Giallo antico (a Torino)

Di Ezio Marinoni

È il titolo di un romanzo di Corrado Farina, pubblicato dalla Casa Editrice Fògola.

La avvincente narrazione segue le tracce di un immaginario delitto nell’ambiente cinematografico della Torino del primo Novecento.

L’Autore (Torino 18 marzo 1939 – Roma 11 luglio 2016) è stato regista, sceneggiatore e direttore della fotografia.

La sua attività di romanziere nasce casualmente dal fallimento del progetto cinematografico di “Un posto al buio”. Alla fine degli Anni Ottanta la sceneggiatura diventa un romanzo, non lontano dai “gialli” di Fruttero & Lucentini. È la storia di un’antica sala cinematografica di Torino che viene distrutta da un incendio e i cui potenziali acquirenti (intenzionati a trasformarla in un supermercato) muoiono in circostanze che ricordano celebri delitti della storia del cinema. Il libro viene pubblicato nel 1994 dalla Biblioteca del Vascello.

In seguito, “Giallo antico” (1999) e “Dissolvenza incrociata” (2002) vanno a formare una trilogia di “gialli torinesi” legati al cinema, dedicati rispettivamente al cinema delle origini (la genesi di “Cabiria” di Giovanni Pastrone, connessa nella fiction romanzesca con il suicidio dello scrittore Emilio Salgari, avvenuto nel 1911) e alla morte di un attore sul set di “Il figlio di Scaramouche”, girato a Torino alla fine degli Anni Cinquanta.

Entriamo nella trama di “Giallo antico”. Nel 1910 Emilio Salgari e Giovanni Pastrone vivevano ai piedi della collina torinese, fra Borgo Po e Madonna del Pilone. Non risulta che i due uomini si conoscessero: Corrado Farina, in un racconto ben congegnato, ci conduce a immaginare che Pastrone e Salgari si siano incontrati e alza qualche ombra sul suicidio dell’inventore di Sandokan.

Realtà e finzione si inseguono, in questa storia, come in un inquietante gioco della verità, con l’aiuto di un giovane ricercatore di storia del cinema (Marco Peretti Buy) che arriva a Torino e si avvale dell’aiuto di un curioso archivista (Sandrino Bortolotti); Federica Marchisio, professoressa divisa fra gli obblighi della vita e qualche desiderio inconfessato, diventa la sua guida attraverso la Torino di fine secolo scorso.

Ho seguito passo passo il girovagare per la città alla ricerca e alla scoperta dei percorsi ipotetici che avrebbero portato al fatale incontro. Mi sono balenati di fronte agli occhi dell’immaginazione scorci di una città che non esiste più o che oggi è molto cambiata da allora...

Questa macchia bianca è l’edificio delle Figlie dei Militari, che allora era in mezzo ai prati” (pag. 28). Fondato nel 1866 per iniziativa della Marchesa Maria Luisa del Carretto all’inizio era un collegio riservato alle orfane di guerra e alle figlie di invalidi e decorati al valor militare. Nel 1868, in attesa del completamento della sistemazione della Villa Della Regina, donata da Vittorio Emanuele II, avviene l’inaugurazione ufficiale nell’ex convento delle Cappuccine oggi scomparso, in Via Roma 28 angolo via dell’Arcivescovado. Nel 1888 l’Istituto si dota di una nuova sede, in via Figlie dei Militari 25, opera dell’architetto Giovanni Angelo Reycend (1843-1925). Ha cessato la sua attività nel 1982, oggi è un complesso che ospita più scuole di istruzione superiore.

Corso Casale 205. Eccola lì, a poche decine di metri al di là della chiesa. Una costruzione bassa di soli due piani, con l’aria poverella ma dignitosa delle case popolari di un tempo” (pag. 56). L’ultima residenza di Emilio Salgari, appena oltre la chiesa santuario della Madonna del Pilone. Una targa ricorda l’illustre e sfortunato ospite del palazzo. Queste case, fino a inizio Novecento, erano di proprietà della Curia torinese, che le utilizzava per ospitare i grandi flussi di turisti e pellegrini che si recavano al santuario.

“Fra queste mura EMILIO SALGARI visse in onorata povertà, popolando il mondo di personaggi nati dalla sua inesauribile fantasia, fedeli a un cavalleresco ideale di lealtà e di coraggio. Perché gli italiani non dimentichino la sua genialità avventurosa, il suo doloroso calvario, la rivista ‘Italia sul mare’ questo ricordo pose. Torino, 30 aprile 1953” è il testo della lapide collocata sulla facciata del palazzo.

