
Il 16 novembre, ricorre la Giornata internazionale per la tolleranza, istituita dai Paesi dell’Unesco con deliberazione adotta a Parigi il 14 luglio 1995
In questo momento, funestato da una pandemia che impone soluzioni rapide, efficaci e condivise, sembra che ormai si litighi su ogni proposta politica, su ogni previsione della scienza, su ogni modalità di ricovero, sul numero dei contagi, sulla entità dei ristori economici, che sono invece da considerarsi risarcimenti, su chi come e quando risarcire e, secondo qualcuno, su chi lasciar morire di fame e chi di fame d’aria.
Il 16 novembre, ricorre la Giornata internazionale per la tolleranza, istituita dai Paesi dell’Unesco con deliberazione adotta a Parigi il 14 luglio 1995.
Un altro 14 luglio, quello del 1789, la Rivoluzione francese culminò in quella capitale con la presa della Bastiglia e da allora in Francia il 14 luglio è festa grande, ricordata anche altrove per la sua portata storica nel progresso della civiltà.
Dovremmo far festa in qualche modo anche da noi, il 16 novembre, o almeno ricordarci che l’Unesco ha inteso richiamare alla attenzione di tutti, in questo giorno, i principi cui si ispira la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, il cui costrutto si regge sulla tolleranza, pur se essa non viene mai nominata.
Ogni nostro giorno quindi dovrebbe essere improntato alla tolleranza. Quasi mai però ci chiediamo se siamo tollerati, pur se spesso diciamo d’esserlo; ma i fatti, purtroppo, non altrettanto spesso confermano le parole.
E’ la tolleranza che permette la convivenza nel tempo, ma essa non consente aspirazioni prevaricanti e separazioni invalidanti; né consente atteggiamenti dispotici e reazioni irriguardose. Ma non è facile convivere con chi è diverso da noi, chi la pensa diversamente da noi, chi ha un credo religioso o politico diverso dal nostro.
Un modo per sottrarsi alla fatica d’essere tollerante è quello di eliminare fisicamente chi è sentito come diverso. Molto spesso questo è accaduto, ed accade ancora.
Tollerare viene dal latino “tollere”, che implica azione, perché significa “portare”. L’italiano “sopportare”, che non implica azione ma un passivo subire, deriva invece dal latino “patire”, da cui il termine “pazienza”.
La pazienza è “la virtù dei forti”, come sapete, quindi è solo di certi uomini. Si dice pure che “la pazienza è la virtù dei somari”, perché le prendono anche quando il carico è greve ed erta è la salita. Ma ricordino, chi le dà, che la tolleranza non tollera che si abusi della pazienza. Si vales, vàleo.
armeno.nardini@bno.eu
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Articolo pubblicato il 16/11/2020