Cronache criminali del passato

La coppia assassina

Attenzione: questo testo contiene descrizioni e immagini forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualche Lettore!

 

Bannost-Villegagnon è un piccolo comune francese situato nel dipartimento di Senna e Marna, nella regione dell’Île-de-France. La sua frazione di Villeflon appare oggi come un vasto piazzale quadrato circondato su tre lati da costruzioni: una palazzina elegante e due costruzioni con finestrini e grandi portali con aspetto di magazzini o cantine. Adiacenti vi sono due tettoie per uso agricolo. Sull’altro lato della strada che lo attraversa si notano poche dimesse casette agricole, sparse in macchie di vegetazione. Intorno i terreni agricoli sono scanditi da ordinati filari di alberi.

Questo sperduto villaggio, il 14 luglio 1826, è teatro di una feroce aggressione nella casa di abitazione dei coniugi Corpedanne.

Il signor Corpedanne quando rientra a casa, vede sua moglie Françoise Bourgine stesa a terra, con la testa appoggiata a un tavolo, immersa nel sangue. È preso da una tale spavento da fuggire dall’apertura della finestra, lanciando grida di disperazione che attirano parecchi vicini.

Alle sue invocazioni, i vicini entrano in casa e vi trovano la madre del padrone di casa, Marguerite Durand vedova Corpedanne, convivente con gli sposi, stesa esanime nel suo letto. Sul suo volto si notano sei differenti ferite, provocate da uno strumento contundente.

Anche Françoise, la moglie di Corpedanne, presenta numerose e profonde ferite alla testa e al volto ed è priva di conoscenza.  In un primo tempo i soccorritori credono che sia morta ma, quando la stendono sul letto, si accorgono che respira ancora.

Nella casa, viene trovato, per terra, un pezzo di trave insanguinato lungo poco più di un metro, macchiato di sangue a una delle sue estremità. Su questo si riconoscono impronte di dita insanguinate e si constata che queste provengono dalla mano di un uomo mancino.

Un fucile, che era appeso nella camera, è stato rubato e poi usato per colpire la vedova Corpedanne: lo si capisce dai profondi fori che il cane dell’arma ha provocato sulla faccia della vittima. Si trovano poi sul letto e su una sedia schegge di legno insanguinate provenienti dal calcio di un fucile.

Anche un bicchiere d’argento porta impronte di dita e tracce di sudore che indicano la mano di un mancino.

In mezzo alla camera, in una pozza di sangue, vi è la chiave della porta di casa che dà sulla strada. Questo fatto sembra provare che, prima di essere stordita, la nuora abbia cercato di uscire per chiedere aiuto.

Due comò, dove i Corpedanne tenevano il loro denaro e le loro cose, sono stati forzati con la paletta del camino: è stata sottratta una borsa di tela con trenta franchi in monete da cinque franchi. Sono stati rubati anche alcuni soldi di rame, biancheria e vestiti.

Chi sono i colpevoli di questa duplice aggressione indotta da ignobile avidità?

Françoise nei primi momenti è fuori di sé e non può dare il minimo indizio. Resta parecchi giorni nella sua casa di Villeflon, sempre immersa in un completo assopimento che non le permette di pronunciare parole e nemmeno di fare il minimo gesto. Il 20 luglio la trasferiscono all’ospedale di Provins. Il 23, il marito e un cugino, mentre sono vicini al suo letto, le chiedono se conosce gli aggressori.  

Lei dapprima può solo rispondere con queste parole: «Sì, lo so bene, è un vicino». Suo marito e il cugino le nominano allora tutti gli abitanti di Villefon e lei risponde sempre «No». Ma quando pronunciano il nome di Ninonet, lei risponde «Sì, è Ninonet».

