maggioranza la propria evirazione. Disse coram populo che, così come era, 630 deputati e 315 senatori, non era proprio del tutto superfluo; però per un terzo era in esubero. Già aveva approvato che i suoi ex componenti non meritavano le pensioni, a volte unica loro fonte di sostentamento dopo una vita spesa a far comizi nell’illusione che la politica sia militanza, contatto personale quotidiano tra eletti ed elettori. Con il referendum confermativo del 20 settembre 2020, il famoso “taglio” è divenuto definitivo. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha pertanto firmato la legge che riduce a 400 deputati e 200 senatori i rappresentanti del popolo sovrano, con conseguente necessità di riconfigurare le circoscrizioni elettorali entro sessanta giorni.

Anche se i più non lo sanno e a molti poco importa, questo è un passaggio nevralgico dell’Italia ventura. La legge 27 maggio 2019, n. 51 (approvata il 13 precedente) affida al governo di disegnare i collegi. Secondo la legge elettorale vigente vi sono italiani più italiani degli altri: quelli della Valle d’Aosta, del Trentino e del Molise. Non solo hanno più benefici economici (come le regioni a statuto speciale, ormai del tutto anacronistiche: è il caso della Sicilia), ma anche più diritti politici: un numero precostituito di rappresentanti, a prescindere da quello degli abitanti. A volte “a noleggio”. In Inghilterra li chiamavano “borghi putridi”. Ne hanno beneficiato in tanti, catapultati anche dalla Toscana...

Se, come e quando avverrà (comunque, è da credere, nei tempi dettati dalla legge), la configurazione dei collegi non sarà affatto una passeggiata perché, dati alla mano, è possibile prevederne le ripercussioni. Ogni senatore rappresenterà 302.000 abitanti anziché i 188.000 attuali. Vi sarà un deputato ogni 151.000 cittadini contro i 96.000 attuali. Come da tempo previsto parecchie province rimarranno prive di rappresentanti in Parlamento. E poiché i loro consessi originari, i consigli provinciali, ormai sono politicamente irrilevanti, decadranno a periferie afasiche. Senatori e deputati saranno espressione di coalizioni che ne decideranno i nomi e li imporranno agli elettori. Esattamente come avvenne dopo la legge ideata da Alfredo Rocco e approvata nel 1928. Essa fissò in 400 i membri della Camera e affidò al Gran Consiglio del Fascismo il compito di stilarne l’elenco, da proporre agli italiani: prendere o rifiutare in blocco. Nelle elezioni venture anziché uno solo a decidere le liste saranno tre o quattro “Piccoli Consigli”, ma l’esito finale sarà analogo: gli elettori dovranno accettare o rifiutare “nomi” preselezionati dai partiti. Aumenterà il numero delle astensioni dal voto: non per diserzione ma per disgusto. Ed è proprio questo uno degli scopi di tanta parte della “dirigenza” attuale, il cui motto è: “State a casa, al resto pensiamo noi”.

 

“El virus pasa...”

Merita dunque annotare i giorni che passano in attesa che i collegi elettorali vengano ridisegnati. Da quel momento non vi sarà alcun ostacolo al rinnovo delle Camere, con la scalcagnata legge vigente o con un’altra, varata alla svelta dai Moribondi del Parlamento oggi in carica. Colto per tempo il vento, l’Avvoltoio Appulo si è affrettato a proporre il “patto di legislatura”: cioè a blindare la sua stucchevole permanenza a capo dell’Esecutivo, nella speranziella di essere eletto presidente della Repubblica, garante ad vitam della maggioranza attuale “salvo intese”, clausola da “paglietta” non da statista. Gli va ricordato Giovanni Evangelista: “Il vento soffia dove vuole...”.

La bolsa retorica di Conte, Speranza, Zingaretti e compagnia cantante ripete che siamo in guerra e che pertanto vanno adottate misure conseguenti, a cominciare dal “coprifuoco”. In aggiunta andrebbe suonato l’allarme aereo ogni mezz’ora per avvertire che “El virus pasa”. Così i cittadini ricorderanno di lavarsi le mani (prima e dopo i pasti, prima e dopo… altro), “indossare” la mascherina (dicono proprio “indossare”, come fosse una giacca o un cappotto e avessero la schiena al posto della faccia) e tenere le distanze “sociali”, ripetendo con Manzoni “nel mezzo, vile meccanico” quando incrociano un Elkan.

In attesa che l’esplosione del contagio, prevedibile da mesi, imponga di passare dai sermoni alle misure omesse da marzo a oggi, ricordiamo le manifestazioni più clamorose del fallimento del governo attuale.

La scuola. La scuola è stata chiusa a marzo. Scolari e studenti sono stati automaticamente promossi all’anno successivo senza alcuna verifica della loro formazione. Dopo poche settimane di lezioni a strappi, ora si chiude in tutto o in parte e si ricorre alla famigerata didattica a distanza, negazione della scuola, che è “ecclesia”, dialogo comunitario. Eppure si sa bene che internet funziona solo nelle aree dove rende ai gestori. Siamo dunque alla discriminazione consapevole e premeditata delle aree disagiate per cause geofisiche e sociali. Stiamo precipitando nel passato remoto e, attenzione, si riapre la “questione meridionale” con isterismi promossi da governatori isolazionisti e secessionisti più di quanto suo tempo sia stato Umberto Bossi. Questo è lo Stato d’Italia oggi, Italy to-day.

