Milano - Un convegno per ricordare la rivolta anticomunista ungherese del 1956 - Parte 2
Marzio Tremaglia

Dall'Ungheria partirono diverse richieste di aiuto

Dall'Ungheria partirono diverse richieste di aiuto, anche dall'Italia, si segnala il pressante invito al presidente Eisenhower, dell'ambasciatore in Italia Clare Boothe Luce.

Quarant'anni dopo in una intervista, il portavoce di Imre Nagy, Miklos Vasarhely giudicava il comportamento degli Stati Uniti, perfido: «mentre attraverso Radio Europa Libera ci incitavano a lottare, il segretario di Stato dichiarava di non essere strategicamente interessati all'Ungheria. Gli Usa si opposero a discutere il nostro problema all'ONU, anche contro il parere di altri governi amici, come quello italiano».

Estremamente interessante ho trovato la relazione di Edgardo Sogno, ed ho capito il perchè i comunisti lo odiassero tanto.

 

«In tutto il corso della lunga notte totalitaria europea, di destra e di sinistra che va dal 1917 al 1989, fatta, nell'ordine di nascita, di comunismo, fascismo e nazismo, la rivolta ungherese rappresenta uno dei soprassalti di riscossa più limpidi e di maggior rilievo». L'Europa poteva esibire questa epopea d'onore e di riscatto, facendone il simbolo della sua redenzione storica dai suoi crimini e dalle sue vergogne. Il moto ungherese, ha rigettato in assoluto il comunismo e non solo lo stalinismo, sono stati per Sogno, “i dieci giorni di sangue e di speranza”.

Sogno denuncia il conformismo degli storici, dei saggisti, delle riviste, dei giornali, «nessuno ha sentito l'esigenza di denunciarne la causa, di proclamarne la responsabilità».

 

Eppure per il liberale Sogno «chiunque abbia in qualche modo partecipato a quegli eventi e vissuto quel dramma dalla parte giusta, prima di qualsiasi altra testimonianza ha il dovere di gridare in faccia a tutti costoro: voi tacete per viltà perchè viviamo tuttora immersi in sacche condizionanti di socialismo reale, perché la sinistra tanto in Italia quanto in Ungheria (come del resto in Europa Orientale) non si è ancora sbarazzata del cancro comunista».

Edgardo Sogno ha esperienza diretta dei fatti ungheresi, dopo la repressione sanguinaria dei sovietici, partecipò a Vienna all'espatrio e l'assistenza ai profughi ungheresi. In questa relazione racconta come contribuì a fare arrivare in Italia, diversi profughi, 250 esponenti e dirigenti dell'insurrezione. Tra questi c'è il maggiore Jankovich. Si potrebbero scrivere volumi in riguardo all'insurrezione popolare del '56 in Ungheria. Poco è stato fatto, per ora secondo i dati forniti dall'attuale governo ungherese, gli insorti caduti in combattimento sarebbero 2.500, passati per le armi nella repressione 400, incarcerati 50.000, fuggiti all'estero 200.000. Enzo Bettiza, nel suo libro parla almeno di 15 mila morti ungheresi, a cui si aggiungono 5 mila sovietici.

Sogno racconta quegli anni di battaglie politiche prima della rivolta in Ungheria, eravamo i soli a non credere alla distensione, alla destalinizzazione, al pacifismo del comunismo sovietico. La maggioranza degli osservatori e dei politici occidentali, invece ci credevano.

 

Il volume pubblica anche gli atti della tavola rotonda, che è seguita dopo il convegno, “La sinistra, gli intellettuali e l'Ungheria”, prendono parte autorevoli personalità come Enzo Bettiza, Pasquale Chessa, Sandro Curzi, Piero Melograni, l'ambasciatore Sergio Romano, Giovanni Russo, Massimo De Leonardis. E' interessante perchè in questo dibattito tra gli studiosi, emerge la difficile posizione del Partito comunista italiano, quella di Palmiro Togliatti e di tutti gli altri esponenti della sinistra italiana. «Per quanto riguarda l'Italia – afferma Bettiza – dobbiamo dire che il 1956 vide il Partito comunista italiano schierato in maniera drastica, definitiva, a fianco dei carri armati sovietici». Il motivo secondo Bettiza è che entrava in gioco, «anche il pensiero e le preoccupazioni personali di Togliatti, sia per quanto concerneva la stabilità del cosiddetto campo socialista internazionale, sia soprattutto per quanto riguardava la stessa stabilità sua, di Togliatti, ai vertici del comunismo italiano; stabilità profondamente scossa dal rapporto Cruscev al XX Congresso, che incriminando praticamente Stalin per delitti da diritto comune, coinvolgeva colui che nei tempi cominternisti, Togliatti, fu anch'egli uno dei responsabili diretti delle purghe e, fra l'altro, responsabile diretto della distruzione fisica della dirigenza del Partito comunista polacco,dei rifugiati dirigenti polacchi a Mosca».

 

Schierarsi, in quel momento, a fianco dei carri armati sovietici, «significava dare un contributo alla ristalinizzazione del sistema comunista europeo e internazionale e quindi, con la ristanilizzazione, ridare stabilità alla propria leadership ai vertici del Partito comunista italiano».

Era una posizione che non poteva che provocare all'interno del partito o ai suoi margini, fra gli intellettuali, delle perplessità, dei dubbi e dei contrasti. Infatti tanti sono quelli che abbandonarono il partito per il forte disagio provocato dalla violenza esercitata sul popolo ungherese. Bettiza cita il libro di Federigo Argentieri, “La rivoluzione calunniata”, che ha raccontato meglio di lui questi contrasti nel mondo comunista italiano.

