Il Mondo Nuovo

Morte e mutamento delle regole. Riflessioni di inizio anno.

Chi è cresciuto e si è formato intellettualmente nella seconda metà del secolo scorso, in un’Italia ancora memore delle grandi tradizioni liberali e democratiche che, da Cavour a De Gasperi, da Giolitti a Einaudi, attraverso l’esperienza fascista, bellica, resistenziale, costituzionale, ma anche sindacale e movimentista, sono giunte sino a noi non può non sentirsi a disagio nella contemporaneità che stiamo vivendo.

Tralasciamo l’emergenza covidaria, vera o presunta, che ha prodotto una serie di sfregi alla Costituzione ormai sotto gli occhi di tutti, giuristi e non giuristi, e di cui speriamo che qualcuno risponderà in tempi non troppo lontani.

Fermiamo invece la nostra attenzione su qualche altro aspetto del generale e progressivo allontanamento della nostra civiltà da alcuni principi giuridici che pensavamo stessero a suo solido e perenne fondamento. Principi che forse avevamo indebitamente, e poco laicamente, sacralizzato ma che comunque fornivano a tutti noi, semplici cittadini o individui investiti di cariche istituzionali, punti di riferimento sicuri e funzionali alle nostre attività sociali. Oggi inspiegabilmente (o forse assai spiegabilmente) questi principi sono caduti e ci hanno lasciato nel deserto dell’incertezza.

Pensiamo al tema della responsabilità personale od oggettiva che nel nostro ordinamento è, appunto, un cardine del nostro comportamento sociale: per dolo o per colpa ognuno di noi è chiamato a rispondere dei danni che provoca, sia a causa di comportamenti a lui direttamente imputabili o per difetto di sorveglianza su altri. Le eccezioni sono rarissime e confinate alla sfera della responsabilità politica: si pensi alle immunità parlamentari o a quelle che sono riservate alla presidenza della Repubblica.

Oggi, chiunque sia chiamato in qualche modo a svolgere determinate attività pubbliche, o private con risvolti di interesse pubblico, tenta di ottenere una qualche forma di immunità penale, civile o amministrativa, spesso riuscendoci.

Si pensi alle società creatrici di vaccini che non vogliono rispondere di eventuali danni che i loro prodotti potrebbero causare; si pensi che in sede di conversione del decreto "Cura Italia" è stato presentato un emendamento col quale la maggioranza avrebbe voluto introdurre uno scudo per esonerare dalle responsabilità civili, erariali e penali «le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e gli esercenti le professioni sanitarie - professionali - tecniche amministrative del Servizio sanitario»; si pensi, per salire molto più in alto, all’assoluta immunità -anche giurisdizionale, che equivale di fatto all’extraterritorialità- dei componenti e dei dipendenti del MES, un organismo (neppure appartenente all’Unione europea) assolutamente privato che può decidere il bene e il male di interi popoli; si pensi ancora -per scendere molto più in basso- all’eliminazione della figura della “colpa grave” in tema di responsabilità erariale dei pubblici dipendenti per scioglierli dal terrore “da firma” che rallenta le procedure amministrative.

E potremmo proseguire, ma gli esempi sembrano già dimostrare una consolidata tendenza a creare sacche sempre più estese di irresponsabilità per tutelare il potere pubblico e privato a scapito dei cittadini, che vengono privati di un loro diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione all’articolo 24 secondo cui “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

Chiunque abbia tempo e voglia potrà ricercare altre ipotesi di immunità concesse o comunque richieste, sia a livello nazionale che internazionale, da piccoli e grandi poteri che non solo vogliono poter agire in totale libertà ma non vogliono neppure più avere il fastidio di dover eventualmente rispondere in futuro a qualcuno delle proprie azioni. Quello che gli anglosassoni chiamerebbero un moral hazard totale, al limite della criminalità legalizzata.

Un secondo aspetto su cui vale la pena di soffermarsi è il progressivo e incredibile ampliamento dell’area del segreto. Che i soggetti privati possano mantenere il segreto sulle loro decisioni e sulle procedure con cui vengono adottate non scandalizza nessuno e rientra in un loro incontestabile diritto. Il problema si pone quando si parla di soggetti pubblici o di rapporti fra soggetti privati e pubblici.

