Cavalieri Dal Buio Alla Luce

Di Francesco Cordero di Pamparato (Diciannovesima Puntata)

Parte terza - Verso la verità

 

19 – Il Drago

 

Paul si aggirava pensoso nella foresta. Erano ormai tre mesi che viveva nella caverna di Marcus. Aveva imparato molte cose. La prima era stata il leggere. Lo aveva trovato molto faticoso. Finalmente, ci era riuscito. Tuttavia, non gli interessava molto. Quello di cui gli importava maggiormente era la vita d’azione. Cosa che gli era negata.

Adesso questa vita statica e meditativa gli stava molto stretta. Voleva sì procedere sulla via della conoscenza, ma il prezzo che doveva pagare gli sembrava alto. Non aveva paura di essere aggredito ed eventualmente processato per stregoneria. Avrebbe saputo difendersi. Inoltre, come cavaliere avrebbe potuto invocare il Giudizio di Dio con un duello mortale. Si sarebbe potuto battere. Questo era sempre stato lo scopo della sua vita. Morire in combatti-mento non lo spaventava. Gli faceva molta più paura una vita priva di dinamismo e di avventure.  Il rischio era sempre stato una cosa che lo attirava.

Pensava, con una punta d’invidia, che a Jacob, invece, era stata assegnata come prova quella di fare il viandante. Secondo lui, era stata una prova più agevole. In fondo, un viandante ha una vita forse più dura, ma se non altro è di movimento. Affrontare fatiche e pericoli era certo più eccitante che vivere in una grotta una vita quasi contemplativa. Due cose sole lo trattenevano. La prima era la parola data. E lui era uomo d’onore. La seconda che, malgrado tutto, era realmente interessato a procedere sulla via della conoscenza.

Il giorno prima però, era successo qualcosa che lo aveva turbato. In quel periodo l’Imperatore era in visita alle terre del Duca. C’era stato bisogno di molti uomini armati. Così anche lui era stato richiesto al castello. Per tre giorni tutto era andato bene. Poi erano arrivati dei cavalieri dalla Provenza. Lo avevano riconosciuto. Lo avevano visto indossare le insegne del Duca, non più le sue.  Come sempre, in quei casi, avevano incominciato a canzonarlo. Aveva incominciato Jean, un giovane cavaliere da lui battuto in molti tornei fino a due anni prima.

“Paul vecchio ribaldo, erano mesi che non ti si vedeva. Pensavamo che fossi andato in Terrasanta a redimerti dai tuoi peccati. Invece vediamo che ti sei sistemato qui alla corte di Bretagna. Si vede che stai invecchiando. Non te la senti più di vivere di avventure. Così ti sei ritirato qui. Certo è più comodo, soprattutto quando non ci si sente più forti come prima”.

Il cavaliere era diventato rosso di rabbia. Se quell’uomo non avesse portato le insegne imperiali, lo avrebbe subito sfidato a duello. Ma aveva giurato al Duca di non battersi, se non per difendere gli ospiti da qualche attacco. Così fu costretto a limitarsi a replicare:

“Taci scellerato! Come osi pronunciare stupide calunnie da donnicciola? Dimentichi forse che ti ho battuto più volte in torneo e senza nemmeno faticare molto?”.

“Questa è storia vecchia. Allora ero più giovane. Non ero forte come adesso. Ma da allora tu che cosa hai fatto? Nessuno di noi ti ha mai più visto partecipare a tornei. Né ti abbiamo visto battere le campagne, in cerca di avventure. Cosa vuoi che pensiamo? Non dirci che sei venuto qui perché trovi la vita di castello più avventurosa”.

Prima che potesse rispondere un altro, di nome Remis, rincarò la dose: “Paul, dicci un po’, e quella vecchia ferita che ti fece il barone Marc, quando ti disarcionò, non si è per caso riaperta? È forse per quello che hai scelto una vita di minor rischio? Sai noi, anche se scherziamo, ti siamo amici. Ci sta molto a cuore la tua salute!”.

