
Proseguono le considerazioni relative alla presunta adesione di Dante alla Teoria della Reincarnazione
Nell’articolo precedente abbiamo visto, sebbene in modo sicuramente incompleto, che vi sia una certa affinità tra il concetto di Pena del Contrappasso e Legge Karmica.
Ovviamente queste poche considerazioni non ci consentirebbero di attribuire al Poeta la sua adesione alla Teoria della Reincarnazione, quindi analizzeremo altre ipotesi relative a questo affascinante argomento.
In tutte le dottrine gnostiche si ritiene che vi sia una netta separazione tra Anima, Spirito e Materia. In seguito alla “Caduta” alcune particelle di Spirito sarebbero state intrappolate nella materia, rappresentata dal corpo degli umani.
Il percorso gnostico parte dalla Caduta adamitica e termina con il Ritorno al Padre (Reintegrazione).
Tuttavia la purificazione necessaria per poter ottenere la Separazione definitiva non viene praticamente mai raggiunta in una sola vita, occorrono più esistenze sul Piano terreno per poter purificare l’Anima e rendere finalmente lo Spirito libero di ascendere al Piano superiore.
Riporto l' introduzione Franco de Pascale, a "Studi Manichei e Catari di Deodat Rochè":
“Il catarismo possedette la conoscenza, propria alla gnosi paolina e al cristianesimo primitivo, della triplice costituzione dell’uomo in Corpo, Anima e Spirito, conoscenza ripudiata considerata eterodossa dal Concilio di Costantinopoli dell’869. Questa distinzione tra Anima e Spirito viene drammatizzata nel mito della caduta dell’Anima nella condizione siderea, propria ad un Paradiso celeste, nel baratro di un’oscura terrestrità materiale e della sua separazione dal proprio Spirito.
L’Anima viene gettata nel vortice oscurante della generazione animale. Questa ruota o ciclo delle generazioni è un umiliante servaggio che può essere spezzato solo dalla folgorante gnosi trasfiguratrice e salvifica, che è sapienza d’amore perché restituisce l’Anima salvata all’abbraccio del suo Spirito, in un connubio che rappresenterà per essa il mysterium magnum delle nozze spirituali, e che ricostituirà il vivente Androgine celeste, smembrato e ucciso dalle Potenze delle Tenebre.
La Katharsis o purificazione catara doveva essere triplice: spirituale, animica e corporea, ed aveva come mèta la progressiva spiritualizzazione dell’uomo intero, che culminava nella nascita, o rinascita, dell’uomo interiore in quel corpo celeste o corpo di gloria del quale parla la gnosi paolina. L’arcano del mysterium di queste Nozze Mistiche di luce e amore verrà cantato con accenti mistici nella letteratura del Santo Graal, in quella trovadorica occitana e provenzale, e nella mirabile poesia dei Fedeli d’Amore”.
Se risulterà esatta l’ipotesi di molti studiosi che Dante fosse cataro si potranno spiegare alcuni enigmatici concetti del discorso di Stazio enunciato nel Purgatorio.
Dante nel XXV del Purgatorio, nel girone dei golosi osserva i poveretti che non potendosi nutrire dimagriscono visibilmente e domanda a Virgilio e Stazio:
Allor sicuramente apri’ la bocca 19
e cominciai: "Come si può far magro
là dove l’uopo di nodrir non tocca?".
Purgatorio XXV
La domanda è lecita, se quei poveretti non possiedono un vero corpo di carne come può essere possibile che dimagriscano? La medesima domanda viene fatta a proposito del dolore delle pene infernali e del Purgatorio.
Maria Soresina si esprime a riguardo: “…a Dante premeva affrontare il problema per poter esporre la sua idea – che è poi quella dei Catari – che la purificazione avviene attraverso la reincarnazione. E doveva partire dalla formazione dell’uomo nel grembo materno, perché solo così avrebbe potuto dire, per quanto in modo velato, che la forma novella che l’Anima riceve dopo la morte è un nuovo corpo umano in carne ed ossa”.
Stazio, il poeta incontrato da Dante nel Purgatorio, afferma che l’anima esce dal corpo e da sé va verso l’Inferno o verso il Purgatorio. Giunta a destinazione (Inferno o Purgatorio) la Virtù Formativa, che è la capacità di dar forma all’essere umano nel ventre materno, irraggia così e ne le membra vive… e crea una forma novella che segue l’anima nei suoi spostamenti.
