Venti di guerra sull’Europa? Di Luca Della Torre

L’Unione Europea continua a trascurare con grave leggerezza l’urgenza militare turca di proiettarsi nel Caucaso e nel Mediterraneo orientale per sviluppare la sua strategia politica istituzionale “neo-ottomana”

Un impero macroregionale fondato sul cemento della identità panturca dei popoli caucasici delle ex Repubbliche islamiche dell’URSS, e sulla identità religiosa islamica che torna a premere con minacciosa forza muscolare diplomatica alle frontiere d’Europa, in una preoccupante quanto realistica riedizione dell’antico sogno politico dell’Impero ottomano di dominare anche il Vecchio Continente.

 

I circoli diplomatici, accademici universitari , gli intellettuali turchi sostenitori della dottrina “eurasiatica o panturca” sono sempre più influenti presso i vertici militari delle forze armate turche (rammentiamo sempre che la Turchia ha il secondo più potente esercito della NATO dopo gli USA quanto ad armamenti pesanti), e sostengono una politica estera che ha mire egemoniche, istituzionali dal Mediterraneo orientale, alle coste greche dell’Egeo e al Mar Nero; dal Caucaso delle repubbliche dittatoriali di gruppo etnico linguistico turcofono come il Kazakistan, l’Azerbaigian, il Turkmenistan – ricchissime di petrolio, gas metano e rowmaterials – ai Balcani in seno all’Europa ed ai confini della stessa UE.

 

Questa dottrina geopolitica turca delle relazioni internazionali – sorta nel corso del dibattito politico culturale che ha contribuito all’avvento del regime autocratico filoislamista del Presidente Erdogan – si chiama MaviVatan (Patria Blu). Secondo la dottrina della MaviVatan, le aree dei Paesi e delle regioni citate rappresentano de facto la periferia degli interessi geopolitici della Turchia, nelle quali il regime di Ankara ha il diritto di affermarsi come global player, leader e guida istituzionale alla luce del velocissimo mutamento delle dinamiche delle alleanze, delle relazioni internazionali e del quadro generale internazionale di crisi in cui versa oramai il sistema utopistico della democrazia universale sotto l’egida ONU.

 

Il fatto è che – con brutale pragmatismo – le teorie dottrinarie degli intellettuali della MaviVatan non restano sulla carta, non si riducono a mero dibattito accademico per sociologi, politologi, giuristi e militari, ma vengono tradotte nella politica estera del Presidente turco Erdogan in tempi velocissimi, prendendo in contropiede la diplomazia e le Cancellerie dell’Europa, della UE.

 

Il tema della disinvolta politica diplomatica turca è nelle agende di tutte le Cancellerie occidentali, ma le stesse si fanno sempre bruciare sul tempo dalla capacità operativa del Presidente Erdogan, secondo una logica diplomatica che rammenta storicamente le fulminee brutali mosse della politica estera hitleriana in palese violazione di numerosi trattati di diritto internazionale, finalizzate sempre a porre gli avversari politici di fronte al fatto compiuto.

 

Due sono gli eventi che in questi giorni, rapidamente, stanno ulteriormente mettendo in crisi i rapporti diplomatici della UE e dell’Occidente con la Turchia: riguardano la Repubblica di Cipro ed il territorio del Nagorno-Karabakh, tra Armenia ed Azerbaigian.

 

Nei giorni scorsi il Presidente Erdogan si è recato a Cipro, nella zona nord dell’isola, invasa ed occupata permanentemente dalle truppe turche dal 1974, per festeggiare provocatoriamente il 37° anniversario della proclamazione della Repubblica turca di Cipro del Nord: uno stato-fantoccio secondo il diritto internazionale, non riconosciuto da nessuno Stato della comunità internazionale se non da Ankara, che de facto alimenta, sostenta, lo pseudo-Stato, ma soprattutto mantiene una forza di occupazione di ben 30.000 soldati sull’isola. Cipro dal 1974 è divisa in due zone dalla cosiddetta “linea verde”, un’area smilitarizzata sotto il controllo delle truppe ONU, che separa la parte sud, amministrata dallo Stato di Cipro membro della UE, da quella amministrata dall’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord.

 

A causa della completa illegittimità della proclamazione dello stato-fantoccio della Repubblica turca di Cipro del Nord, lo status-quo imporrebbe che, alla luce della Costituzione cipriota del 1960, si procedesse alla riunificazione dell’isola in una forma di Stato federale bilingue e bietnico, e soprattutto al rimpatrio della forza di occupazione militare turca nella zona nord. Cosa che naturalmente il Presidente Erdogan non considera minimamente. Anzi, sostiene l’opzione politica più radicale e divisiva, la definitiva separazione dell’isola in due Stati sovrani: un autentico attentato ai principio di inviolabilità dell’integrità territoriale degli Stati sancito dall’art.2 dello Statuto ONU, lo stesso in virtù del quale la secessione armata della Crimea dall’Ucraina e la sua annessione alla Russia non è mai stata riconosciuta dalla Comunità internazionale.

