«L'Arte Militare Egizia»: una realtà storica ancora da approfondire

Una ricerca dell'egittologo Riccardo Manzini per la comprensione di questa antica civiltà

Le grandi civiltà antiche sono state studiate e caratterizzate per il progresso sociale, economico, istituzionale, artistico che potevano esprimere, ma raramente ci si è soffermati con la dovuta attenzione alla componente “militare”, sempre presente e operante nel corso della loro storia.

In pratica nel corso della storia dell’umanità non è mai esistita una società-stato senza la presenza di una struttura militare con la funzione di difesa-offesa.

Il grande teorico militare e generale Carl von Clausewitz (Burg bei Magdeburg, 1° giugno 17980 - Breslavia, 16 novembre 1831) affermava nel suo celebre trattato “Della Guerra” (Vom Kriege) che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi», confermando in modo inequivocabile che lo strumento militare fa parte integrante del “potere” istituzionale e politico-economico di una comunità stabilmente organizzata in uno “Stato”.

Pertanto, affrontare e approfondire questo argomento significa completare la conoscenza di una civiltà e il perdurare del suo successo e durata nei secoli.

La civiltà dell’Antico Egitto è un esempio storico che offre un panorama militare tecnologicamente significativo ed efficiente, che merita una particolare attenzione di studio e di divulgazione.

Rientra in questo contesto l’articolo “L’arte Militare Egizia” del dottor Riccardo Manzini - medico chirurgo ed egittologo - che riportiamo con un ricco corredo di immagini.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua passata e attuale collaborazione, auguriamo una buona lettura (m.b.)

L’arte militare egizia

 

Basandosi sulle magnifiche rappresentazioni celebrative che decorano molti monumenti egizi (slide 1) la tradizione attribuisce a quella civiltà un'eccezionale cultura militaresca, veritiera se limitata ad un ben determinato momento storico, travisando la stessa natura pacifica di quella civiltà ed estendendo genericamente quella caratteristica a tutta la sua storia.

Se infatti è vero che nel periodo delle dinastie tebane XVIII e XIX la civiltà egizia si trasformò in un impero conquistando ampi territori grazie al suo apparato militare, è altresì vero che rapidamente tale impero decadde per la debolezza del potere che non fu più in grado di sostenere un valido esercito; ma soprattutto è documentato che fino al Medio Regno l’Egitto non aveva avuto neppure un esercito stabile. I sovrani dell'Antico Regno, infatti, in netto contrasto con l'imponenza delle loro tombe a piramide, si vantarono di modeste imprese militari consistenti in sole scorrerie per punire i pochi beduini del deserto, in quanto l’isolamento proteggeva il Paese e la naturale ricchezza del territorio avrebbe reso superflua e vanamente impegnativa l’estensione dello Stato.

Ciò non toglie che, pur con questi limiti, anche in ambito militare gli egizi riuscirono effettivamente ad essere dei precursori e ad imporsi al mondo contemporaneo grazie alla loro ben nota organizzazione, sebbene nel periodo di espansione si siano scontrati con eserciti più numerosi e meglio armati. Si può quindi dire che quando ve ne fu la necessità divennero maestri nell'arte della guerra, senza mai avere una cultura militarista.

Pur in assenza di un esercito, fin dal periodo predinastico comparve comunque nell’antica capitale Nekhen (Hieracompoli) un imponente forte in mattoni a pianta pressoché quadrata ed alti muri spessi alla base circa 6 m (slide 2), il quale però più che una costruzione militare sembra abbia avuto lo scopo di celebrare la grandezza di quei sovrani.

Come detto, la presenza di un esercito è documentata solamente dal Medio Regno e con scopi puramente difensivi, in quanto le attività militari di quel periodo sono prevalentemente correlate alla volontà di salvaguardare i centri commerciali egizi al di fuori del proprio confine o al limitare di esso. Onde proteggere dai predoni nubiani le vie di approvvigionamento dell’oro e del commercio dei materiali preziosi, i sovrani della XII dinastia si impegnarono infatti nella costruzione di numerose e poderose fortezze al confine meridionale (slide 3), difese da guarnigioni stanziali.

