L'Europa fuori dall'Europa: la conquista dei nuovi mondi - Parte 2

Le tre colonizzazioni dell’America Settentrionale

Continuando lo studio “Magna Europa. L'Europa fuori dall'Europa”, pubblicato da D'Ettoris Editori (2005). Paolo Mazzeranghi si occupa de (Le tre colonizzazioni dell’America Settentrionale); (pp. 187-212). L’autore inizia con un breve ma preciso riferimento ai gruppi indigeni preesistenti e affronta le tre“colonizzazioni” europee: la spagnola — e la messicana fino alla conquista del Messico da parte degli Stati Uniti nel 1848 —, e la francese, che iniziò cercando l’inesistente passaggio a Nord-Ovest in quello che oggi è il Canada.

 

Senza entrare nei dettagli ci pare molto giusto sottolineare il lavoro evangelizzatore di francescani e di gesuiti e, soprattutto, l’opera del beato François de Laval de Montmorency, che fu vicario apostolico in Canada nel 1658 (cfr. p. 197). Dopo la Guerra dei Sette Anni e la caduta di Québec e di Montréal in mani britanniche (1758 e 1760), cessò la presenza francese nell’America del Nord. La terza colonizzazione fu quella britannica, che l’autore fa risalire alla probabile esplorazione di Caboto nel 1497. Mazzeranghi segnala che i futuri Stati Uniti furono dominati culturalmente dal puritanesismo (presbiteriani e congregazionalisti) (cfr. pp. 203-208); i caratteri di questo influsso furono indicati dal grande?pensatore irlandese Edmund Burke che Mazzeranghi cita:“Ogni forma di Protestantesimo, anche la più fredda e passiva, è una forma di dissenso. Ma la religione prevalente nelle nostre colonie settentrionali è un raffinamento del principio di resistenza: è la dissidenza del dissenso e la protesta della stessa religione protestante” (p. 206; discorso del 22-3-1775). Questo spirito determina la politica britannica nei confronti degl’indiani (cfr. pp. 208-211).

 

Lo stesso Paolo Mazzeranghi traccia la storia della Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti (1776-1793) e della Guerra Civile (1861-1865) (pp. 213-242). È di grande interesse la sua critica all’opinione corrente sulla Guerra Civile: il Nord, centralista, detesta un Sud agrario e cavalleresco, che, a sua volta, detesta il Nord adoratore degli affari e della industrializzazione.

Ha girato il mondo una campagna propagandistica che fa del Sud un mondo schiavista; Mazzeranghi rettifica e ricorda anche l’accettabile modus vivendi dei sudisti con i pellirosse e non dimentica che proprio lì iniziò ad applicarsi la disumana concezione della “guerra totale”.

Così fece il Nord, come spiegava il generale Sheridan in un testo trascritto da Mazzeranghi: “È difficile piegare un popolo di combattenti risoluti e coraggiosi; ma mettete alla fame le loro donne e i loro bambini e vedrete i fucili cadere dalle mani dei soldati” (p. 238).

 

Reputo necessario un chiarimento che riguarda il carattere gravemente fuorviante di ogni assimilazione della cosiddetta Rivoluzione Americana alla Rivoluzione Francese all'interno di concetti comodi ma errati come quello di "epoca delle grandi Rivoluzioni". Cito ancora una volta Introvigne, «la Rivoluzione Americana non si batte per, ma contro il centralismo e la negazione delle autonomie locali e dei corpi intermedi che s'infiltrava anche nell'amministrazione britannica e di cui la Rivoluzione Francese costituisce al contrario la maggiore affermazione. Semmai, elementi di centralismo penetrano successivamente negli Stati Uniti d'America e determinano l'insurrezione degli Stati del Sud, che di queste spinte centralistiche sono vittima: la Guerra Civile del 1861- 1865, che non va assolutamente ridotta alla sola questione della schiavitù. Se le conseguenze della Guerra Civile si fanno sentire ancora oggi, è d'altro canto anche vero che la resistenza del Sud al centralismo, sconfitta sul terreno militare, non fu vana e contribuì alla preservazione di un sistema di autonomie locali che fa degli Stati Uniti d'America la realtà della "Magna Europa" che ancora oggi meglio conserva le vestigia di un ordine costruito sulla gelosa difesa delle prerogative delle città, delle contee e degli Stati che costituiscono la Federazione».