 

I numerosi tentativi sotto l’egida dell’ONU di riunificazione in uno stato federale bi-comunitario sono tutti falliti. Il principale scoglio è rappresentato dalla presenza dei 30 mila soldati turchi nella parte nord dell’isola, che servono anche da minaccia alla Comunità internazionale laddove intervenisse militarmente per bloccare definitivamente le intrusioni navali turche in attività di ricerca mineraria nelle acque territoriali e nello spazio marittimo di interesse economico cipriota e greco, ove sono state trovate enormi risorse sottomarine di idrocarburi.

 

Situazione di crisi analoga nel Caucaso, in Nagorno-Karabakh, crisi ancor più grave a causa dell’impegno militare diretto della Turchia a favore dell’Azerbaigian, Stato islamico di gruppo etnico linguistico turcofono, che ha aggredito e conquistato l’enclave cristiano-armena del Nagorno-Karabakh, contesa da decenni, dopo che con il crollo dell’URSS nel 1991, la comunità cristiano-armena aveva proclamato la propria indipendenza come Stato sovrano, al pari di Armenia, Ucraina, Georgia e tante altre nazioni schiacciate dalla fine della Seconda Guerra mondiale dal tallone comunista sovietico.Proprio lunedì scorso i preparativi delle truppe turche da inviare in Azerbaigian a sostegno e presidio dell’occupazione permanente del Nagorno-Karabakh sono stati completati, dopo l’approvazione da parte del parlamento di Ankara. Lo ha riferito il ministero della Difesa turco attraverso un comunicato stampa.

 

L’accordo di cessate il fuoco ha rappresentato in termini politici e territoriali una vittoria per l’Azerbaigian turcofono, che ha riconquistato la sovranità sui territori perduti nella guerra dei primi anni ‘90, ed una vittoria per il governo di Ankara, che ha sostenuto attivamente, militarmente ed economicamente l’aggressione azera. Con la partecipazione al conflitto la Turchia prosegue nella strategia di estendere la sua influenza nel Caucaso e ha inviato un chiaro messaggio a Russia ed Europa.

 

La Turchia ha approfittato immediatamente degli accordi armistiziali per raccogliere i frutti della sua rinnovata espansione nel Caucaso, annunciando che si sarebbe occupata della costruzione dell’importante linea ferroviaria azera Nakhchivan-Baku. Si consideri inoltre che oggi l’Azerbaigian è uno dei principali fornitori di petrolio alla UE; la dipendenza energetica dell’Italia fa dell’Azerbaigian il suo primo fornitore di idrocarburi, dopo la crisi libica che ha interrotto i flussi di idrocarburi dalla Libia all’Italia.

 

E’ difficile rintracciare una situazione geopolitica peggiore di questa e l’unico fattore che ha finora fermato l’aggressività turca nel Caucaso per la monopolizzazione delle risorse energetiche contro la UE è la presenza della potenza della Russia. E’ risaputo che dopo il fallimento delle trattative per l’ingresso nella Comunità Europea e nella UE, dopo il crollo dell’impero del male sovietico, la Turchia ha completamente accantonato ogni ipotesi di cooperazione leale con l’Europa, ha riconsiderato la soggezione militare verso la Russia, e ha recuperato le dinamiche strutturali che storicamente hanno sostenuto la visione ottomana, in chiave di potenza internazionale antitetica all’Occidente ed alla Russia.

 

E’ necessario che la UE prenda coscienza con responsabile realismo della necessità di svolgere un ruolo “operativo”, sul campo della politica estera e militare, soprattutto dopo gli “schiaffi” subiti in Iraq, Siria e Libia, di fronte al radicale fallimento delle politiche di cooperazione internazionale nel solco dell’utopica logica politica del multilateralismo globalista democratico ed universalista, e imponga un cambiamento all’appoggio incondizionato alla Turchia in virtù del fatto che è membro della NATO. Una Turchia fuori dalla NATO, potrebbe essere, ragionevolmente, l’unico modo per avere più pace in Europa, liberandosi dell’arma di ricatto che il regime islamista panturco di Ankara utilizza in ogni momento di crisi.

 

Fonte: corrispondenzaromana.it

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 29/11/2020