Cavalieri Dal Buio Alla Luce

Di Francesco Cordero di Pamparato (Quinta Puntata)

5 - Il Mago

 

Il terreno tremò sotto gli zoccoli dei cavalli. Le lance urtarono gli scudi. Uno dei cavalieri crollò a terra. Un urlo di gioia uscì dalla folla. Ancora una volta, Jacob aveva vinto il torneo. Per un cavaliere di ventura, era una grande soddisfazione veder crollare ai propri piedi i più forti campioni, al soldo di potenti feudatari.

Passò la sera a far baldoria al castello, bevendo e cantando con gli altri uomini d’armi. Poi, naturalmente, in compagnia della dama per cui aveva combattuto.

Il mattino dopo, partì verso il ducato di Bretagna, dove aveva molti amici. Loro non partecipavano ai tornei. Avrebbe potuto gloriarsi delle sue imprese ancor più del solito.

Cavalcò tutto il giorno. Ogni tanto, posava la mano sul sacchetto, che conteneva le sei once d’oro, vinte al torneo. Era bello sentirsi più ricco. Verso sera si fermò in una pianura, a fianco della foresta. La radura era circondata da giganteschi Dolmen. Il cavaliere non sapeva cosa fossero. Era stanco. Voleva solo riposarsi e trovare un riparo per la notte. Tutto a un tratto, scoppiò un violento temporale. Jacob si mise al coperto sotto uno dei vari Dolmen.

Mentre aspettava che smettesse di piovere, estrasse dal fodero la spada, che portava al fianco. La osservò compiaciuto. Era forse la cosa a cui era più affezionato. Per tanti anni lo aveva seguito. Gli era servita a vivere e a sopravvivere. La vista di quella lama, gli dava sempre sicurezza.

Tutto a un tratto, sentì un forte dolore alla spalla sinistra. Una freccia, scagliatagli da vicino, lo aveva colpito. Si voltò: cinque briganti erano usciti dalla foresta e gli stavano correndo contro. Jacob non era uomo da ritirarsi, anche se ferito.

Attaccò per primo i masnadieri. Il primo cadde a terra con la testa spaccata. Il secondo, armato di una mazza gli vibrò una botta tremenda. La spada lo intercettò, ma non resse l’urto. La lama si spezzò in due. Il fatto procurò al cavaliere un dolore forse più grande di quello causatogli dalla ferita.

Rimase per un momento interdetto. Venne colpito altre due, tre volte e cadde. Uno dei briganti stava per finirlo, quando il loro capo gli disse di lasciare perdere. Sarebbe morto dissanguato in ogni modo. Prima di svenire ebbe il tempo di vederli portar via il suo cavallo, le sue armi, la sacca con l’oro. Poi perse i sensi.

Dopo un tempo che non era in grado di valutare, riprese conoscenza. Si sentiva molto debole. Non ricordò subito cosa gli fosse successo. Il primo pensiero lo rivolse alla spada: spezzata. Risvegliatosi appieno, cercò di capire dov’era. Sentiva dolori in tutto il corpo., faticava a muoversi. Era disteso su un giaciglio di foglie e pelli. Il suo corpo, dove era ferito, era stato ricoperto di muschio.

Si trovava in una caverna. La luce filtrava dall’imboccatura. Vide un uomo alto, magro, anziano, con i capelli lunghi. Lo stava guardando, seduto su un ceppo di legno, che gli faceva da sedia. Le pareti della caverna erano rivestite di scaffali, pieni di libri e di pergamene. Sparse qua e là, c’erano diverse tavole e mensole, con olle e alambicchi. Qualcosa stava bollendo in un calderone.

“Dove sono? Chi sei tu che mi hai salvato? Da quanto tempo sono qui?”.

“Una cosa per volta amico, sono tre giorni che ti ho trovato, piuttosto malconcio, sulla spianata dei Dolmen. Perché poi tu sia andato a cacciarti proprio là, non lo capisco. Vedo che sei stato aggredito dai banditi della foresta. Un giorno dovrò dare loro una lezione. Ora ti ho portato qui per curarti. Non toglierti di dosso quel muschio, serve a farti passare la febbre. Dimmi, dalla spada che avevi e da come ti sei difeso, devi essere un cavaliere. Sei al soldo di qualche potente o sei un cavaliere errante?”.

“Ehi, tu parli in modo strano. Ti sono riconoscente, perché mi hai salvato la vita, ma le altre cose non le capisco. Se mi chiedi se sono al soldo di qualche potente per chiedere un riscatto puoi scordarlo: sono un cavaliere errante. Mi chiamo Jacob. Poi cosa ha di particolare quella spianata, con tutti quei pietroni? E come pensi di dare una lezione ai banditi tu, che sei vecchio, se non ci sono riuscito io, che sono più giovane di te, e avvezzo all’uso delle armi?”.

