Giovanni Battista Martini, il “Maestro dei Maestri”

Il clavicembalista bolognese Daniele Proni ci accompagna alla scoperta di Padre Martini, musicista venerato ai suoi tempi in tutta Europa, a partire da Mozart.

In occasione dell’uscita di un doppio CD della Elegia Classics dedicato alla produzione per organo e clavicembalo di Giovanni Battista Martini, considerato tra le massime autorità musicali del XVIII secolo, ho chiesto al protagonista di questa registrazione, il cembalista bolognese Daniele Proni, di delineare un ritratto di questo autore molto affascinante, conosciuto oggi più di nome che per la sua musica.

 

La scelta non poteva essere più felice, visto che Proni è curatore con Federico Ferri dell’opera omnia di Martini pubblicata dalla Suvini Zerboni e ha realizzato con l’ensemble di strumenti originali Accademia degli Astrusi una splendida integrale delle opere orchestrali del frate felsineo, edita dalla Warner. Ma cedo ora la parola all’amico Daniele.

 

“È ormai buio quando, il 24 aprile del 1706, viene alla luce il secondogenito di Antonio e Domenica Martini: Giovanni Battista apre gli occhi intorno alle 21 in una stanzetta di Via Pietralata, stretto vicolo che unisce le più ampie via San Felice e via Sant’Isaia, a Bologna, allora città papale.

 

Fin da piccolo Giambattista (o Giobatta, così il soprannome familiare che userà spesso anche nella propria corrispondenza) è avviato alla musica tra le mura domestiche. Il papà è strumentista d’arco, così come il fratello maggiore Giuseppe, che nel tempo diverrà abile violoncellista e, anch’egli, sacerdote.

 

Saranno gli ambiti religiosi della casa-scuola di Don Giuseppe Auregli e della chiesa della Madonna di Galliera – allora sotto la congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri – a erudirlo nella lettura, nella scrittura, nell’aritmetica e nella religione.

 

Dimostra fin da subito grande vivacità intellettuale e molteplici interessi nel campo musicale, tanto da essere indirizzato ad alcuni dei migliori maestri bolognesi del tempo quali Angelo Predieri, con cui studia canto e composizione, e Giovanni Antonio Riccieri, che perfeziona il suo contrappunto; con Francesco Antonio Pistocchi approfondisce le tecniche del canto, mentre da Giacomo Antonio Perti (“il più dotto, stimato e venerato universalmente”) riceve preziosi consigli, con ogni probabilità legati all’esercizio di maestro di cappella in San Petronio, che l’anziano precettore svolge già da un paio di decenni.

 

A quindici anni viene accolto nella figliolanza di San Francesco, una sorta di apprendistato, che consente ai giovani che desiderano avvicinarsi alla vita religiosa di vivere presso la basilica francescana, situata a pochi passi dalla sua casa natale.

 

Dopo il noviziato vissuto a Lugo di Romagna, il 28 gennaio del 1725 riceve l’ordine minore proprio in San Francesco, dove da qualche mese è divenuto aiutante di Ferdinando Gridi, maestro di cappella e organista, che la salute sta ormai abbandonando.

 

Dopo soli sei mesi infatti il Gridi scompare e Martini ne subentra quale facente funzioni e quindi, nell’arco di un paio di anni, ne diventa diretto sostituto. Il 24 febbraio del 1729 infine è consacrato sacerdote, concludendo in modo decisamente rapido il proprio percorso canonico: a soli 23 anni il nostro Giobatta è già ciò che sarà e rimarrà fino al 3 agosto del 1784, giorno della sua morte.

 

Come trascorre questi 55 anni di vita?

Difficile raccontarlo in breve, ma possiamo partire da ciò che di suo è giunto sino a noi: oltre 1000 numeri di catalogo di composizioni musicali manoscritte e a stampa di ogni genere, sacro e profano, vocale e strumentale, tre volumi più due abbozzati di Storia della Musica (la prima della storia), un saggio di contrappunto e centinaia di appunti di musica sia pratica sia teorica.

 

A questo si aggiungono le quasi 6.000 lettere inviate e ricevute, che rappresentano un epistolario di incredibile valore storico. Senza contare il lascito di oltre 17.000 volumi musicali e della quadreria, uno dei fondi di questo settore più importanti del mondo.