Le regole dell’emergenza. Sulla scia di giureconsulti illustri come Sabino Cassese, Cesare Maffi in “ItaliaOggi” ricorda che l’autocertificazione “nazionale” richiesta ai cittadini colti a vagare in ore proibite (“a mezzanotte va la ronda del piacere...”) costituisce un auto-accusazione di falso perché esige che il “pastore errante” si dichiari informato della normativa vigente sui vincoli imposti da decine di decreti del presidente del consiglio di ministri, da qualche decreto-legge convertito in legge e da un profluvio di ordinanze di ministri, a volte soli a volte male accompagnati (per esempio Speranza e Lamorgese), da presidenti regionali, sindaci e via continuando: un caleidoscopico groviglio di norme nelle quali è davvero impossibile raccapezzarsi e capire ciò che distingue il “molto raccomandato” dall’”ordinato”, il consigliato dall’imposto, quanto è soggetto a richiamo verbale da ciò che è colpito da sanzione amministrativa o addirittura penale. Tutti ricordano quanto ci volle a chiarire che cosa volesse dire “congiunti”. Finì che per tali non si intendono parenti sino al tale grado o i coniugi (che sono affini), ma anche quanti hanno affetti stabili, vuoi per piacere, vuoi per tornaconto, proprio come gli “affini”.

Farsi le scarpe. Lo Stato più detta norme, più annaspa. Più emana disposizioni inapplicabili, più spinge all’inadempienza e si scredita. È il caso, davvero comico, del diritto all’ospitalità ora concessa da Sua Emergenza Conte a chi voglia accogliere in casa altre persone. Non è precisato se la famiglia ospitante sia di due, cinque o dieci persone e se disponga di una abitazione di 60 o 300 metri quadrati con giardino, piscina e maneggio. L’importante è che i sopravvenienti non siano più di sei e che lascino le scarpe sulla soglia, come dovessero entrare in una moschea. La nuova normativa non dice se gli ospitanti debbano fornire calzari usa e getta o da sanificare alla partenza degli intrusi e chi debba vegliare su scarpe, stivali, infradito lasciati fuori casa (strada? pianerottolo? ...).

 

Libera circolazione in libero Stato

In attesa del peggio vanno ricordati gli appelli alla ragionevolezza già lanciati nel marzo-maggio, mesi che oggi sembrano lontani e invece si riaffacciano come incubi. Mentre in alcune regioni già si impone il divieto di circolazione tra province, torna il timore che venga ripristinato quello tra regioni. È bene ricordare a Conte, Speranza, Lamorgese ecc. come è fatta l’Italia. I confini tra regioni sono meramente amministrativi: non hanno nulla a che vedere con la rete stradale e ferroviaria, con le necessità effettive e affettive degli abitanti. Se non si vuole scatenare la rivolta è saggio che il governo rifletta prima di emanare nuovamente norme vessatorie. E sarà bene che i presidenti delle regioni, i prefetti, le camere di commercio ecc. ecc. illustrino a chi di dovere lo stato dell’arte. L’Italia nord-occidentale è in condizioni disastrose. L’annullamento della tappa del Giro d’Italia che voleva svalicare in Francia insegnerà pur qualcosa. L’interruzione delle comunicazioni Cuneo-Tenda-Ventimiglia dovrà pur aprire gli occhi. Il ripristino della strada ferrata richiederà mesi; quello della rotabile anni e anni. In queste condizioni è bene lasciare che i cittadini si muovano secondo le loro necessità. Nessuno viaggia per capriccio. Chi lo fa ha i suoi bravi motivi, anche non va al lavoro o per chissà quale emergenza. E dovrebbe essere chiaro una volta per tutte che la “seconda casa” in Italia non costituisce reato, come non lo è fare turismo in questi tempi di magra. Chi viaggia non deve più essere bersagliato da gabellieri di turno che fanno cassa come tanti miserabili autovelox piazzati su rettilinei per estorcere dobloni e “punti” a chi transita in piena sicurezza per sé e per gli altri.

 

A cospetto della crisi imperversante (quella sanitaria a breve risulterà la meno grave) va auspicato avvenga quanto accade quando si perde malamente la guerra: un 25 luglio. Il governo sta perdendo la guerra. Occorre un governo nuovo, provvisorio, con le mani libere dalle pastoie della politichetta e dei suoi gerarchi e con l’impegno di tornare al voto prima possibile, per varare la Costituente di cui l’Italia ha bisogno per rimanere in Europa.

Quando sono travolti da crisi gravissime, gli Stati collassano se l’esecutivo risulta inerte o fatuamente parolaio, se il legislativo è affetto da paralisi, se tarda l’intervento riparatore del Capo dello Stato, sul quale grava la somma delle responsabilità: le sorti del Paese.

 

Aldo A. Mola

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Articolo pubblicato il 25/10/2020