Tutti gli altri scoppiarono a ridere. Il cavaliere faceva molta fatica a trattenersi. Avrebbe voluto scagliarsi su quei miserabili, ma non poteva. Era la parola data che lo fermava. Tuttavia, era roso dalla bile. Mai aveva consentito a qualcuno di trattarlo così. In altre occasioni si sarebbe subito battuto. Questa volta non poteva. Non voleva venire meno alla promessa fatta al Duca.

Il peggio però, doveva ancora venire. Mentre gli altri cavalieri stavano smettendo di ridere arrivò Petit-Renard, il giullare. Era un nano molto furbo e maligno, che lo detestava. Non aveva potuto ascoltare quanto avevano detto, ma aveva capito la situazione. Pensò bene di intromettersi.

“Nobili cavalieri, vi prego non è giusto dileggiare così Paul. Oggi si è vestito da cavaliere, ma voi non sapete niente di lui. Normalmente veste il saio e vive da eremita nella foresta. Per questo non può nemmeno replicare ai vostri lazzi”.

Questa volta le risa furono ancora più fragorose. I cavalieri rincararono la dose: “Paul, sei diventato un eremita! Sei proprio un rammollito! Mente noi passiamo la vita combattendo contro uomini e mostri, tu ti nascondi nella foresta. Almeno la liberassi dai draghi! Sai, i contadini ci hanno detto che ce ne sono moltissimi. Si sono anche lamentati che i cavalieri di qui non hanno il coraggio di affrontarli. Ci hanno chiesto se li potevamo uccidere noi. Lo faremo, ma per amicizia ne lasceremo uno bello grosso per te!   Di che colore lo preferisci? Non dirci verde, sarebbe troppo banale!”.

Paul non riuscì più a contenersi. Rosso dall’ira si scagliò avanti. Rifilò un calcio terribile a Petit-Renard. Il nano rotolò per alcuni metri. Aveva già impugnato l’elsa della spada. Si dirigeva minaccioso verso Jean, quando una voce possente lo chiamò: “Cavaliere, ho bisogno di voi. Venite subito, devo mandarvi fuori dal castello per un’ispezione. In quanto a voi, signori, piantatela! Siete uomini d’armi o di chiacchiere? A quanto mi risulta, nessuno di voi si è mai distino in nessuna impresa. Quindi prima di dire tante stupidaggini, dimostrate che la vostra arma migliore non è la lingua. Altrimenti tacete”.

Era stato il Duca a parlare. La sua figura e il suo rango come sempre incutevano rispetto. Le sue parole erano state molto dure e fu così che tutti tacquero. Paul lo seguì in silenzio. Si sentiva mortificato. Quando furono soli il Grande Feudatario parlò: “Paul, tu sei un forte cavaliere. Stai facendo progressi sulla strada della conoscenza. Sei ormai a un livello più alto della maggior parte degli altri cavalieri. Non dovresti lasciarti andare a scatti d’ira come quello di oggi!”.

“Sire, scusate. Avrei forse potuto reggere le provocazioni dei miei pari, ma quel miserabile giullare! Come osa gettare fango su uomini che sono migliori di lui? Poi con quel suo canzonare, rischia di mettere in pericolo anche Marcus. Se si viene a sapere della sua presenza, può anche succedere che i contadini di qualche villaggio lo brucino su una pira prima ancora che voi lo veniate a sapere. Ma per quanto mi riguarda vi faccio le mie scuse. In futuro farò in modo di comportarmi meglio. Lo prometto”.

