Corpo, Anima e Spirito, una vexata quaestio
San Ireneo da Lione

La nota tripartizione ha scatenato scismi ed eresie: riflessioni su un tema assolutamente delicato, trattato anche dal Sommo Poeta

San Paolo Apostolo scrisse in una lettera ai Tessalonicesi che nell’Uomo sono presenti un corpo, un’Anima e uno Spirito: “Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 5, 23).

Successivamente, e vedremo quando e come, le revisioni conciliari hanno “inspiegabilmente” ridotto l’uomo a due sole componenti: corpo e Anima.

Come ben sappiamo le decisioni assunte durante i vari Concili che hanno interessato la millenaria storia della Chiesa di Roma, sono state argomentate da giustificazioni spesso contraddittorie, confuse e poco comprensibili anche ai maggiori esperti in materia.

Durante il Concilio Costantinopoli II del 553, contraddicendo gli insegnamenti dell’Apostolo Paolo e del Padre della Chiesa Origene, i Cardinali presero una fondamentale e controversa decisione che è tutt’ora vigente:

La Chiesa insegna molto chiaramente che non vi sono due anime, ma corpo e anima, e nell’unica anima umana esiste il luogo in cui abita Dio, lo “Spirito”, ovvero una realtà soprannaturale che esiste negli uomini.

La tricotomia, rivelata in tempi remotissimi, si ritrova poi in tutto in pensiero cristiano patristico e medioevale, con diverse interpretazioni e terminologie: in modo incerto in S. Agostino (che distingue una ratio inferior e una ratio superior) ed esplicitamente in Origene, che istituisce un parallelismo fra le tre parti della natura umana e i tre sensi della Scrittura.

La questione di uno Spirito nell'uomo, diverso dall'anima, e perciò completamente separato dal corpo, rimase in seguito dibattuta finché nei Concili di Costantinopoli del 869-870 e del 879-880 venne affermata definitivamente l'unicità dell'anima umana, alla quale si attribuivano sue proprie qualità spirituali, escludendo la presenza di una parte superiore intellettiva priva di unione diretta con quella carnale.

Potrebbe sembrare cosa da poco, tuttavia la riduzione conciliare, al pari di quella che durante il Concilio di Nicea del 325 riguardò il numero dei Vangeli Canonici, fu determinante nell’evoluzione del pensiero cristiano e le conseguenze di queste bizzarre scelte sono attive ancora oggi.

Per dare al Lettore un’idea dei criteri usati in materia di Teologia diremo che durante il Concilio di Nicea, voluto dall’Imperatore Costantino, la Chiesa Cattolica volle adottare i quattro Vangeli canonici (attualmente riconosciuti), rigettando tutti gli altri…

Un primo metodo fu quello che descrisse Voltaire, ironizzando molto spesso sulla delicata questione:

“I Padri del Concilio distinsero tra libri delle Scritture e apocrifi grazie a un espediente piuttosto bizzarro: avendoli collocati alla rinfusa sull'altare vennero detti apocrifi quelli che caddero in terra”.

Un'altro sistema adottato fu quello di rimetterli sul tavolo e lasciare scendere delle Colombe dopo averle benedette.

Dove si posavano significava che i libri fossero Vangeli ispirati dal Signore. C'è chi racconta che si posarono sugli stessi libri caduti nella prima prova ma la storia ci insegna che in realtà a Costantino interessava una cosa sola per rafforzare il suo potere politico e la sua influenza sull'Impero Romano: Provare la divinità di Cristo.

I 4 Vangeli detti in seguito Canonici, descrivono infatti Cristo come Dio in Terra. Ma gli altri 14 apocrifi no.

A differenza dei quattro Canonici i Sinottici sono solo tre, Matteo, Marco e Luca. Vengono chiamati così perché se si mette il testo dei tre Vangeli su tre colonne parallele, in uno sguardo d'insieme (sinossi) si notano facilmente molte somiglianze nella narrazione, nella disposizione degli episodi evangelici, a volte anche nei singoli brani, con frasi uguali o con leggere differenze.