Cabiria (…) Pastrone lo ha copiato proprio da Salgari... Cabiria ricalca spudoratamente un romanzo di Salgari intitolato ‘Cartagine in fiamme’... era uscito a puntate su un giornale di avventure diretto da Salgari stesso, ed è stato ripubblicato in volume intorno al 1908” (pagg. 75/76).

In effetti, la rivista “Per terra e per mare” pubblica le puntate del romanzo, come usava a quei tempi, nel corso del 1906, mentre il romanzo completo esce nel 1908.

“(...) si accorse di essere arrivato in cima alla strada, nel punto in cui si dipartivano corso Quintino Sella e via Luisa del Carretto. Senza rendersene conto, dunque, era ritornato nei luoghi in cui sorgevano, un tempo, gli studi dell’Itala Film”.

Agli inizi del Novecento, il chimico Carlo Rossi, l’industriale di origine tedesca Guglielmo Remmert e l’inventore Lamberto Pineschi, fondano a Torino una ditta specializzata nello sfruttamento della comunicazione telegrafica senza fili. Ben presto l’impresa, che non ha avuto fortuna, muta le proprie attività e si trasforma in una manifattura cinematografica: i due soci Rossi e Remmert il 13 maggio 1907 costituiscono la “Carlo Rossi & C.”, e lo stabilimento viene edificato in corso Casale 91. La produzione della Carlo Rossi & C., che riguarda documentari e brevi film “a soggetto” è assai sostenuta, ma viene interrotta dopo soli otto mesi a causa di contrasti tra i soci e la società viene posta in liquidazione; se ne occupa l’ingegner Carlo Sciamengo (genero di Remmert). Costui, insieme al giovane contabile Giovanni Pastrone, rileva la ditta, che nel settembre 1908 si trasforma in “Itala Film”. Nel 1911 la ditta si trasformò in società in nome collettivo e assume la denominazione di “Itala Film - Ing. Sciamengo & Pastrone s.n.c.”, con capitale sociale di 500.000 lire; la sede legale e lo stabilimento vengono trasferiti in un nuovo e ampio capannone ubicato in via Luisa del Carretto 44.

E arriviamo al gesto finale della vita del grande scrittore.

Salgari scese alla fermata della Barriera di Casale, salì a piedi la strada collinare: c’era in cima una sorta di spiazzo, da cui si dipartivano a destra corso Quintino Sella e un viottolo sterrato che conduceva ai teatri di posa dell’Itala Film, e a sinistra la strada della Val San Martino, che saliva per l’erto pendio. Di fronte, sul muro di una casa bassa a due piani, c’era un’insegna in ferro smaltato con la scritta ‘Boccia d’oro’...”.

La Barriera non esiste più, piazza Borromini oggi è libera e ospita un mercato rionale al mattino. La strada collinare oggi è corso Gabetti, spartita dai binari di un tram che non passa più, sui quali è iniziato il progetto di costruire il “Precollinear Park”, sulla ex sede tramviaria, da largo Regina Margherita a piazza Hermada (capolinea in disuso della linea 3). Il viottolo sterrato è via Luisa del Carretto, al posto dell’Italia Film sorgono gli uffici della Armando Testa e un condominio alle sue spalle.

Non sapremo mai veri motivi della tragica fine di Salgari (o se si sia trattato di omicidio, come “Giallo Antico” tratteggia...), forse dilaniato fra povertà e incomprensione, tra solitudine e sfruttamento subito dagli editori.

È uno dei misteri che Torino porta in sé e non svelerà mai, gelosa custode del suo passato e dei risvolti misteriosi.

Mi piace concludere con un passo di Corrado Farina, un vero colpo di pennello che disegna alla perfezione il carattere della città.

Strana città, questa Torino: sembrava tanto tranquilla, tanto posata, ma poi bastava grattare un po’ sotto la superficie impeccabile dei grandi viali e dietro le facciate dei palazzi barocchi per scoprire stranezze, conti che non tornavano, contraddizioni che la città pareva sforzarsi di occultare, chiudendosi a riccio per impedire che occhi forestieri potessero individuarli” (pag. 139).

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 18/12/2020