“Mi auguro che tu ne sia capace. Ricordati che uno dei compiti principali dei cavalieri che si battono per la conoscenza è proprio di dimostrare la loro forza interiore. Non accettare le provocazioni, ne è una delle forme più significative. Ricordati, più progredirai più troverai persone che, proprio perché stolte, ti provocheranno. La conoscenza rende diversi. Tuttavia, più si progredisce, più bisogna dimostrarsi tetragoni agli insulti. Soprattutto, se la provocazione viene da persona modesta come un giullare. Per questo lo tengo. Per insegnare ai cavalieri a non dar peso ai suoi insulti. Per quanto riguarda Marcus, non preoccuparti. È ben protetto. Anche la tua presenza da lui è una forma di difesa. Ma ora è meglio che tu lasci il castello. Devi tornate alla vita di meditazione. Anche resistere ad una vita inattiva è un modo per fortificare l’animo. Inoltre, la meditazione è la strada maestra della via per la conoscenza”.

Così il cavaliere si era accomiatato dal suo signore. Ora stava riflettendo su quanto era successo. Non tanto sui fatti in sé. Ma sul loro significato. Stava pensando che le provocazioni, in fondo, erano state causate dalla sua precedente arroganza. Tutto sommato si rendeva conto di avere avuto la sua parte di responsabilità per quanto era accaduto. Tra l’altro, non era stato capace di replicare in maniera degna dei progressi fatti sulla strada della conoscenza.

Però c’era qualcosa che non gli andava giù. Era stato insultato. Non aveva reagito in modo, a suo vedere, adeguato. Sentiva che quei miserabili, proprio per questo, la prossima volta avrebbero rincarato la dose. Fino a due anni prima, non avrebbero nemmeno osato. Le sue imprese gli avevano dato un prestigio che ora aveva perso. Era da tempo che non sconfiggeva più nessun nemico. Ora aveva intrapreso una vita che non gliene dava opportunità.

Se avesse vinto qualche torneo, avrebbero smesso di dileggiarlo.  I tornei gli mancavano. L’atmosfera dell’agone lo esaltava. Battersi stato lo scopo principale della sua vita. Era stato lo stimolo maggiore che avesse sentito. Più ancora che la compagnia delle dame.  Il non poterlo fare gli aveva creato dentro un vuoto, che neanche la ricerca della verità aveva del tutto colmato. Provava una profonda amarezza. Secondo il suo vedere, in fondo i lazzi degli altri cavalieri erano, in parte, giustificati.

Avvertiva un forte senso di colpa. Da un lato perché faceva una vita che gli sembrava non solo priva di stimoli, ma anche inutile. Dall’altra perché gli mancavano le uniche cose nel cui compimento si sentiva a proprio agio. Le sole cose che a suo giudizio davano significato alla vita: la lotta e i tornei. Ma il Duca gli aveva proibito di parteciparvi. Lui avrebbe voluto cimentarsi in qualche impresa che gli confermasse che era ancora un forte cavaliere. Non un rammollito come, in fondo, temeva di essere diventato. Quale impresa poteva compiere? Non certo uccidere un drago. Non esistevano. Ah! Se fossero esistiti! Di certo lui ne avrebbe ucciso qualcuno dei più terribili. Ma nella vita si combatte contro gli ostacoli veri non con quelli che ci crea la fantasia.

Fu allora che lo vide. Sulle prime gli sembrò impossibile. Pensò che a forza di fantasticare stesse sognando ad occhi aperti. Invece era così. Era sbucato in una radura e di fronte a lui c’era un enorme serpente alato, con zampe e artigli. Il mostro si preparava ad attaccarlo. Il cavallo fu preso dal panico.  Scese per combattere a piedi.

La lotta era durissima. In vita sua si era battuto con tanti forti cavalieri. Ma nessuno di loro si era mai rivelato avversario così forte e temibile. Paul fu scaraventato a terra molte volte. Sempre, se pure a fatica, riuscì a sollevarsi. Tuttavia, si rese conto che il suo avversario era più forte di lui. Comprese che non avrebbe potuto resistere a lungo. Per la prima volta in vita sua ebbe paura.  Allora ricordò quanto aveva detto Osman nella valle dei Dolmen. Che se uno di loro avesse avuto bisogno di aiuto, gli altri si sarebbero trovati al suo fianco. Con la mente cercò di invocare gli altri cavalieri.