Il Giudice Istruttore e il Procuratore del Re, informati di questo episodio, si recano all’ospedale. Françoise è ancora in uno stato preoccupante e le sue idee non risultano ancora ben chiare. Inizia appena a recuperare la memoria e fa, con grande difficoltà, questa dichiarazione: «È Pierre Ninonet; era vestito di panno blu, è entrato dalla finestra, mi sono lanciata su di lui, l’ho chiamato per nome, lui non rispondeva. Gli ho detto “Pierre lasciatemi tranquilla”. Lui mi diceva: “Vattene gran sgualdrina, dammi la borsa o la vita”. Mi ha colpito fra le spalle, ha acceso la candela con l’esca, mi ha dato dei colpi, ha preso il fucile ed è fuggito con questo. L’ho visto tutto solo, l’ho visto come vedo voi. È un vestito di panno blu, non è un cappotto. Prima mi diceva: “Tu resti sola in questa casa, tu; tuo padrino vuole fare affari con te”. Non è il mio padrino ma è lui che voleva fare affari con me. Sono stanca… non ne posso più…».

Il giorno dopo, alle undici del mattino, Corpedanne si trova ancora vicino al letto di Françoise che gli dice come la moglie di Ninonet fosse col marito. Tutti due l’avevano picchiata; Ninonet le diceva: «Sgualdrina, tu hai del denaro, devi darmelo oppure muori». La moglie Ninonet frugava nei mobili e cercava dappertutto. Lei è ben certa di quel che dice e non avrebbe detto altrimenti, perché era proprio lui.

Lo stesso giorno, il Giudice Istruttore e il Procuratore del Re vanno di nuovo all’ospedale di Provins e Françoise rilascia questa nuova dichiarazione: «è la moglie di Ninonet che mi ha consumata; è venuta col marito; l’ho vista bene. Tutti e due mi hanno colpito; lei mi ha fatto molto soffrire. Mi teneva per i capelli; ha frugato in tutti i mobili; credeva che noi avessimo del denaro; mi diceva: “Tu hai soldi, non lo fai vedere”.  Noi avevamo solo una decina di scudi, se mio marito avesse ricevuto il suo pegno, avremmo avuto 250 franchi che non sarebbero stati ancora impiegati. Noi avevamo 300 franchi ciascuno quando ci siamo sposati; li abbiamo impiegati nella casa. Era come un leone; ha cercato dappertutto. Lei mi ha detto: “La borsa o la vita!”. L’ho vista frugare nel comò. Suo marito mi ha picchiata nel mio letto; mi sono trascinata per terra; è il marito che ha dato il primo colpo mortale. Lei guardava dappertutto; lei faceva il diavolo a quattro; perché noi abbiamo dato un affitto più alto, ci credevano molto ricchi. La moglie Ninonet aveva una gonna di lana a righe, uno scialle di Indiana col fondo blu a fiori; hanno portato una candela. Ninonet veniva da noi tutti i giorni; mi diceva talvolta: “La conosco meglio di te, la casa”».

Lo stesso giorno, alle cinque di pomeriggio, Corpedanne è ancora vicino alla moglie. Le dice: «Mia buona amica, bisogna dichiarare la verità; se non è Ninonet, non bisogna dirlo».

«Io dico che è stato lui; - risponde Françoise - sua moglie era con lui; non dirò mai diversamente».

Il 22 agosto, Ninonet e sua moglie, arrestati, sono messi a confronto con Françoise. Questa, vedendo Ninonet, grida: «Vedo il mio carnefice! Credevi di avermi uccisa?».

Alla presenza dell’accusato ricorda tutti i fatti di cui ha parlato in precedenza.

Françoise è poi messa a confronto con la moglie Ninonet. «Senza dubbio, avete pregato a lungo il buon Dio perché io morissi per le ferite, ma sono ancora viva; - le dice - se avessi saputo quello che stavate progettando non vi avrei ricevuto tutti i giorni in casa nostra». Poi riferisce il dispiacere e la pena che ha provato quando era assopita nel suo letto a Villeflon, senza poter articolare una parola e vedeva la moglie Ninonet che voleva curarla, darle da bere e rendersi utile in casa.

