Cavalieri Dal Buio Alla Luce

Di Francesco Cordero di Pamparato (Quattordicesima Puntata)

14 - La Strega

 

Negli ultimi anni, George era diventato un cavaliere più riflessivo. Gli insegnamenti del Duca e l’esempio di Osman lo avevano aiutato ad affinare sensibilmente le sue già notevoli qualità e il suo senso del dovere.

Ora stava ritornando da un periodo di guardia alla frontiera con i sassoni. Un altro contingente era venuto a dargli il cambio. Così lui e i suoi uomini sarebbero tornati al Castello.

Prima però, avrebbero dovuto passare per alcuni villaggi. Per far sentire ai contadini che il Duca non si dimenticava dei suoi sudditi. Che i suoi uomini erano sempre pronti a proteggerli.

Stavano attraversando la grande foresta, come sempre in silenzio. Sia per ammirare la maestà di quella natura rigogliosa, sia per stare attenti a un eventuale attacco di banditi. Ripensò ad una frase detta in merito da Osman: “La grande foresta è forse uno degli esempi più completi del grande ordine universale. Niente nella foresta è a caso. Le grandi piante, gli animali, gli uomini, si fondono, per creare un tutto, che ha la sua logica armonia”.

Lui sapeva poco di questo ordine, di cui aveva sentito parlare, solo da quando era entrato al servizio del Duca. Ma questa frase del cavaliere arabo lo aveva fatto molto riflettere.

Dunque, secondo lui, il caso aveva una influenza molto piccola sugli avvenimenti. Esiste un ordine che ci regola, anche quando non ce ne accorgiamo.

Si chiedeva quindi se l’uomo era libero di agire secondo una sua volontà, all’interno di quest’ordine, o se ne fosse condizionato. E, in tal caso, sino a qual punto. Si poneva insomma l’eterno problema del libero arbitrio. Si fermò con i suoi uomini. Si era fatta l’ora di accamparsi per la notte. Entro due giorni, sarebbero arrivati al villaggio di Arrak, uno di più grandi della regione.

Nel villaggio abitava Arlette. Era una ragazza di sedici anni. Viveva sola. I genitori erano stati portati via da una delle tante epidemie, tipiche dell’epoca. L’aveva allevata la nonna, che le aveva insegnato a ricamare. Con il loro lavoro, le due donne si erano messe da parte un discreto gruzzolo. Poi, un mese prima, anche la nonna si era arresa agli assalti del tempo. Una mattina, la ragazza l’aveva trovata morta nel letto. Ora, il suo unico amico era un gatto nero, molto affettuoso.

Arlette, se pure graziosa, era di carattere schivo. Troppo abituata a lavorare sodo, per pensare di andare a divertirsi con i suoi coetanei. Il suo unico svago era qualche camminata, in compagnia del gatto, nella grande foresta.

Questo suo modo di comportarsi, non le aveva certo creato simpatie, specie quando, morta la nonna, la ragazza si era ancora più chiusa in se stessa.

Due avvenimenti avevano contribuito a far precipitare la situazione. Gilberto, il figlio del mercante del villaggio, si era incapricciato di lei, ed era stato respinto. Al contempo, don Jacques, il buon prete della piccola chiesa, venne a sapere che Arlette era in possesso di un’interessante somma di denaro. Quando i due si parlarono, fu facile trovare un punto d’accordo. Il giovane voleva vendetta, l’altro i soldi. Come fare era semplice. La giovane viveva sola, con un gatto nero, andava a passeggio nella foresta. Era più che sufficiente per accusarla di stregoneria.

Sarebbe stata messa al rogo. Gilbert avrebbe avuto la sua vendetta. I soldi, ufficialmente, sarebbero andati alla chiesa del villaggio.

George e i suoi uomini erano a poche miglia, quando venne loro incontro un vecchio su un asinello.

“Cavalieri accorrete! Vogliono bruciare sul rogo una povera ragazza, dicendo che è una strega. Il prete e i maggiorenti del villaggio l’hanno appena condannata e hanno deciso di eseguire subito la sentenza”.

Il cavaliere rimase per un momento interdetto. Non aveva mai avuto a che fare con le streghe. Non sapeva se esistessero davvero o era solo una diceria. Sapeva bene come il Duca considerasse questo fenomeno una stupida superstizione. Se avesse lasciato eseguire la sentenza, certo lo avrebbe punito. Per impedirne l’esecuzione, avrebbe però dovuto mettersi contro un sacerdote e, forse, tutto il villaggio. Sicuramente era pericoloso.