Qui il tema del segreto e della trasparenza configurano sicuramente un forte interesse collettivo da tutelare con una buona dose di intransigenza democratica. Gli arcana imperii sono sempre esistiti, ma la cifra di una democrazia sta anche nell’equilibrio fra segreto giustificabile -e,   soprattutto, rilevante- e la doverosa trasparenza delle decisioni pubbliche.

Nessuno pone in dubbio l’opportunità del segreto di stato, a patto che non diventi una abitudine dilagante, arrogante e   invadente come quella adottata troppo spesso dalle istituzioni. Che si parli dei verbali di un comitato tecnico-scientifico o dei dettagli contrattuali delle concessioni autostradali, o anche solo dei verbali di una giunta comunale senza risalire a quelli di un Consiglio dei ministri, l’abitudine a negare sempre e comunque l’accesso ai documenti di pubblico interesse sta diffondendosi in modalità virale nella pubblica amministrazione.

Bisognerebbe ricordare che l’obbligo di motivazione è una caratteristica generalizzata dell’azione del potere esecutivo, a tutti i livelli, così come per i provvedimenti giurisdizionali che contengono spesso dati e informazioni molto più riservate e sensibili, eppure nessuno ha mai pensato di segretarne elementi e motivazioni. Sembra che il governo e la pubblica amministrazione non abbiano ben compreso la sottile linea divisoria fra segretezza motivata e segretezza immotivata, quest’ultima fondata esclusivamente sull’incivile arroganza di funzionari che si considerano legibus soluti. E poi ci si stupisce che i complottisti aumentino.

Una terza e ultima considerazione riguarda l’incapacità della società contemporanea a distinguere giuridicamente fra l’area del privato e quella del pubblico. Il liberalismo classico è nato dall’esigenza di contenere i poteri dello stato nei confronti dell’individuo e della società civile e, conseguentemente, esso aveva individuato e definito con esattezza i poteri del primo riservando ai secondi tutto il resto.

Oggi lo stato non solo ha ceduto al settore privato una grande quantità delle sue funzioni pubbliche, ma non sa neppure più distinguere fra il primo e le seconde, generando un settore -grigio e concettualmente opaco- in cui soggetti privati esercitano sempre più funzioni pubbliche e i soggetti pubblici agiscono sempre più con logiche privatistiche. Eppure tutti noi sappiamo quanto siano differenti -e devono essere differenti- le motivazioni dell’agire pubblico e le motivazioni dell’agire privato. Gli esempi possono essere molteplici, ma prendiamone uno solo, attualissimo.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è un soggetto pubblico che opera nell’interesse sanitario del nostro pianeta o un soggetto privato nelle mani dei suoi finanziatori privati (big pharma, Bill e Melinda Gates e altri)? E perché l’OMS, organo dotato di una apparente personalità giuridica pubblica internazionale, ha sentito il bisogno di creare una fondazione, istituto tipicamente privatistico, per gestire il suo patrimonio e i suoi finanziamenti? Del MES, una delle organizzazioni più saldamente in mano al potere finanziario internazionale, con la sua natura geneticamente privatistica ma incaricata di gestire funzioni pseudo-pubblicistiche, si è già detto. Ma altrettanto si potrebbe dire del FMI, della Banca mondiale, della BRI, e di altri ancora.

Insomma, concludendo, chi è cresciuto in una cultura giuridica tradizionale riconosce ben poco di essa nel mondo contemporaneo. Non si tratta di un Nuovo Ordine Mondiale che avanza, ma di un progressivo caos concettuale in cui le regole, le istituzioni, gli obiettivi della nuova governance planetaria, europea, nazionale sono accomunate solo dall’esercizio dei poteri economici e finanziari a cui soggiace ormai ogni scelta politica, sempre che di politica si possa ancora parlare nel senso alto e nobile che abbiamo conosciuto e ammirato. Quella politica alta e nobile per cui qualcuno, in passato, ha anche scelto di morire.

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Articolo pubblicato il 02/01/2021