 

È eccellente la minuziosa esposizione di Sandro Petrucci su (L’Asia portoghese); (pp. 243-291), dall’arrivo di Vasco da Gama e dal riconoscimento dei cristiani dell’Apostolo san Tommaso (cfr. pp. 246 ss.) fino alle grandi figure come Francisco de Almeida e Alfonso de Albuquerque, fondatori dell’”impero” in Asia; Goa non fu soltanto la capitale (cfr. pp. 273 ss.) ma il centro d’irradiazione missionaria; l’autore mette in risalto la mirabile opera di san Francesco Saverio, del padre Matteo Ricci e di Johann von Bell, e studia tutti i particolari fino al nostro tempo.

Si occupa ancora Mazzerenghi della storia de (Il Sudafrica: l’incontro in Africa Australe di due frammenti d’Europa); (pp. 293-312).

In questa storia entra in scena l'Olanda, sebbene con un numero esiguo di emigrati. Poi arriva la Gran Bretagna, qui Caturelli invita il lettore a fissare l’attenzione sulle differenze essenziali fra i boeri, la cui fedeltà letterale alla Scrittura almeno non lasciava spazio al razzismo, e il carattere britannico che porta alla guerra totale e ai primi campi di concentramento (cfr. pp. 304, 310-311). L’Unione Sudafricana comprende le due repubbliche boere e le due antiche colonie britanniche (Capo e Natal).

 

Della storia appassionante de (Le Filippine spagnole “Estremo Occidente”); (pp. 313-360) si occupa Sandro Petrucci, dall’arrivo di Magellano (1521) fino alla perdita delle Filippine dopo la guerra della Spagna con gli Stati Uniti nel 1898. Prima Cebú (1565), poi Manila (1571) e il Pacifico come il lago spagnolo la cui rotta di ritorno al Messico (Acapulco) fu scoperta da Andrés de Urdaneta nel 1565.

Petrucci descrive l’enorme e bella opera della Spagna a partire dalla Nuova Spagna: l’organizzazione municipale, come la diocesi di Manila, dipese da quella del Messico fino al 1595. L’opera missionaria fece delle Filippine il più bel fiore della Cristianità Orientale. La Spagna si dedicò tutta all’opera più importante della Chiesa in Oriente; qui, non più “estremo Oriente” ma “estremo Occidente”.
 

Torniamo a leggere Paolo Mazzeranghi che studia un mondo diametralmente diverso: (Australia: l’uomo europeo alla conquista di un “mondo vuoto”); (pp. 361-381). Dopo la scoperta geografica, bisogna attendere il 1780, anno nel quale l’Australia interessa a qualche potenza europea; la prima popolazione formata da deportati dall’Inghilterra (fra il 1788 e il 1868) fu di 162.000 persone; s’incontrarono due civiltà: […] da una parte una civiltà dell’Età della Pietra, dall’altra una civiltà europea moderna in piena Rivoluzione Scientifica e Industriale” (p. 368); questa “società di frontiera” (p. 375) che si sviluppa dal nulla è forse il più lontano trapianto dell’Europa.

 

A proposito dell'espansione europea in queste nuove terre, è interessante il distinguo del sociologo delle religioni Massimo Introvigne: «Anzitutto, se è certamente vero che la Spagna e il Portogallo cattolici hanno inteso diversamente lo spirito e le modalità dell'espansione rispetto all'Inghilterra e ai Paesi Bassi protestanti, praticando su scala assai più ampia i matrimoni misti con le popolazioni locali, destinando risorse maggiori alle missioni, e quasi sempre offrendo (o almeno tentando di offrire) maggiore protezione e diritti ai nativi, non si deve però ritenere - quasi rovesciando le "leggende nere" ampiamente diffuse da una certa pubblicistica inglese in funzione antispagnola - che la conquista e la colonizzazione inglese e olandese si siano risolte in una semplice litania di massacri d'"indigeni" buoni e pacifici, sempre e comunque vittime della malvagità e del razzismo degli europei». (Ibidem)