 

Come sia riuscito un frate (minore!) a realizzare tutto questo, è arduo da immaginare.

Certo è che la sua dedizione alla raccolta del materiale, alla classificazione, allo studio, allo scambio epistolare e alla composizione ha occupato ogni istante della sua vita.

 

Immaginiamo quindi Martini, nella sua quotidianità. L’ufficio di invitatorio e lodi scandisce le prime ore della mattina, anche se dobbiamo pensare a un uomo che ha appena trascorso la notte nella propria cella, circondato da centinaia di libri e senz’altro assorto nella lettura.

 

Quindi le attività richieste dal suo ruolo di maestro di cappella, dall’organizzazione del lavoro del coro alla scrittura di nuove composizioni per la domenica o per l’approssimarsi di una solennità.

 

Poi qualche lezione, ma soprattutto la lettura degli ultimi volumi arrivati via posta (e magari aspettati e bramati da molto tempo), sui quali egli riporta appunti di vario genere, ne trascrive parti e ne annota i contenuti.

 

La giornata si completa con la stesura di alcune lettere, avendo egli rapporti epistolari con mezza Europa, e con qualche visita in città. Infine vespri e funzione della sera e di nuovo nella sua cella, pronto a ricominciare una notte di studio!

 

Anche se richiesto da più fronti, perché si trasferisse a Padova, ad Assisi o a Roma, dove gli offrono il ruolo di coadiutore del maestro di cappella in San Pietro al quale risponde con un laconico “Tuttavia lascio correr tutto, ringraziando Iddio che Roma è lontana da Bologna da 300 miglia; e qui spira un’aria più sincera”, Martini decide di rifiutare ogni proposta.

 

La sua piccola cella in San Francesco è un rifugio sicuro nel quale può rinchiudersi per indagare, approfondire, comporre e trascrivere. Chiede e ottiene addirittura dal Papa, il buon cardinal Lambertini, bolognese, ora al soglio pontificio come Benedetto XIV, con rescritto dell’11 novembre del 1756, di poter essere sollevato dall’incarico di celebrare la messa in chiesa, per la sua cagionevole salute, dice...

 

“Fra Giambattista Martini... rappresenta trovarsi dalle abituali sue indisposizioni, parte reumatiche alle gambe, parte convulsive alla gola ed al capo, sino alla fanciullezza contratte, presentemente così male sotto i cinquant’anni ridotto, che ogni leggiera inclemenza d’aria fredda lo aggrava pericolosamente; e perciò instantemente s’avanza la facoltà d’erigere l’altare in cella, a fine di poter celebrarvi ogni giorno la santa messa”.

 

Quanto di vero vi sia in questa ammissione non lo sapremo mai (è possibile che il povero frate non avesse una salute di ferro, anche se visse quasi 80 anni...), ma comunque in tale maniera ottiene ciò che desidera, ossia la libertà di tempo a disposizione per le sue ricerche, senza nemmeno dover uscire dalla propria stanza!

 

E il papa, che ben lo conosce, non lesina permessi a colui che evidentemente immagina capace di lasciare un profondo solco nella storia della musica, arte somma, che la Chiesa del tempo teneva ancora in grandissima considerazione.

 

Trova così anche il tempo per dedicarsi a decine di allievi, che si rivolgono a lui per avere efficaci e necessari consigli per il contrappunto, di cui è maestro incontrastato. Tra questi il giovane Mozart, che in una lettera del 1776 scrive: “... e non cesso d’affliggermi nel vedermi lontano dalla persona del mondo che maggiormente amo, venero e stimo, e di cui inviolabilmente mi protesto di Vostra Paternità molto Reverenda umilissimo e devotissimo servitore”.

 

Personaggi di ogni genere, dai re ai nobili, dai letterati agli uomini di scienza, bramano di incontrarlo quando sono di passaggio a Bologna e, come ricordato, la sua corrispondenza epistolare – ove egli dispensa suggerimenti e spesso ringraziamenti per chi riesce a procurargli uno spartito raro – è quotidiana e ricchissima di contatti.

