25 novembre 2020: tra un mese esatto, la prossima festa di Natale passerà alla storia per la falcidia del covid-19, la pandemia esiziale cui stanno preparando la festa gli addetti di mezzo mondo con brindisi vaccinali a gogo. Sarà un Natale da scordare, ma non possiamo dimenticare che oggi ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Istituita dall’ONU il 17 dicembre del 1999 in memoria delle tre sorelle Mirabal assassinate il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana mentre si recavano a trovare i loro mariti, prigionieri politici durante la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo, questa Giornata vuole ricordare al mondo che gli abusi di ogni tipo rappresentano una violazione dei diritti umani, come definiti nel 2011 dalla Convenzione di Istanbul (*).
Certi dati forniti dall’ISTAT in una indagine del 2019 sono agghiaccianti. “Negli ultimi 5 anni il numero di donne che hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammonta a 2 milioni 435 mila: l’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni. Le donne che hanno subìto stupri o tentati stupri sono 246 mila”. Gli atti di violenza sulle donne si alternano in media col ritmo di uno ogni 15 minuti: 4 all’ora; 96 al giorno! Sono numeri sui quali riflettere anche per lo sconfinamento di tante violenze in femminicidio, termine che non ha valenza giuridica ma che rende efficace la consapevolezza di quelle morti date ad una donna per il solo fatto d’essere donna.
Dal punto di vista numerico, sulle violenze fisiche e sessuali prevalgono quelle psicologiche, dannose anch’esse ma di più difficile rilevazione; queste per lo più non vengono denunciate, soprattutto se si tratta di molestie e minacce fra le mura domestiche, accompagnate di frequenza da schiaffi e pugni e da spintoni e calci, o sul lavoro, che partono talvolta da toccamenti non condivisi per arrivare alla imposizione d’autorità di prestazioni intime.
La portata internazionale della ricorrenza del 25 novembre impone di allargare l’orizzonte del fenomeno nefasto della violenza sulle donne almeno alle tante altre di loro giunte in Italia, in cerca di asilo, segnate nell’anima e nel corpo da stupri rapimenti segregazioni lavori forzati e torture, e dal dolore e dall’orrore di aver visto ammazzare davanti a loro occhi i propri figli, i propri mariti, le persone care, altri uomini e altre donne, che non ce l’hanno fatta, come loro, a scappar via da quell’inferno con un viaggio forse non meno infernale, per ritrovarsi sovente, purtroppo, nell’inferno della prostituzione di nostre malfamate periferie.
Il ciclo della violenza, con modalità diverse, è lo stesso, per loro che vengono dal male d’un luogo lontano, come per le altre che vivono nel male del luogo dove le prime sono state abbandonate alle onde, in vista di lidi attesi come ospitali.
E’ un vortice che avvolge spesso nella spirale tumultuosa della vergona, del timore di non essere credute, del panico di essere giudicate, della paura di ritorsioni per sé stesse e per i propri figli, della trepidazione di credersi colpevoli, dell’angoscia di una denuncia per tema d’una seconda ondata di vittimizzazione.
Quando l’aggressore, come il più delle volte accade, è una persona a cui la donna è legata da vincoli affettivi, la violenza non bussa alla sua porta perché ha le chiavi di casa, sicché ella talvolta non si rende nemmeno conto del fatto che sta subendo una violenza e una donna che crede di essere innamorata non sempre lo capisce. Ma, come dice Michelle Hunziker, “L’amore ti mette le ali, non te le spezza con gli schiaffi, i pugni e i calci, o con le mancanze di rispetto, le umiliazioni, le prepotenze, le minacce. Dove c’è violenza – fisica o psicologica, o le due cose insieme – non c’è, non può esserci, amore”.
Un’amica mi ha insegnato che il colore dell’amore è rosso passione, non viola tumefatto.
Si vales, vàleo.
Armeno.nardini@bno.eu
(*)
Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011 ratificata dalla Legge 27.6. 2013, n. 77 – Art. 3
Definizioni - Ai fini della presente Convenzione: a) con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d) l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b; f) con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni.
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Articolo pubblicato il 25/11/2020