In ricordo di Giorgio Galli
Giorgio Galli

Il lato nascosto della storia di ieri e di oggi

Il 27 dicembre scorso è scomparso Giorgio Galli, uno dei più grandi politologi italiani. Perché ricordarlo? In fondo la scomparsa di un intellettuale -specie se cultore di una disciplina non proprio popolare e un po’evanescente come la sua- non suscita mai grande scalpore come la scomparsa di un uomo di spettacolo o, più ancora, di un calciatore.

Eppure la morte di Giorgio Galli lascia un vuoto doloroso nella memoria di chi l’ha apprezzato e, più in generale, nella cultura italiana perché è una figura di una originalità assoluta, le cui indagini e idee si sono discostate decisamente dal conformismo di tanta scienza politica corrente nei decenni scorsi e anche oggi. 

Chi si è interessato di analisi politica dagli anni settanta del secolo scorso non ha potuto sottrarsi all’egemonia culturale della sinistra, marxista o riformista, alla visione materialista e classista imposta dagli storici e politologi cresciuta alla scuola del PCI e delle sue successive mutazioni. Un po’ di ristoro lo si poteva trovare nella sparuta pattuglia di studiosi liberali che però restavano una minoranza nel panorama culturale, e spesso una minoranza combattuta e derisa dall’intellettualità dominante. Certo, qualcosa è cambiato a partire dagli anni novanta, ma non in maniera radicale e, soprattutto, all’egemonia culturale di sinistra si è sostituita una nuova ideologia fatta prima di un cattocomunismo pesantemente moralistico e poi da un’ondata di irrazionalismo politically correct  ancora più ossessiva, veicolata e potenziata dallo strapotere comunicativo di giornali e televisioni.

In questa terra desolata Giorgio Galli ha saputo introdurre una sorvegliata razionalità scientifica lontana dai conformismi di cui si è detto, ma soprattutto una razionalità sui generis, del tutto originale e priva di rigidità, che, senza perdere rigore, ha provato a scandagliare quei sotterranei della storia e quegli anfratti misteriosi della politica che la cultura accademica ufficiale ha sempre ignorato, o perché non sapeva della loro esistenza o perché, pur intuendo qualcosa di essi, non li considerava degni di attenzione in quanto sfuggivano alla tassonomia della cultura materialista e della metodologia storiografica imperante. Galli ha introdotto nel dibattito storico e politico italiano l’idea che i fatti del passato -ma forse, in una certa misura, pure del presente- possano essere determinati anche da culture sapienziali e magiche, marginali ma potenti, in una sorta di forte interazione tra esoterismo e politica.

Sviluppando una idea già presente nella Dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer, Galli vede in  quella filosofia settecentesca i germi del totalitarismo e dell’irrazionalismo nazista ma anche del totalitarismo capitalista contemporaneo. E propone un “illuminismo aggiornato” che sappia cogliere non solo i pericoli di una razionalità intollerante e fanatica ma sappia allargare e rimodellare il concetto stesso di razionalità fino a ricomprendere anche i fatti apparentemente inspiegabili e occulti che hanno modellato la modernità.

Un “illuminismo magico” che non espella dal suo campo d’indagine -soprattutto in ambito storico - le dottrine e le visioni dei gruppi, delle sette, delle organizzazioni esoteriche del passato e forse anche del presente. Un realismo magico che ha portato Galli a scrivere opere significative come La politica e i maghi da Richelieu a Clinton (Rizzoli, 1995), La magia e il potere (Lindau, 2004), Hitler e la cultura occulta (Rizzoli, 2013),fino al più recente L’altra Europa (Panda edizioni, 2017) in collaborazione con Paolo Rumor e Loris Bagnara.

Una visione, quella di Galli, che sottolinea l’opera di modellamento della storia da parte di gruppi organizzati, ancorché occulti, dotati di un indubbio potere politico dal momento che essi avevano quattro caratteristiche fondamentali: la capacità di comunicare fra di loro, la comune appartenenza alle élites del tempo, una comune ideologia di dominio delle società di appartenenza, una sostanziosa disponibilità di risorse economiche. Una tesi forse discutibile ma non certo irrazionale.

Su questo terreno concettuale si inserisce poi il Galli più recente e, probabilmente, più attuale, anche alla luce degli ultimissimi fatti politici che riguardano il nostro paese.

In due libri scritti con Mario Caligiuri, docente all’Università della Calabria (Come si comanda il mondo, 2017, e Il potere che sta conquistando il mondo, 2020), entrambi editi da quella straordinaria fucina di idee liberali che è la casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli, Galli affronta il tema attualissimo delle oligarchie che oggi governano le società avanzate.

Sono due testi pieni di fatti, cifre, nomi, documenti, studi, relazioni, intrecci, percentuali, in cui si illustra una idea fondamentale e probabilmente già conosciuta da chiunque guardi al mondo contemporaneo senza pregiudizi ideologici e con sufficiente lucidità, e cioè che il capitalismo attuale, soprattutto nella sua componente finanziaria, attraverso una moltitudine di società multinazionali governate da migliaia di dirigenti -attraverso un fitto intreccio di reciproche partecipazioni azionarie e il sistema delle “dirigenze interfacciate” per cui gli stessi dirigenti siedono in molti consigli di amministrazione- di fatto ha sostituito il potere politico estromettendo la democrazia dalla governance mondiale.

Ripetiamo, il ruolo delle élites non è una tesi nuova (si pensi solo a Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca), ma Galli e Caligiuri lo sviluppano in modo sistematico e attualizzato dimostrando quello che ormai non è più ignorabile: la democrazia, già uscita dalla modernità, oggi è uscita anche dalla contemporaneità.

Il potere incontrollato e incontrollabile delle multinazionali, che giocano un ruolo politico incontestabile, è poi amplificato da una serie di organizzazioni che non hanno natura economica ma apparentemente conoscitiva e di confronto, quasi conviviale, e che costituiscono le “camere alte” del potere mondiale. Dal Council on foreign relations  alla Trilateral commission, dal Gruppo Bilderberg al World economic forum di Davos, dall’Aspen Institute alla Skull and bones fino alle conventicole degli ex-studenti delle università più prestigiose del mondo, è tutto un proliferare di istituzioni, associazioni e club dove gli uomini e le donne più potenti del mondo si ritrovano ufficialmente per confrontarsi sulle grandi tematiche delle società contemporanee. 

Ma è credibile che queste persone impieghino il loro preziosissimo tempo per  qualche conversazione, un aperitivo e un paper conclusivo? O non è molto più credibile che in quelle sedi si pianifichino scelte di altissima politica mondiale e si scelgano le persone da collocare nelle altrettanto altissime cariche strategiche deputate a realizzare concretamente quelle scelte? Galli e Caligiuri ci offrono poi un esauriente elenco di nomi e cognomi che ritroviamo transitare attraverso le porte girevoli del potere mondiale: governi, banche centrali, colossi bancari e finanziari come Goldman Sachs, Blackrock, Merril Linch, Morgan Stanley, società multinazionali dell’informatica, farmaceutiche, petrolifere e molto altro ancora.

Fra i tanti nomi di questa superclass che fa e disfa la trama del mondo ne troviamo spesso uno ricorrente: quello di un certo Mario Draghi.

Il rammarico più grande è che Giorgio Galli non c’è più. Senz’altro avrebbe avuto qualcosa di molto interessante da dire in proposito.

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Articolo pubblicato il 09/02/2021