Infine, pensò che, impedendo l’uccisione, avrebbe agito in nome del Duca, signore di quelle terre, cui tutti dovevano obbedienza. Fece un cenno ai suoi uomini, spronò il cavallo e si diresse al galoppo verso Arrak.

Quando arrivarono, la macabra funzione era già pronta. Sul piazzale della chiesa, la ragazza era stata legata a un palo, in cima alla pira. Anche il gatto era stato messo in un cesto e posto sulla catasta di legna. Il cavaliere fermò i suoi uomini si fece avanti. Avvertì l’ostilità degli abitanti. Nondimeno ordinò: “Liberate la ragazza!”.

Nessuno si mosse. Ebbe un momento di paura. Non voleva creare una rivolta, ma non voleva neanche lasciar uccidere un’innocente. Si fece animo e ripeté l’ordine: “Liberate la ragazza! Obbedite, in nome del Duca, vostro signore”.

“Fermi, l’esecuzione deve avvenire! - replicò il prete, guardando George con espressione di sfida - Tu parli in nome del Duca; osi forse opporti a chi parla in nome di Dio?” Un brusio di approvazione si levò dalla folla, che si era fatta minacciosa.

Il cavaliere restò per un momento interdetto. Non sapeva come replicare, anche se qui si stava mettendo in dubbio l’autorità del suo sovrano. Doveva dare una risposta efficace, ma non sapeva come.

Stava ancora scervellandosi, a cercare una risposta, quando, improvvisamente, una voce potente, parlò per lui: “Io non mi oppongo alla volontà di Dio, ma a una miserabile canaglia, che si nasconde dietro al suo Nome Santo, per commettere crimini”.  

Osman era comparso quasi come dal nulla. Era sceso da cavallo. Procedeva lentamente verso il prete. La sua imponente figura, l’aspetto esotico, la sua fama di uomo giusto ma severo, avevano ammutolito il popolino. Solo don Jacques, diventato livido, cercava in qualche modo di difendersi.    

“Come osi tu, che sei stato un infedele, pronunciare una simile accusa nei miei confronti, a me, che sono un uomo di Dio?”.

“Se tu fossi un uomo di Dio, non avrei motivo di accusarti, ma tu hai tradito la tua altissima missione. Il Duca e l’Arcivescovo hanno discusso a lungo del tuo operato. Hanno deciso che dovrai recarti alla Cattedrale, per essere giudicato”.

Don Jacques era impallidito, ma tentò un’ultima difesa. Sapeva benissimo che nel villaggio nessuno sapeva leggere. Se anche Osman avesse avuto una pergamena d’accusa, il popolo avrebbe creduto a lui.

“Quest’uomo mente, sapendo di mentire! È un infedele che ha in odio la Chiesa e i suoi santi uomini! Non ha una sola prova di quanto dice!”.

L’arabo rimase imperturbabile. Lasciò passare un attimo, poi con voce solenne rispose: “Non ho prove, se non la verità. Ascoltatemi, abitanti di Arrak. Se io fossi ancora un infedele, non mi sarei unito ai cristiani alla crociata. Non avrei abbandonato il mio popolo e la mia gente, che amavo, se non avessi amato di più la Vera Religione. Ora vi spiego perché accuso quest’uomo. Se veramente avesse ritenuto che questa donna era una strega, avrebbe dovuto farla arrestare. Portare lei e le prove a palazzo. L’avrebbero giudicata il Duca e l’Arcivescovo, persone sulla cui rettitudine nessuno può dubitare. Persone a cui io intendo farla giudicare. Perché ha voluto giudicarla lui? È semplice, la ragazza ha in casa molte monete d’oro di cui questo miserabile pensava di appropriarsi. Sono andato a casa sua con due anziani, che ve le mostreranno. Adesso ditemi, che prove ha addotto per dimostrare la sua colpevolezza?”. 

“La testimonianza di Gilbert - disse un contadino - poi ha un gatto nero e, talvolta, va a passeggio nella foresta, anche di notte!”.