 

Da ultimo Giovanni Cantoni dedica quarantasette belle pagine, quasi un piccolo libro, a (L’Indipendenza politica iberoamericana (1808-1826): dalla “reazione istituzionale” alla guerra civile); (pp. 383-430). L’autore mostra una grande conoscenza e condivisione della migliore bibliografia a partire da L’America e le Americhe di Pierre Chaunu e da quella di tanti autori iberoamericani come Icaza Tigerino; non è consueto trovare in ricercatori dell’Europa geografica questa comprensione intelligente, che rompe con lo schema convenzionale e falso dell’Indipendenza; sulla base della distinzione di Morales Padrón fra “emancipazione”, “indipendenza” e “rivoluzione”, si deve parlare di “indipendenza politica” (p. 385) forgiata sulla base dei princìpi del Sacro Ispanico Impero animato dalle istituzioni medioevali.

 

Come noi, Cantoni distingue anche una “storia ufficiale” da una “storia vera” (p. 387), che mostra l’impresa indiana come la figlia postuma del nostro Medioevo fondatore di un “feudalesimo amerindo” (p. 396), le cui fondamenta sono poste dalla Chiesa Cattolica.

In questo lungo capitolo sul tema, che va letto in continuità con quello dello stesso autore sulla conquista dell'Iberoamerica. «Qui la vulgata comune - scrive Introvigne - ci parla di una dominazione spagnola rapace, oppressiva, "medioevale" e negatrice delle autonomie dei coloni, e di un processo che porta all'indipendenza avviato e condotto sulla base dell'Illuminismo, dell'anticlericalismo, dell'avversione alla monarchia, delle idee massoniche e di un presunto entusiasmo per tutto quanto va sotto il nome di modernità. Sulla scia dell'intellettuale nicaraguese Julio César Ycaza Tigerino (1919-2001), più volte citato nel capitolo, Cantoni denuncia questa vulgata come una 'falsificazione grottesca e stupefacente'».

 

Cantoni è consapevole del fatto che la materia è assai complessa. «Tuttavia nella sostanza l'America Latina ispanica è un mondo a suo modo "feudale", attaccatissimo alle libertà locali e ai diritti dei corpi intermedi; ed è quando questi diritti sono negati sia dal centralismo della dinastia dei Borboni sia dall'occupante francese che s'impadronisce della Spagna nel periodo napoleonico che gli ispanoamericani insorgono».

Il libro di grande interesse storico-dottrinale si conclude e siamo alla III Parte con la descrizione attuale della Magna Europa e dei suoi vincoli istituzionali formali e informali: Ilario Favro si occupa degli (Organismi politico-militari dell’Europa Continentale); (pp. 433-443) e Mario Vitali di (Organismi economico-finanziari nella Grande Europa);(pp. 445-455).

Certamente ogni capitolo affrontato in questo grande Atlante o Dizionario di Storia della “Magna Europa”, andrebbe almeno adeguatamente approfondito. I saggi qui pubblicati dalla D'Ettoris Editori per il momento colmano una lacuna.

 

Termino con l'auspicio e il ringraziamento del compianto professore Caturelli, «Oggi siamo protagonisti di un’immensa tragedia: l’apostasia dell’Europa dello spirito, che equivale a un suicidio storico, lascia come orfani gli europei di “fuori” dall’Europa e gli europei della Magna Europa pensano che, forse, la Provvidenza vuole che parta dall’Europa “di fuori” (dal punto di vista geografico) la nuova evangelizzazione del Vecchio Mondo. Pare necessario un quinto viaggio di Cristoforo Colombo, che porti missionari della fede di Cristo al Vecchio Mondo affinché l’Europa sia nuovamente sé stessa. Dobbiamo ringraziare questo gruppo di ricercatori italiani, e specialmente Giovanni Cantoni, per un’opera che ha la somma delicatezza dello spirito: ci fa pensare».

 

 

 

 


 

 

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Articolo pubblicato il 09/12/2020