Particolarmente interessante è l’architettura di queste imponenti fortezze in mattoni a pianta poligonale, poste generalmente sulle rive del Nilo al centro di villaggi delimitati da alte mura (slide 4), la meglio conservata delle quali (Buhen) era giunta a noi in ottime condizioni ma scomparve sotto le acque del lago Nasser.

Il forte di Buhen aveva una triplice difesa composta da un terrapieno esterno separato dalla struttura muraria da un profondo avvallamento, da una cinta esterna costituita da un muro merlato intervallato ogni 50 m circa da bastioni semicircolari (slide 5) che consentivano agli arcieri il tiro incrociato, e da uno spesso muraglione alto oltre 10 m con torri rettangolari che costituiva l’ultima difesa. L’unico ingresso era delimitato da due torrioni semicircolari e sugli spalti erano posizionati gli arcieri dotati di frecce di canna e punta in selce (successivamente in bronzo).

Solo alla fine del Medio Regno fu innalzata anche sul confine NE (Suez) una cintura di fortilizi, costituiti però da una sola torre circondata da basse costruzioni, che sembra costituissero delle semplici basi di appoggio per le truppe confinarie.

La vera potenza militare egizia comparve durante il Secondo Periodo Intermedio quando i governatori organizzarono un effettivo esercito per sconfiggere gli Hyksos che, sebbene presenti in Egitto da tempo, erano riusciti ad imporsi grazie alla decadenza dello Stato ed alla debolezza dei sovrani della fine della XII dinastia. Con l’avvento di Thutmosi III (XVIII dinastia) e di Ramesse II (XIX dinastia) l’arte militare egizia raggiunse il suo apice, che portò l’Egitto a vere guerre di espansione e quindi a scontrarsi, ed in molti casi a sconfiggere, le coeve civiltà degli Ittiti e dei Mitanni.

A capo dell’esercito egiziano del Nuovo Regno in formazione da battaglia vi era il re sul suo carro (slide 6), protetto dai fanti della guardia reale dotati di spade e scudi e da alcuni carri su cui vi erano, come di consueto, due soldati di cui uno fungeva contemporaneamente da auriga e da combattente (v. slide 1) armato con 2 giavellotti, arco e frecce, pugnale, mazza e scure.

L’armata era costituita da 4 Divisioni, ognuna delle quali portava il nome di uno degli dei delle storiche capitali (Amon-Tebe, Ra-Eliopoli, Ptah-Menfi, Seth-Pi Ramesse), ed era composta da una Brigata di fanteria pesante (slide 7) con soldati armati di lancia, scudo e pugnale in bronzo senza guardia (successivamente anche di scure), da una Compagnia di carri, da un Corpo di arcieri e da un Corpo di assaltatori.

La Brigata, comandata da un ufficiale superiore, comprendeva 5000 uomini ed era divisa in 20 Compagnie di 250 uomini, ognuna delle quali era a sua volta suddivisa in 5 Plotoni di 50 uomini, cui si aggiungevano amministratori civili, scribi ed un furiere.

La Compagnia carri, sotto il comando di un ufficiale, comprendeva 50 mezzi divisi in 10 sezioni di 5 carri, ognuna delle quali aveva un proprio ufficiale, oltre a 100 fanti con arco e frecce (in genere tenute in mano; la faretra comparve solo nel Nuovo Regno) incaricati della protezione dei carri.

Oltre a queste componenti ogni Divisione aveva alfieri porta stendardo, staffette a cavallo, medici e veterinari. I 4 comandanti di Divisione più un tenente generale amministrativo costituivano lo Stato Maggiore.