La povera Françoise così apostrofa la donna: «Se avessi potuto parlare, il giorno dopo non sareste entrata in casa; avevo paura che voi mi finiste, o che voleste avvelenarmi dandomi da bere; avevate l’aria di interessarvi a me; in fondo desideravate molto che io non rinvenissi».

Cyprien Ninonet, noto come “Pierre”, è un manovale di 36 anni e sua moglie, Adélaïde Hautreau, di 27, è indicata come “senza lavoro”.

I due si chiudono in un sistema di assoluta negazione.

Il dibattimento di questa causa davanti alla corte d’Assise di Melun dura due giorni. La testimonianza di Françoise risulta schiacciante per i due accusati. È accolta con tutto l’interesse che ispirano le sue disgrazie e la verità impressionante delle sue affermazioni. Lei risponde a tutte le domande che le sono rivolte con un candore, una chiarezza, una precisione sorprendente.

L’accusa è sostenuta dal Pubblico Ministero con la forza data da una profonda convinzione. I due accusati sono condannati a morte. Sentendo la sua condanna, Ninonet piange a dirotto mentre la moglie rimane impassibile.

Il ricorso dei due condannati è rigettato dalla Corte di Cassazione. La sentenza viene eseguita il 21 aprile 1827 sulla piazza di Saint-Ayou, a Provins. Alla sera del giorno precedente, i condannati sono stati tratti dalla prigione di Melun e trasferiti in quella di Provins. Il Procuratore del Re e il Giudice Istruttore li raggiungono e cercano invano di convincerli a confessare il loro crimine. I due persistono nel sostenere la loro innocenza. La moglie Ninonet si arrabbia al punto di dire al giudice istruttore: «Se Dio mi desse la sua potenza, voi non giudichereste altre persone». Mantengono questo atteggiamento fino al momento della loro esecuzione che avviene alle ore 12 del mattino, alla presenza di un gran numero di abitanti delle vicine campagne.

In conclusione, vorremmo saperne di più sul caso dei coniugi Ninonet. La documentazione disponibile in rete è però molto limitata: la nostra unica fonte di informazione è il settimo volume della raccolta intitolata Chronique du crime et de l’innocence, redatta da J.-B. J. Champagnac e apparsa a Parigi nel 1834.

La narrazione è piuttosto stringata e addirittura carente su importanti aspetti delle indagini. Non ci dice, ad esempio, se uno dei coniugi della coppia criminale fosse effettivamente mancino. Pare di leggere fra le righe che Madame Ninonet avesse un atteggiamento tale da inimicarsi i giurati: è infatti un evento piuttosto raro la condanna alla pena di morte di moglie e marito se accusati dello stesso reato. In genere, le giurie erano benevole nei confronti delle donne. Evidentemente in questa decisione le dichiarazioni della sopravvissuta Françoise avevano avuto un forte peso, anche emotivo.

Questo episodio di cronaca non è molto noto neppure in Francia, a differenza di altre vicende che sono state a più riprese prese in considerazione, raccontate, riesaminate e talora sono confluite in film e spettacoli televisivi. Va ricordato che in Francia il true crime, ovvero la ricostruzione di episodi di cronaca nera, è oggetto di studi approfonditi. Celebri registi non disdegnano di rivisitare affaire delittuosi nelle loro pellicole. Va anche detto che questo caso non ci presenta personaggi di elevata caratura criminale e, visto anche l’ambiente rurale dove è avvenuto, ancora così accentuato ai nostri tempi, vengono alla mente i personaggi del mondo langhetto evocato da Beppe Fenoglio, dominati dall’idea del possesso della “roba”.

 

J.-B. J. Champagnac, Chronique du crime et de l'innocence, vol. 7°, Ménard, Paris, 1834.

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Articolo pubblicato il 11/01/2021