Fuochi d'artificio: un settore in grave sofferenza

Intervista a Marvyn Friscira, giovane imprenditore pirotecnico di Taranto

Fra le molte ricadute negative sull’economia nazionale che si sono dovute registrare a seguito della normativa anti-covid, emerge anche il profondo malessere della categoria degli operatori pirotecnici ovvero delle imprese attive nel settore dei fuochi d’artificio con la loro fabbricazione, importazione, vendita al minuto e allestimento di spettacoli. Un settore di un certo rilievo nel nostro Paese, visto che la pirotecnica italiana conta circa 2.500 aziende con un volume d’affari di circa 600 milioni di Euro l’anno con almeno 10.000 addetti.

Abbiamo parlato di questa preoccupante situazione con Marvyn Friscira, un giovane imprenditore pirotecnico di Taranto, componente del Direttivo del Sindacato di categoria nazionale SINOP (Sindacato Nazionale Operatori Pirotecnici).

 

Ci può fare un quadro della situazione?

Il nostro settore fuochi d’artificio è ormai in lockdown lavorativo da inizio 2020. La pirotecnica italiana conta circa 2.500 aziende (tra fabbricanti, importatori, vendite al minuto e operatori che allestiscono spettacoli) e ha un volume di affari di circa 600 milioni di Euro l’anno con almeno 10.000 persone impiegate.

Nel 2020 arriveremo ormai al 90% e oltre di perdite in quanto non è stato possibile organizzare spettacoli nel periodo primavera/estate e le vendite sono ferme a fine 2019, ma tutti avevano contato di salvarsi e di sopravvivere con il commercio di giochi pirici negli ultimi giorni di dicembre.

Dalle vendite per il Capodanno provengono oltre la metà dei nostri introiti e tra approvvigionamento dei prodotti (deperibili) e preparazione ci muoviamo già sei mesi prima.

Avete ricevuto qualche aiuto economico?

Preciso che il nostro settore non ha ricevuto “ristori” di alcun tipo, infatti le nostre categorie merceologiche non sono state minimamente considerate nei decreti ristori. Tra contributi, stipendi da pagare, tasse non rinviate e spese vive siamo ad oggi sotto di diverse decine di migliaia di Euro.

 

Quale futuro vede per questa situazione?

Se, come paventano, a breve verrà bloccata la mobilità tra comuni (molti di noi hanno attività in luoghi isolati per questioni di sicurezza) e addirittura imporranno la chiusura delle attività non essenziali, noi siamo tutti FINITI in quanto sarà impossibile resistere con le Partite IVA aperte per almeno altri 6-7 mesi di fatturato zero. E questa è una previsione ottimistica.

Da parte nostra proviamo un rispetto assoluto per le vittime del covid, ma si può morire anche di fame.

 

Il quadro prospettato dall’imprenditore Marvyn Friscira è a dir poco negativo, comune nella sua drammaticità ad altri settori produttivi del Paese. Al di là dell’oggettiva emergenza sanitaria, è un dato di fatto che molte attività, sostanzialmente le Partite IVA, rischiano di dover chiudere definitivamente i battenti nel 2021. Molti hanno già chiuso in questo 2020.

Ci chiediamo quali e quanti interventi del Governo centrale e delle Regioni siano necessari per far sì che i professionisti più a rischio non debbano dire addio ad anni se non a generazioni di sacrifici per il bene della propria attività e, di riflesso, della collettività.

Non è retorica affermare che gli Italiani sono sempre in grado di risollevarsi dalle macerie materiali e morali. Ce lo auguriamo, ci crediamo. Speriamo che a crederlo sia anche la nostra classe politica.

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Articolo pubblicato il 19/12/2020