Se questa era la struttura dell’esercito nel momento della sua massima potenza, esistono testimonianze che fin dagli albori gli egizi diedero grande importanza alla tattica, all’epoca finalizzata alla conquista degli agglomerati urbani debolmente fortificati (slide 8), attuata con l’intervento di minatori protetti dagli arcieri e dall’utilizzo di scale per superare le difese.

Grande importanza per tutta la storia militare egizia ebbero il devastante effetto sorpresa con cui si ingaggiava la battaglia e l’azione degli assaltatori, sostenute dalla rapidità con cui il mobile esercito ben organizzato poteva agire.

Il principio tattico che consentì all’Egitto di sconfiggere eserciti anche più numerosi e meglio armati consistette infatti da sempre nell’attaccare per primi con il sovrano nelle prime posizioni, sia per controllare gli sviluppi bellici e prendere rapidi provvedimenti, che per l’immagine di presenza e di forza che infondeva alle truppe. A riprova vi sono i crani delle mummie di due sovrani vissuti nel Secondo Periodo Intermedio che mostrano ferite mortali ricevute in battaglie durante le guerre di liberazione dagli Hyksos (slide 9).

É da notare che gli egizi trassero vantaggi militari dalla guerra contro gli Hyksos, dopo la quale comparvero i cavalli, ma soprattutto i carri che rapidamente evolvettero secondo un modello originale caratterizzato dalla leggerezza e dalle ruote di circa 1 m di diametro con la circonferenza fasciata di cuoio. Per tutta la storia egizia non comparvero mai elaborate macchine da guerra.

La classica tattica egizia consisteva nello schierare nelle prime file i fanti leggeri seguiti dal sovrano con la sua guardia, la quale precedeva le Divisioni con gli arcieri in avanguardia protetti lateralmente dai carri, i quali potevano quindi all’occasione svincolarsi e lanciarsi contro il nemico.

Piuttosto interessante è l’organizzazione dell’esercito che disponeva di poca sussistenza, in quanto come d’abitudine all’epoca confidava di reperire gran parte del cibo sul posto, consistente principalmente in carriaggi che portavano le armi da distribuire solo prima della battaglia per non gravare i fanti già impegnati in lunghe e faticose marce sotto un sole rovente.

Prima della battaglia non risulta venissero celebrati riti, ma si trascorreva un periodo di riposo in accampamenti momentanei delimitati dalle barriere costituite dagli scudi.

Un esercito così organizzato richiedeva un preliminare addestramento delle reclute in apposite strutture ed una florida attività artigianale, quasi un’industria, che provvedeva alla fabbricazione delle armi e di ogni strumento necessario (slide 10).

In linea con le usanze antiche, dopo alla battaglia seguiva il saccheggio e l’uccisione dei capi dei nemici (ma solamente se erano funzionari ribelli), il censimento dei nemici uccisi con il conteggio delle mani tagliate (applicato ancora negli anni 50 del secolo scorso dai britannici nella guerra contro i Mau Mau) e la deportazione dei prigionieri, ma senza alcuna documentazione di massacri se non simbolici sulle pareti dei templi (slide 11).

Una parte del bottino veniva quindi donato ai vari templi e i più valorosi combattenti premiati dallo stesso sovrano con apposite collane, mentre ai generali venivano donate collane con le famose mosche.

Da questo breve riassunto sarebbe errato dedurre che, quanto meno nel periodo dell’Impero (Nuovo Regno), gli egizi abbiano fatto guerre di conquista per espandere il territorio; la loro strategia consisteva nel garantirsi delle basi commerciali attraverso la creazione di adiacenti città-cuscinetto che le separassero dai vicini più bellicosi. Queste erano conquistate politicamente o aggredite militarmente (Meghiddo) per inserirle in questa strategia, ma ripristinando i governanti locali cui demandavano gli oneri di tale funzione.

Riccardo Manzini

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Articolo pubblicato il 27/11/2020