Nel blog di Giuseppe Merlino leggiamo:

Nel Concilio di Nicea indetto dall’Imperatore Costantino nel 325 dopo Cristo, la Chiesa Cattolica adottò i 4 Vangeli canonici e rigettò tutti gli altri. Ad insistere che i vangeli dovessero essere quattro fu Ireneo di Lione, un teologo del II secolo, il quale affermò che, come vi erano quattro angoli della terra e quattro venti, così non potevano esserci più di quattro o meno di quattro Vangeli.

https://giuseppemerlino.wordpress.com/2010/10/20/vangeli-canonici-e-vangeli-apocrifi/

Sarebbe come dire che essendo sette i colori dell’arcobaleno, sette le note musicali e sette i peccati capitali, sette dovrebbero essere i calciatori che giocano in una squadra di Serie A…

In realtà le cose andarono diversamente, i quattro Vangeli definiti “Canonici” contenevano dei concetti piuttosto simili, o quanto meno non troppo contradditori. I Vangeli che noi definiamo, quasi con disprezzo, con il termine Apocrifi, sono delle fonti interessantissime che integrate con gli altri scritti trovati a Qumran, nei pressi del Mar Morto, ci offrono un quadro più completo della storia e degli eventi.

Teniamo anche presente un fatto storico reale e imprescindibile: non sappiamo da chi furono scritti i Vangeli e neppure quando… sicuramente decine o forse un centinaio di anni li separano dalla Passione di Cristo.

Tornando alla questione della Tripartizione, Corpo-Anima-Spirito, ne parlarono apertamente molti Padri della Chiesa come Ireneo, Giustino, Crisostomo, Origene e molti altri.

Dante Alighieri, scrivendo il Convivio la sua Commedia negli anni a cavallo del 1300, si sentì costretto a tenere ben presente le decisioni conciliari che riducevano le parti dell'Uomo al corpo e Anima, tuttavia lasciò trasparire… e neanche troppo velatamente, quale fosse il proprio pensiero in merito alla delicata questione.

La distinzione tra Anima e Spirito è assolutamente presente sia nel Convivio che nella Commedia.

Nel Convivio lo Spirito viene presentato come una parte dell’Anima. Viene astutamente detto in modo assolutamente ortodosso che “In prima è da sapere che l’uomo è composto di Anima e di Corpo; ma ne l’Anima è quella (la divina Bontade), cioè lo Spirito”.

Oltre Dante parlerà di “quella parte della nostra Anima che mai non muore”. Sempre nel Convivio lo Spirito viene identificato con la Mente: Onde si puote omai vedere che è mente: che è quella fine e preziosissima parte dell'anima che è deitate. Convivio III, 18”.

Quando Làchesis non ha più del lino,  79
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l’umano e ’l divino:

Pur. XXV, 79-81   Stazio

Oramai sappiamo bene che Dante escogitò delle meravigliose strategie per riuscire a proporre il proprio pensiero, arricchito da tutte quelle valenze teologiche che, ai suoi tempi, sarebbero state delle splendide opportunità per la struttura inquisitoria, sempre pronta ad accendere i fornelli.

La Tripartizione sopracitata prevedeva un corpo fisico mortale, un corpo animico (che oggi definiremmo Astrale), anch’esso transitorio e una “componente Spirituale” eterna e divina.

Tale complessa struttura, che in un prossimo articolo vedremo complicarsi ulteriormente grazie ai preziosi contributi dei Rosacroce e degli Antroposofi, limitava in qualche modo la necessità di una intercessione ad opera della Chiesa stessa, sempre molto attenta alle prebende e alle indulgenze, devolute per ridurre la permanenza dei peccatori nel Purgatorio.

Il termine Purgatorio venne introdotto verso la fine del XII sec. mentre la relativa dottrina venne definita dal Secondo Concilio di Lione del 1274, da quello di Firenze del 1438 e infine ribadita nel Concilio di Trento nel 1563.

Dante fece propria le versione di Lione e, come tutti sanno, inserì tale location tra l’Inferno e il Paradiso. Tuttavia la "struttura topografica" del Purgatorio dantesco risulta essere assolutamente originale, simile ma differente da quella islamica e arricchita da strutture inedite che risultano essere funzionali al messaggio che il Poeta voleva donarci.