 

Un uomo a tutto tondo, europeo ed europeista del Settecento, potremmo dire un artista globale, nel quale le arti della matematica, della filosofia, della musica e della pittura, intrise di profondo sentimento religioso, si combinano, dando modo all’uomo umile di ergersi al di sopra di ogni altro.

Lo dimostra, tra le tante testimonianze di stima, l’essere nominato persino “definitore perpetuo” presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna, ruolo che fino a quel momento era stato concesso per statuto solo ai laici e che Martini, in evidente disaccordo con alcune scelte degli accademici, rimette dopo alcuni anni creando, quindi, un doppio e inaudito precedente!

 

Questo riconoscimento gli deriva dall'essere ripetutamente interpellato per richieste di spiegazioni, soluzioni e giudizi su questioni di carattere teorico-musicale tra le più importanti, non ultima la querelle tra gluckisti e piccinnisti, per la quale egli dimostra doti diplomatiche straordinarie: “È noto che fra i drammi ritrovasi il tragico, il comico e in mezzo a questi due trovasi il pastorale, il quale ha per principio fondamentale la semplicità […].

 

Il cavalier Gluck è più disposto al tragico, al fiero che al dolce, al delicato; al contrario il Piccinni si distingue più nel comico che nel serio; perchè il comico è pieno di una musica ornata di vezzi e piena di graziose espressioni, e sopra tutto, di una naturalezza e chiarezza tale che tutti aprendono e cantano per le strade le di lui arie […].

 

E qui prima d’inoltrarmi fa d’uopo che io metta sotto gli occhi quanto dice Cicerone nell’arte oratoria, cioè che tre sono gli stili: l’uno sublime, l’altro mediocre e il terzo infimo [...] Così ne’ stili di musica, che sono tragico, pastorale e comico, nomineremo il primo sublime, il secondo mediocre e il terzo infimo. Si è reso perfetto nel primo il cavalier Gluck e nel terzo il Piccinni. Potiamo però dire che tanto Gluck quanto Piccinni non si siano distinti negli altri due stili?”.

 

Cosciente di quanto fosse stato capace di creare, di raccogliere, di catalogare, il suo desiderio è anche quello di tramandare ai posteri un lascito che non aveva eguali tra i suoi contemporanei.

 

Mentre il “gossip” del tempo ci tramanda che sul letto di morte, prendendo per mano il fedele discepolo e successore Stanislao Mattei, egli pronunciasse le parole “E so in che mani lascio il mio posto e i miei scritti”, la realtà testimonia che già nel 1750 Martini avesse ottenuto per il suo patrimonio la protezione del succitato Benedetto XIV con la seguente richiesta: “Frate Giambattista Martini […] prostrato al trono apostolico di Vostra Santità, con profondissimo ossequio espone d’aver egli colle sue religiose fatiche ed industrie e collo sborso di circa duemila scudi fatta una copiosa raccolta degl’autori di musica teorica e pratica in moltissime lingue, la maggior parte de’ quali sono codici manoscritti inediti e per lo più originali dal nono secolo sino al decimosesto; l’altra parte di edizioni scelte […] molte pergamene […] libri istorici, filosofici, matematici e di Belle Lettere che hanno connessione colla musica, o teorica o pratica.

 

Bramando perciò che una raccolta assai rara […] si conservi sempre nella sua integrità, supplica umilissimamente la somma clemenza di Vostra Santità a degnarsi di comandare con pontificio rescritto che’l Capitolo conventuale, dopo la morte dell’oratore, debba far trasportare e conservare in perpetuo, senza minima diminuzione, tutta intera la predetta raccolta nella biblioteca dell’istesso convento, sotto le pene che la Santità Vostra giudicherà più opportune” che ottiene come risposta: “Per autorità apostolica del pontefice massimo Benedetto XIV, il giorno 9 settembre 1750 è stato decretato che 1) i codici, i libri, le pergamene, i fogli singoli, sia manoscritti sia a stampa, raccolti da ogni dove, a cura e spese del frate Giovanni Battista Martini, maestro di cappella, 2) dopo la sua morte siano sollecitamente depositati nella biblioteca di questo cenobio, da cui mai dovranno essere rimossi, 3) sotto pena di scomunica”.”

 

Daniele Proni

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Articolo pubblicato il 19/11/2020