Il cavaliere alzò le spalle: “Gilbert avete detto? Ma se sapete tutti, che il ragazzo la desiderava. Poi fu respinto e architettò questa storia con don Jacques. Non è il primo caso che vedo, di uomini respinti, che accusano di stregoneria, la donna che li ha rifiutati. Il gatto nero? Anche l’Arcivescovo ne ha uno. Spero non vorrete accusare si stregoneria anche lui. Ma volete una prova? Se il gatto è una figura demoniaca e la donna è una strega, avranno il terrore dell’acqua santa e del Crocifisso. Provate ad accostarglieli. Se le loro reazioni saranno inconsulte, vorrà dire che sono colpevoli, altrimenti, l’innocenza sarà palese”.

La prova fu eseguita e l’esito fu favorevole ad Arlette.

“Bene - concluse Osman - ora penso che sia giunto il momento di finirla con questa storia. Liberate la povera giovane e tornate alle vostre case. Per vostra soddisfazione, porto con me la ragazza. Sarà giudicata da un tribunale vero, con prove vere. Non da voi, che non avevate né la capacità, né il diritto di giudicare. Anche Gilbert e don Jacques saranno processati, per la loro infamia. E buon per loro che non sono cavalieri. Avrebbero dovuto sottoporsi ad un giudizio di Dio, in un duello mortale. Così se la caveranno più a buon mercato”.

L’arabo e i suoi prigionieri si aggregarono alla colonna di George, anche se questi non si sentiva più di comandare, avendo con sé un uomo più espero e maturo. Per lungo tempo cavalcarono in silenzio. A un certo punto, il giovane si rivolse al cavaliere più anziano: “Osman, non so come ringraziarti, senza la tua provvidenziale comparsa, non so come me la sarei cavata. Era la prima volta che dovevo affrontare un prete. Non avrei mai immaginato che mi dovesse capitare”.

“Dato che era la prima volta, difficilmente avresti potuto fare di più. Non hai riflettuto però su un particolare. Sei cavaliere da cinque anni, non hai mai dovuto affrontare un prete. Ora eri nel giusto e lui ha affrontato te. A cosa ti fa pensare? A una sola cosa: lui era in malafede. Quello che non potevi conoscere era il suo punto debole. Io lo conoscevo, perché stavo tenendo il villaggio sotto controllo già da qualche giorno. Lo facevo perché ero al corrente dei sospetti del Duca e dell’Arcivescovo. Se però tu non fossi arrivato in tempo, anche per me sarebbe stato più difficile che non con la presenza di cinquanta uomini armati. Non avete dovuto fare nulla per difendermi, ma la vostra presenza ha evitato che io potessi trovarmi in pericolo. Per cui come vedi, anche tu hai aiutato me”.

“Ma spiegami, se la ragazza è innocente, perché vuoi farla giudicare a Corte?”.

“È semplice. Se avessimo lasciato il villaggio dopo averla liberata ci sarebbe stato il rischio che i contadini si sarebbero lasciati di nuovo influenzare da qualche altro malintenzionato e, forse, l’avrebbero condannata di nuovo. Noi una volta lontani, non avremmo potuto più salvarla. Mentre così, nessuno l’accuserà più, dopo una sentenza pronunciata dal Duca e dall’Arcivescovo. Ora cambiamo discorso. Si fa buio. Andremo ad accamparci nella valle dei Dolmen”.

“Ma non dicono che in quella valle ci sono forze oscure, che si scatenano, specialmente la notte?”.

“George, tu sei un nobile cavaliere, forte coraggioso e giusto, ma ci sono cose importanti che tu ignori. Questa notte imparerai qualcosa”.

Quando giunsero nella valle, gli uomini di scorta erano alquanto preoccupati. Avevano sentito tante voci e leggende su quel posto. Si dimostravano titubanti. Anche George lo era, e lo esternò all’amico: “Vedi, gli uomini hanno paura. Non credi sia imprudente accamparsi qui?”.

“Hanno paura, perché si sentono in presenza di qualcosa che avvertono, senza capire. Pensano che ci siano forze, che possono scatenarsi contro di loro. Gli passerà quando si accorgeranno che a loro non succederà niente”.

“Come fai ad essere così sicuro, che qui non succederà niente? Non hai sentito i racconti di Jacob e degli altri che vi sono passati? E, se succede qualcosa di strano, come pensi di calmare i soldati?”.

“Ho sentito i racconti di Jacob e degli altri cavalieri, e, se ti interessa, anch’io ho passato molte notti in questa radura. Per questo ho voluto portare anche voi. Uno dei miei compiti è di sostituire la superstizione con la conoscenza. Ora fai disporre le sentinelle e manda gli altri a dormire”.