Un passo di grandissimo interesse riguarda il Canto XXV del Purgatorio, ove viene trattato un quesito teologico di enorme importanza: Dante uscito dal cornice dei Golosi chiede al Poeta Stazio come sia possibile che questi penitenti possano dimagrire, essendo privati del cibo dalla pena del Contrappasso, non avendo un corpo fisico da sfamare…

Dante domanda a Stazio:

Allor sicuramente aprì la bocca

e cominciai: «Come si può far magro

là dove l'uopo di nodrir non tocca?».

 

Purgatorio XXV  19 – 21   (Stazio)

L’importanza di questa domanda, che ovviamente riguarderebbe anche i dannati dell’Inferno, è fondamentale e non sempre evidenziata.

Stazio risponde declinando una complicatissima argomentazione che include un concetto nuovo e tutto da chiarire ancora oggi: la Virtù Formativa.

Stazio afferma che l’anima esce dal corpo e da sé va verso l’Inferno o verso il Purgatorio. Giunta a destinazione (Inferno o Purgatorio) la Virtù Formativa, che è la capacità di dar forma all’essere umano nel ventre materno, irraggia così e ne le membra vive… e crea una forma novella che segue l’anima (Spirito) nei suoi spostamenti.

    L’ altre potenzie tutte quasi mute;
     Memoria, intelligenza e volontade,
     In atto, molto più che prima, acute,


Senza restarsi, per sè stessa cade
     Mirabilmente a l’ una de le rive:
     Quivi conosce prima le sue strade.


Tosto che ’l luogo lì la circuscrive,
     La virtù formativa raggia intorno
     Così, e quanto ne le membra vive.


E come l’ aire, quando è ben piorno,
     Per l’ altrui raggio che ’n lui si riflette,
     Di diversi color diventa adorno;


Così l’ aire vicin quivi si mette
     In quella forma, che in lui suggella
     Virtualmente l’ alma che ristette.

Purgatorio XXV  82 - 96

La Virtù Formativa, potremmo considerarla il Corpo Astrale che al momento della Morte si separa dal corpo e, nell’ipotesi canonica di Dante, si dirige verso l’Inferno o verso il Purgatorio, pur mantenendo sempre vivo il rapporto con la componente Spirituale (che Dante chiama Anima).

E come l’ aire, quando è ben piorno,
     Per l’ altrui raggio che ’n lui si riflette,
    Di diversi color diventa adorno;

Questa precisa descrizione sembra ricondurci ad immagini più moderne, come la descrizione del corpo Eterico, delle quali, come detto, parleremo in seguito.

La descrizione dantesca sembra far riemergere un preciso concetto gnostico, peraltro condiviso dalla religione catara.

I colori dell’arcobaleno, in particolare, potranno illuminare una interpretazione diversamente scolastica del Canto.

La complessità dell'argomento, che trova in una lettura anagocica della Commedia ampie conferme, merita doverosi approfondimenti.

Come vedremo in seguito, il Corpo Astrale possiede una differente materialità, e venne egregiamente descritto da Rudolf Steiner nel suo testo “La Saggezza dei Rosacroce, Editrice Antroposofica Milano 2013 (prima ed. 1959): Il corpo Astrale è la sede di sensazioni, gioie, dolori, sofferenze, piaceri, emozioni e passioni di tutte le esperienze interiori di una creatura; anche i desideri e le brame sono ancorate nel corpo Astrale…

Come possiamo notare una struttura di questo tipo può realmente provare gioia o sofferenza, e riesce a spiegare come queste sensazioni siano possibili anche dopo la morte. 

Consideriamo che la cultura classica, riletta con occhi più aperti, offre alle moderne interpretazioni teosofiche e antroposofiche impensabili sorprese, integrando e non negando ciò che la cultura illuministica ha saputo produrre.

Personalmente ritengo che le apparenti contraddizioni tra la Fisica e la Metafisica, tra la Chimica e l'Alchimia, tra il Pensiero positivista e quello ermetico, siano solamente delle posizioni transitoriamente discordanti e che la futura scoperta, o riscoperta di ponti di collegamento interdisciplinare potrà risolvere diatribe apparentemente inconciliabili.

Lo studio comparativo, privato delle incrostazioni culturali, riserverà sempre maggiori soddisfazioni all'onesto Cercatore di Verità.

In seguito parleremo più diffusamente dei corpi dell’Uomo e delle loro precise caratteristiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 26/12/2020