Apoptosi del Coronavirus

Abbiamo capito chi è. Forse un poco tardi, avendolo in tanti purtroppo conosciuto di persona, ma finalmente abbiamo capito chi è COVID-19. Si occulta anche sotto l’altro nome in codice di SARS Cov-2 ed è il killer planetario al soldo della ramificata internazionalmente e ben nota famiglia Coronavirus - brutta gente, da cui è meglio star lontani - attenzionata da tutti gli organi di governo del mondo per la sua pericolosità sociale.

Questo sicario è capace di una sola cosa: aggredire senza pietà, con l’intento di uccidere: sa fare solo questo e lo fa con subdolo compiacimento perché non sa fare altro. Colpisce chiunque. Colpisce dovunque. Se c’è un assembramento spara ad alzo zero, senza neanche prendere la mira: sventaglia a caso la sua arma invisibile e silenziosa e se qualcuno si salva, si salva per caso.

Non abbiamo uno scudo per difenderci. Non servono le mura spesse delle fortezze medievali. Vanno un poco meglio solo le sottili cappe anti-contagio dei laboratori scientifici e le mascherine, che fanno di noi dei banditi e che lui, bandito per professione, non indossa perché ha modi diversi e più sofisticati per non farsi riconoscere.

Circola in mezzo a noi camuffato e invisibile e non ne avvertiamo minimamente la presenza. Ci usa come mezzo di trasporto senza pagare il biglietto: non lo sentiamo gravare sulle nostre spalle e non possiamo quindi scrollarcelo di dosso, ma c’è, su di noi, e ne sentiamo il peso quando il nostro passo si fa greve, il respiro si fa corto e il fiato comincia a mancarci. Si insinua nella nostra vita sociale e famigliare e nelle aule scolastiche dei nostri figli. Presenzia il nostro lavoro in ufficio, i nostri incontri d’affari, i nostri stacchi al bar per una pausa o al ristorante per un convivio amicale, i nostri mezzi pubblici di trasporto. Vìola, spregevole guardone, l’intimità delle nostre relazioni, dei nostri amori. Si impadronisce del nostro fiato e galleggia anonimo, etereo ed impalpabile, nell’aria che respiriamo con chi ci sta vicino. Ci ringrazia per la nostra mobilità, che gli procura vittime senza lo sforzo di andarsele a cercare. Ha una straordinaria vitalità.

E’ sfuggito ad ogni nostro attacco per neutralizzarlo. Non abbiamo un’arma per lui letale, pur se sono in tanti a cercarla nel mondo, attratti anche da ritorni economici che si profilano enormi. Sulle sue tracce, alla ricerca del suo tallone d’Achille, si muovono gli uomini migliori di tutti i Servizi, che indagano notte e giorno nel mondo da cui pare provenga, per coglierne un punto vulnerabile. Essi segnalano da qualche tempo, e sono sempre più convinti della attendibilità di quanto scoperto, che potrebbe morire d’inedia se dovessero mancargli le vittime bersaglio.

Concentriamoci allora su questo strumento, che al momento appare come l’unico di nostra possibile salvezza: “mors tua,vita mea”, dannato fomentatore dei miei sogni più angoscianti. Se solo questo ora è il mezzo per farti fuori, io ti farò morire d’esaurimento, programmando metodicamente la lontananza dai luoghi che tu frequenti sediziosamente; starò lontano da ogni assembramento; farò del distanziamento fisico il mio solo modo di relazionarmi anche con chi vorrei tenere stretto a me per fame d’affetti; mi laverò le mani non una volta sola come Ponzio Pilato, ma mille volte al giorno buttando nel lavabo la paura degli eventi, che fu anche di quel Procuratore romano, per il ribrezzo d’aver toccato qualcosa che forse tu prima hai toccato e non delegherò a nessuno, come fece lui, la morte d’un altro, perché l’altro sarei io, che voglio la morte tua, non la mia.

Ti sbatterò la porta in faccia. Mi chiuderò in casa e dal mio balcone ti vedrò vagare sconsolato nella piazza deserta e la musica che ne violenterà il silenzio irreale non sarà quella della movida mandata in quarantena, ma quella del requiem più struggente, sparato a tutto volume dalle canne d’un organo, che ti farà accapponar la pelle in un ultimo rantolo, mentre ai miei piedi mi invocherai di prenderti ancora bordo.

Siamo nella stagione giusta per il tuo trapasso, prendine atto: siamo nel cuore di questo autunno che ci sta regalando un anticipo della estate di San Martino e che vede la caduta programmata delle foglie e dei petali dei fiori, un fenomeno che in greco si dice “apòptosis”. Dal 1972, quando per la prima volta fu usato dai patologi Kerr, Wyllie e Currie, il termine “apoptòsi” indica la morte programmata di una cellula. Mi ha colmato di gioia oggi vedere ai piedi dei faggi rossi del viale le loro foglie purpuree sparse dalla fresca brezza del giorno. Gioirò immensamente di più, virus immondo, per la tua apoptosi, che è nelle possibilità di tutti quelli ai quali hai tolto la serenità. Ce la faremo a spedirti all’inferno. Si vales vàleo.

 

armeno.nardini@bno.eu

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 05/11/2020