La notte fu tranquilla nella radura. Gli uomini tardarono ad addormentarsi, ma dopo un po’ di tempo, si sentì un respiro tranquillo, tipico di chi dorme, provenire dal campo. Anche George si era addormentato profondamente e stava facendo un sonno senza sogni.

A un certo punto, qualcosa lo portò al risveglio, non di soprassalto, ma dolcemente. Come aveva fatto Osman a destarlo in quel modo, mentre lui aveva ancora sonno e paura?

Lo guardò interdetto, ma l’arabo gli parlò con molta calma: “Vai a prendere Arlette, poi raggiungetemi nel cerchio dei Dolmen”.

Anche se detto gentilmente, suonava come un ordine. Il cavaliere ebbe un momento di perplessità.

“Anche lei?” chiese dubbioso.

“Sì! Non fare domande ora. Vi spiegherò tra poco”.

Lo raggiunsero poco dopo. L’arabo era tranquillo, seduto su una pietra, dentro il cerchio formato dai Dolmen. I due giovani lo guardavano incuriositi, si sentivano a disagio. Osman guardò loro, le antiche costruzioni, il cielo, la luna piena, poi prese a parlare: “Ho voluto portarvi qui, perché oggi voi e i soldati siete stati contagiati da uno dei mali più grandi che ci affligge: la superstizione. Abbiamo visto che, per superstizione, Arlette ha rischiato di fare una morte orribile.

La superstizione è la paura infondata di un qualcosa che esiste, ma che viene travisato, perché non lo si conosce. Da sempre, l’uomo ha paura dell’ignoto. Da sempre, dei mestatori ne approfittano. Si dichiarano depositari della verità. Sono solo degli imbroglioni che non hanno paura dell’ignoto. Hanno capito che la paura degli altri può dare potere a loro e quindi sfruttano la situazione. Per farlo, alimentano la superstizione e perseguitano chi potrebbe dare il vero sapere.

Il sapere è il peggior nemico del potere negativo. La conoscenza, infatti, rende liberi gli uomini. Fa loro capire che fanno tutti parte di un grande ordine universale e di conseguenza hanno pari dignità Che, se si adeguano a questo ordine, non sono più squallide pedine, ma pietre portanti dell’ordine stesso. 

Esistono persone e cose che testimoniano l’esistenza dell’ordine. Prendete questo posto. Queste gigantesche pietre sono qui da prima che l’uomo inventasse macchine, adatte a disporle nel modo in cui lo sono. Sono disposte in cerchio, da prima che gli uomini di questa zona, conoscessero la geometria. Tutto questo non vi dice niente?”.

La prima a parlare fu Arlette: “Mi sembra che allora, dietro a queste vestigia, ci sia molto più di quanto si veda, e molto più di quanto si sappia”.

“Ma una volta che sappiamo qualcosa del mistero che li circonda, questi Dolmen, mettono più a disagio di prima. Come si fa a svelare, se non tutto almeno parte del mistero?” aggiunse George.

Osman si fece ancora più serio e continuò: “Alcune costruzioni, come le case e i castelli, sono fatti per uno scopo specifico. Altre sono come i libri, sono fatte per tramandare un messaggio ai posteri. Il messaggio di solito è molto profondo. Non è dato a tutti di capirlo. Talvolta però, il loro mistero stimola le menti migliori che, pur non capendolo, vengono da questo invogliate alla via della conoscenza.

Queste costruzioni sono il parto dell’intelletto di un uomo, un uomo che voleva farsi capire solo da menti elette. La sua intelligenza ha creato oggetti che, in armonia con l’ordine, sprigionano una grande forza. Non sono pericolosi per chi li avvicina con mente pura. Questo è il messaggio per persone semplici, come i soldati.

Noi, che stiamo cercando la verità, dobbiamo capire quali mezzi ha usato la sua intelligenza, per realizzarli. In quanto a voi, avete le capacità di intraprendere la strada della conoscenza. Per questo, l’ordine ha fatto sì che ci incontrassimo proprio ieri. Per questo vi ho portati qui questa notte. Quindi che vi sia da stimolo ad imboccare la via del sapere e capisca chi può il messaggio che le antiche vestigia ci stanno trasmettendo”.

 

Francesco Cordero di Pamparato

Fine quattordicesima puntata - Continua

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Articolo pubblicato il 24/12/2020