Gli comparvero. Erano dietro di lui in cerchio e si tenevano per mano. Erano impassibili. Fermi come statue. Nessuno si mosse per aiutarlo. Solamente, lo fissavano in uno strano modo.  In un modo che non gli era mai capitato di osservare. Avvertì una stana sensazione pervadere tutto il suo corpo. Era qualcosa che non aveva mai provato. Si sentì come se un brivido gli percorresse le membra.  Era come se le sue forze si fossero moltiplicate. Una rabbia fredda lo pervase. Con una determinazione di cui non si credeva capace si lanciò contro il mostro. Gli vibrò un terribile colpo di spada sulla testa. La bestia emise un acuto grido di dolore. Si abbatté a terra, priva di vita. Poi con suo grande stupore, si dissolse nel nulla, come la nebbia col vento.

Si volse verso gli altri uomini d’arme. Erano spariti anche loro. Solo Osman era rimasto. Paul era furioso, ma riuscì a contenersi. Le sue parole furono comunque moto dure: “Osman, dannazione, che razza di cavalieri siete? Non avete visto che ero in difficoltà? Perché non siete intervenuti ad aiutarmi, invece di limitarvi a guardare, come i contadini e i mercanti ai tornei?”.

L’arabo scosse il capo e, cosa inconsueta per lui, sorrise: “Non potevamo intervenire che in quel modo. Ti spiegherò il perché. Prima voltati e guarda bene la radura dove si trovava il drago. Come vedi non vi sono orme. Ora come pensi tu che una bestia così grande non ne abbia lasciare? Ci sono quelle del cavallo che, sicuramente, pesa molto di meno. Allora perché non ci sono le sue? È più semplice di quanto tu creda. Il mostro era una creatura viva, reale.  Ma era creatura generata dalla tua mente. È stata lei a dargli un corpo, a farlo entrare in una dimensione visibile e tangibile. Sai cosa rappresentava? I tuoi difetti. L’aspetto negativo del tuo carattere e della tua mente. Tutti quei cattivi pensieri che erano la causa dei tuoi limiti. Uccidendo il drago, li hai vinti.  Solo tu potevi farlo. Solo tu potevi cacciare dalla tua mente il lato negativo di te stesso. Per questo non ti abbiamo potuto aiutare che con un incoraggiamento. Il nostro aiuto è consistito nel farti sentire, anche se lo hai compreso solo a livello emotivo, nel fatto che se dovevi diventare uno di noi dovevi vincere i tuoi limiti presenti.  I tuoi difetti. Altrimenti avresti fallito. Hai superato la prova.

Ricordati che ognuno di noi ha il suo drago dentro di sé. Non tutti gli uomini si misurano con lui. I più non prendono nemmeno coscienza di questa presenza. A pochi è dato di vederlo. Alcuni di questi si accorgono che il drago rappresenta qualcosa di male. Per altri è una creatura fantastica e affascinante che li dominerà tutta la vita. Soltanto chi lo uccide, può realmente procedere sulla via della conoscenza e della verità.  Solo a chi è già avanti sulla via del sapere è dato di capire che rappresenta quanto di male c’ è in noi stessi. Parlo di quei limiti che, se non vengono trascesi, ci precludono l’inserimento nell’ordine generale e, di conseguenza, il percorrere la via della conoscenza”.

“Sai Osman, adesso il mio spirito è sereno. Ho la sensazione di avere compiuto un’impresa più importante di tutte le vittorie nei tornei. Ora penso che se mi dileggiassero, saprei reagire senza perdere il controllo di me stesso come ho fatto ieri”.

“Non ce ne sarà più bisogno. Con questa vittoria, la tua forza interiore è aumentata. Gli altri lo avvertiranno. Solo gli stolti potranno ancora pensare di dileggiarti. Ma tu non ti curerai di loro. La gente che merita stima, ti rispetterà. Chi è avanti nella strada della conoscenza ti considererà suo fratello”.

 

Francesco Cordero di Pamparato

Fine diciannovesima puntata - Continua

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Articolo pubblicato il 10/01/2021