“Cavaliere ascolta, ci sono cose difficili da spiegare. Quei pietroni, come li chiami tu, sono dei Dolmen. Oggetti di una religione antica, da cui emana ancora una grande forza. Se non entri in sintonia con essa, la forza si rivolta contro di te. A te è già successo. Io la sfrutterò per punire quei banditi”.

“Ti devo la vita, ma tu o sei pazzo o sei ubriaco. Mi dici di una strana forza che si è rivolta contro di me. Altro che strana forza! Cinque miserabili! E se non mi avessero ferito a tradimento, ora sarebbero tutti morti!”.

Il vecchio lo guardò con due occhi gelidi: “Credi, dunque, che la forza di un uomo sarebbe bastata a spezzare una spada come la tua?”.

Jacob fu colpito dalla domanda, rimase per un po’ in silenzio, interdetto.

“Tu sei un uomo strano, vecchio. Da quanto vivi in questa grotta, tutto solo? Hai molti libri. Sai leggere. Li hai letti tutti? E qual è il tuo nome?”.

“Mi chiamo Marcus. Vivo in questa caverna sino da ragazzo, quando facevo da apprendista a chi mi ha preceduto. So leggere, questi libri li ho letti tutti. Qualcuno l’ho anche scritto io”.

“Ma sei un mago? Non vorrai per caso fare anche di me un negromante?”.

“Non sono un mago. Sono un uomo che vuole vivere in armonia con la natura. Per questo la studio e vivo lontano dagli altri uomini. Ora bevi questa pozione e riposati. Sei ancora molto debole”.

Jacob bevve una brodaglia calda, grassa e maleodorante. Nel frattempo, Marcus uscì dalla caverna. La curiosità non aveva dato il tempo al cavaliere di pensare allo stato delle sue ferite. Non era la prima volta che era stato colpito. Questa volta però tutto era diverso.

Si sentiva molto debole ma, a differenza dalle altre volte, non provava il caldo terribile della febbre. Non sentiva nemmeno dolore. Era forse effetto di magia? Provò una sensazione di disagio. Però, tutto sommato, rispetto a quando era stato ferito in precedenza, stava molto meglio. Forse quest’uomo non aveva secondi fini, e poi perché avrebbe dovuto cercare proprio lui, quando avrebbe potuto trovare un ragazzo, che gli facesse da apprendista. Così, si diceva, operavano i maghi.

La caverna era diventata buia. La stanchezza ebbe il sopravvento sui suoi pensieri. Cadde in un sonno profondo. Sognò i Dolmen, Marcus, la spada spezzata, il suo oro.

Tutto gli turbinava nella testa, fino a quando le immagini si dissolsero, come in una nebbia.

Quando si risvegliò, la caverna era di nuovo piena di luce. Marcus leggeva una pergamena. Si sentiva più forte. Si guardò intorno. Non aveva più il muschio sulle ferite. Al suo posto c’era uno strato di uno strano fango. La cosa gli diede fastidio.  

“Ehi Marcus, che porcheria è questa? Cosa vuoi farmi con questa robaccia sulle ferite? Che razza di sortilegio è mai questo?”.

Il vecchio lo guardò con aria di sufficienza.

“Taci scriteriato. Il muschio ti ha tolto la febbre. Il fango ti farà rimarginare i tagli. Piuttosto, guarda in fondo alla caverna se c’è qualcosa che riconosci”.

Jacob si voltò. Con suo grande stupore, vide le sue armi, la sua armatura e la sua sella.

“Ma queste sono cose mie! Come hai fatto a trovarle? E dimmi vecchio, non c’era per caso anche una sacca con sei once d’oro?”.

“Quante domande cavaliere. Ti avevo detto che avrei dato una lezione ai banditi. Tu non ci credevi. Purtroppo l’oro non l’ho trovato. In compenso fuori della grotta c’è il tuo cavallo. Abbiamo ancora un problema: bisogna che ti procuri una nuova spada”.

“Tu non fai che stupirmi. Non so come farò a sdebitarmi con te. Come pensi di procurarmi una nuova spada? La mia era stata forgiata da un grande maestro. Era occorso molto tempo e molto denaro”.

“Ascolta amico, ci sono molti modi per accostarsi alla natura. Quello che dà più frutti, consiste nell’inserirsi nel suo ordine. Hai già visto realizzarsi cose che non credevi possibili. Invece lo sono per chiunque avesse voglia di seguire un certo modo di vita. Non è magia. Io ti farò una spada nuova. Vedrai che sarà una buona spada”.   

Jacob lo guardava ammutolito. Quell’uomo parlava di cose strane, impossibili secondo la mentalità corrente. Eppure, lui oltre a dirle, le metteva in atto. Era sicuro: gli avrebbe fatto una buona spada.