La Soresina commenta che le parole di Stazio non avrebbero alcun senso se fossero riferite a un corpo non composto da carne ed ossa:
Però che quindi ha poscia sua paruta, 100
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
Purg. XXV 101-102
In sintesi la Ricercatrice sostiene che se la Virtù formativa riesce a creare anche gli organi di senso significherebbe che si stia parlando di un nuovo corpo fisico a tutti gli effetti, quindi di Reincarnazione.
In realtà Dante parla di un corpo aereo che è visibile ma non ha consistenza:
Tosto che loco lì la circunscrive, 88
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive.
E come l’aere, quand’è ben pïorno,
per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno;
così l’aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch’è in lui suggella
virtüalmente l’alma che ristette;
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là ’vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
Purgatorio XXV
La descrizione dantesca sembra ricondurci ad un preciso concetto gnostico, peraltro condiviso dalla religione catara.
Massimo Cogliandro espone alcuni concetti estratti dalla dottrina manichea: https://digilander.libero.it/maximusmagnus/Gnosi/spirito.htm
A dire il vero, la dottrina manichea dello spirito, al contrario della moderna spiritologia scientifica, porta alle estreme conseguenze le conclusioni derivanti dalla scoperta dell’esistenza del perispirito: lo spirito del corpo (perispirito) è una realtà vivente costituita da una sostanza che ha tutte le caratteristiche tipiche della materia, cioè l’estensione nello spazio, la durata nel tempo, la sua tensione verso il molteplice e il sensibile.
In una parola, il perispirito per il fatto di essere costituito da una sostanza corporea, sia pure di tipo energetico o “fluidico” come direbbe la moderna spiritologia, è soggetto ai limiti della concupiscenza tipici di tutte le realtà materiali.
Il ruolo del perispirito tanto nella gnosi e nel manicheismo quanto nella moderna spiritologia scientifica è quello di mediare il legame di quella goccia di luce divina (nous) che è l’anima ad una realtà limitata e condizionata dalle leggi dello spazio e del tempo, come quella del corpo.
In un frammento manicheo rinvenuto a Turfan infatti troviamo scritto:
"Allo stesso modo e alla stessa maniera in cui l’argento è legato al rame, così l’anima è legata alla forza e alla corporeità del corpo (cioè alle ossa, alla carne, alla pelle al respiro […] e agli escrementi), mediante i vincoli dello spirito [del corpo…]" (Fr. M 9 di Turfan, ed. Andreas-Henning II, pag. 300).”
Quindi è possibile che nel discorso di Stazio, Dante, possa ave preso in considerazione il concetto manicheo di Perispirito, ovvero di quel corpo sottile (arcobaleno come lo definisce il Poeta) che media tra Anima e Corpo. Permetterebbe all’Anima di provare sensazioni di tipo fisico (organar) fintantoché non sia possibile trovare un novello corpo in cui rinascere per proseguire il percorso di purificazione.
Tale percorso terminerebbe solo quando l’Anima completamente svincolata dal vizio potrà liberarsi dal Perispirito, che si dissolverà come si è dissolto il corpo fisico, per unirsi e fondersi nella componente puramente spirituale (Spirito) e fondersi nel divino.
Personalmente ritengo che sia improbabile che Dante abbia descritto nei dialogo con Stazio la metafora della Reincarnazione, nel senso classico come viene inteso da alcuni ricercatori (Soresina), piuttosto vedo l’espressione molto lucida del concetto manicheo di Perispirito che si lega all’Anima dopo la morte e che l’accompagna alla ricerca di un nuovo corpo nel quale reincarnarsi per proseguire il proprio viaggio di purificazione.
I Manichei che ebbero in Manete (216-277 d.C.) il loro primo Maestro furono i precursori delle correnti dei Patarini, dei Catari, degli Albigesi, fino ai Protestanti.
Manete venne emancipato dal proprio stato di schiavo da una ricca vedova persiana, per tale motivo venne chiamato “Figlio della Vedova”, e i figli della vedova divennero i suoi discepoli.
Non sarà certo un caso che gli attuali Liberi Muratori siano anche chiamati “Figli della Vedova”.
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Articolo pubblicato il 26/10/2020