Pietro Melograni inizia il suo intervento facendo riferimento al documento (centouno firmatari) che condannava l'intervento sovietico in Ungheria. Anche qui profondi contrasti, alcuni dopo aver subito forti pressioni dal partito si dissociarono.

 

Sul comportamento e la composizione di questi 101 dissidenti si sofferma poi Russo. Accanto a quelli che avevano capito, anche se in ritardo, della non democraticità del regime comunista, vi erano quelli, che volevano un regime ancora più comunista e cioè un “vero comunismo”.

 Il professore Melograni da ex comunista, racconta dei retroscena interessanti su Togliatti che in quel momento seppe usare il mito dell'Unione Sovietica, dell'armata rossa. Era troppo importante, un bisogno essenziale. Togliatti, afferma Melograni, «era a conoscenza degli aspetti tragici del comunismo in Unione Sovietica, per averne sofferto lui stesso. Ritengo che, negli anni delle purghe, Togliatti non abbia mai convocato il Comitato centrale del PCI nell'Unione Sovietica proprio per salvarlo dalle persecuzioni staliniane. Se i membri del Comitato centrale si fossero riuniti anche una sola volta a Mosca, avrebbero rischiato di essere fisicamente eliminati così come era accaduto ad altri Comitati centrali dei partiti stranieri, nonché agli stessi Zinovev, Kanienev, Trotzkij e così via».

 

Addirittura secondo Melograni, «E' probabile che la forza del mito sovietico in Italia, dopo la seconda guerra mondiale, sorprendesse anche lo stesso segretario del Partito comunista». Aggiunge Melograni, «il segretario del PCI agiva con molta freddezza e doppiezza. Non appena gli fu possibile, nel 1944, abbandonò probabilmente con molta gioia l'Unione Sovietica per far ritorno in Italia […] Conosceva molto bene la realtà sovietica ma non rivelò mai pubblicamente gli orrori di questa realtà».

Togliatti era consapevole della divisione dell'Europa in zone di influenza e sapeva perfettamente che gli americani non sarebbero mai intervenuti in favore degli insorti ungheresi.

Del forte disagio nell'intellighenzia comunista italiana ne parla anche l'ex ambasciatore Sergio Romano. Con molta ironia si domanda sul perchè questi intellettuali non avessero capito come agivano i sovietici. Che tipo di cultura avessero se improvvisamente scoprirono nel 1956 di avere a che fare con un mondo in cui non si riconoscevano?

 

Certamente, «Togliatti non poteva certamente essere sorpreso dagli avvenimenti del 56 e continuò per la sua strada e questo, in un certo senso, comportava una forte dose di coerenza politica [...]». Mentre per quanto riguarda gli intellettuali, il fatto che fossero sorpresi o sconcertati dalla violenza sovietica in Ungheria, questo non si è mai riusciti a capire.

Ritornando a Togliatti, Giovanni Russo, sostiene, come risulta dai documenti che il Migliore contribuì in modo decisivo, «al processo e alla condanna a morte di Nagy sostenendo il carattere 'assolutamente controrivoluzionario' del governo nato dallo spontaneo moto di liberazione degli operai e degli studenti e intellettuali ungheresi contro lo stalinismo». Addirittura secondo De Leonardis, pare che Togliatti, abbia incitato i sovietici alla repressione degli insorti magiari.

 

Interessante l'intervento di de Leonardis che ci tiene a precisare che lui non deve rompere con nessun passato, perchè non è mai stato di sinistra, quindi non deve fare nessun pentimento o autocritica. Il suo modello è il cardinale Mindzenty, che nel suo discorso dopo la scarcerazione ha dichiarato di essere rimasto con le stesse convinzioni di prima la carcerazione, nonostante le brutali pressioni del regime.

Tuttavia De Leonardis è abbastanza polemico sulle conversioni ad orologeria dei leaders o intellettuali comunisti. Spesso queste conversioni sono state effettuate quando era ormai impossibile evitarle. O addirittura quando l'ordine veniva da Mosca. «Si continua ad accusare il popolo tedesco dicendo che non poteva non sapere dei crimini nazisti. - afferma De Leonardis - Sarebbe ora di chiedere conto ai comunisti (post o neo) perchè si sono sempre accorti dei crimini del socialismo reale solo quando arrivava il contrordine da Mosca. I processi a cavallo degli anni '40 e '50, i moti di Berlino est nel 1953, l'Ungheria nel 1956, il muro di Berlino, la Cecoslovacchia nel 1968, i processi ai dissidenti sovietici, il genocidio praticato da Pol Pot in Cambogia, il colpo di stato di Jaruzelski in Polonia, l'invasione dell'Afghanistan: nulla di tutto questo, per limitarci agli eventi più clamorosi, indusse il PCI a rompere i legami con Mosca, che furono sciolti, abbandonando il nome comunista (subito però rivendicato da altri), solo quando crollò 'l'impero del male'».

 

E soprattutto De Leonardis oltre a non credere al valore dell'autocritica e al pentimento degli ex comunisti. Non ha mai visto la riabilitazione dell'avversario anticomunista ed il riconoscimento delle sue ragioni di allora. Se non fanno questo rischiano di passare addirittura come “anticomunisti”, continuando a mantenere ai margini politici i veri anticomunisti.

 

Sarebbe importante continuare ma devo fermarmi, ritorneremo a parlarne la prossima volta.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 28/10/2020