Il vecchio gli somministrò una pozione, ancora più sgradevole della precedente. Quasi subito si sentì più in forze. Nel frattempo, Marcus stava lavorando all’imboccatura della caverna. Aveva tolto il sigillo ad alcune olle. Ne era venuto fuori un fango strano. Gli aveva plasmato dentro la forma di una spada. Il fango si era indurito subito.

Successivamente, aveva posto un calderone su un piccolo forno, in cui stava bruciando della legna. Buttò nel calderone degli strani minerali. Prese delle anfore di forma orientale, ne versò il contenuto sul fuoco. Uscì una sostanza nera, oleosa e densa. La temperatura si innalzò enormemente, tanto che Jacob ne ebbe fastidio. La fusione fu pronta rapidamente. Quando alfine, la lama incandescente fu preparata, vi versò sopra il sangue di animali appena uccisi. Poi continuò a lavorare sul metallo freddo, in un modo che il cavaliere, dalla sua posizione non riusciva a vedere.

Era sera tarda, quando arrivò con l’opera finita. Nel frattempo, Jacob aveva recuperato ancora forza. In silenzio, Marcus gli pose la spada. Era un’arma bellissima. Luccicava agli ultimi raggi del tramonto. Non aveva mai provato una lama così bilanciata.

Il vecchio gli indicò una grossa pietra.

“Prova a menare un fendente su quel masso” disse.

Jacob obbedì, come avrebbe fatto un bambino. Raccolse tutte le sue forze e colpì. Fu sbalordito nel vedere la lama tagliare la roccia, come fosse legno dolce, senza scalfirsi.

“Ma tu allora sei davvero un mago! Cosa vuoi da me, in cambio di quanto hai fatto?”

“Amico, ti ho già detto che non sono un mago. Se proprio vuoi chiamarmi con una qualifica, sono un alchimista. Ti ho già detto tante volte che sono un uomo, che vuole vivere in armonia con la natura. Anche per questo ti ho salvato. Tu non mi devi niente”.

“Un alchimista! Ma allora, tu sai fare la pietra filosofale, quella che trasforma il metallo in oro!”.

“Adesso esageri. Nessun alchimista sa fare la pietra filosofale. È solo una leggenda. Comunque, chi sapesse farla, non la farebbe lo stesso”.

“Perché dici così? L’oro dà ricchezza e potere. Non ti farebbe piacere averli?”.

“Non mi interessano. Non mi darebbero nessun aiuto a inserirmi nell’ordine naturale, anzi me ne distaccherebbero. Inoltre, l’oro dà ricchezza e potere a chi li ha già. A un vecchio, darebbe solo nemici, che cercherebbero di ucciderlo, per rubargli la pietra. Come vedi, è meglio non saperla fare”.

Jacob lo guardò perplesso. Era molto triste di aver perso il suo oro. Vedere un uomo, che disprezzava il prezioso metallo era per lui inconcepibile. Marcus lo guardò, con aria paterna.  

“Si è fatto tardi. Bevi ancora una pozione, domani avrai recuperato abbastanza forze, per continuare la tua strada”.

Il cavaliere bevve e subito cadde in un sonno profondo. Sognò quella nuova bellissima spada. La vedeva mulinare nell’aria, scomporsi, formare il volto di Marcus. Poi come sempre, il sonno fu tranquillo.

Il mattino seguente, le ferite erano ormai chiuse. Era abbastanza in forze da continuare il viaggio. Si sentiva felice. Volle esternare la sua gioia al vecchio.

“Marcus, tu mi hai salvato la vita, ritrovato le armi e il cavallo. Mi hai fatto la più bella spada che io abbia mai visto. Devo sdebitarmi con te. Dirò a tutti, che in questa foresta vive un alchimista che è un uomo buono e giusto. Tutti verranno ad onorarti”.

Per la prima volta, gli occhi dell’uomo si fecero gelidi. Le parole uscirono taglienti dalla sua bocca.

“Non devi assolutamente farlo! Non sai forse che la gente ci teme? Gli ignoranti odiano chi conosce le cose che a loro non è dato di comprendere, ancor più di quanto non odino i potenti. Ci considerano dei maghi maligni. Tu hai potuto conoscermi e capire, ma se mi trovassero, per me sarebbe il rogo!”.

Jacob si allontanò pensoso. I fatti degli ultimi giorni erano troppo prodigiosi, perché non lo lasciassero perplesso. Non riusciva a capire come della gente potesse voler mettere al rogo un uomo così buono e saggio.

Dopo alcune ore, decise di fare una sosta. Fu allora, che notò una piccola sacca, che pendeva dalla sella. Non era la sua. Non l’aveva messa lui. L’aveva vista nella caverna di Marcus. Incuriosito l’aprì. Conteneva sei once di pepite d’oro. 

 

Francesco Cordero di Pamparato

Fine quinta puntata - Continua

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Articolo pubblicato il 22/11/2020