Il giovane soprano parla del disco dedicato alle cantate di Leonardo Vinci pubblicato di recente da Elegia Classics e della sua carriera.
So benissimo che non è mai bello parlare di se stessi – il rischio dell’autoincensamento è sempre dietro l’angolo – ma per una volta ho deciso di fare un’eccezione per raccontare una storia che ritengo bella e degna di essere resa nota, non certo per lodare il sottoscritto, quanto per rendere il giusto omaggio alla vera protagonista di questa intervista.
Fatta questa opportuna premessa, iniziamo la storia. Come qualcuno (forse) saprà, tra i miei maggiori interessi in campo musicale spicca senza dubbio la cantata italiana, un ambito repertoriale che conta migliaia di opere di straordinaria bellezza, cadute per la quasi totalità nell’oblio più totale.
Dopo una serie di tentativi infruttuosi, nel 2019 sono finalmente riuscito ad avviare una collana discografica dedicata a questo affascinante genere musicale presso l’etichetta inglese Elegia Classics e con la preziosa consulenza scientifica della Società Italiana di Musicologia e del Centro Studi sulla Cantata Italiana dell’Università di Roma Tor Vergata, nelle persone delle professoresse Licia Sirch e Teresa Gialdroni. Dopo aver avviato il progetto, bisognava reperire opere interessanti da registrare e cantanti ed ensemble in grado di eseguirle con raffinatezza e assoluta proprietà stilistica. Facile a dirsi, ma tutt’altro che una passeggiata.
Con questo progetto ben fisso in testa, nell’ottobre del 2019 ho partecipato al convegno annuale della SIdM organizzato dal Conservatorio “Duni” e dall’Università della Basilicata con sede a Matera, che – oltre alle consuete sessioni dedicate alle presentazioni di relazioni scientifiche – comprendeva Le retour au village, un’opera in prima esecuzione moderna di Egidio Romualdo Duni, compositore locale che ai suoi tempi godette di un notevole favore sia in Italia sia a Parigi – città non sempre facile per gli autori del nostro paese.
La vicenda dell’opera – presentata nell’edizione critica di Lorenzo Mattei e con la regia di Ulderico Pesce – ruota intorno alla figura di Ninette, contadina innamorata di Colas, che per una classica imboscata del destino si vede profilare la possibilità di cambiare del tutto vita trasferendosi a corte.
Purtroppo non tutto è oro quello che luccica e ben presto Ninette decide di tornare al suo mondo e all’amore del paziente Colas. Il ruolo della protagonista era impersonato dal soprano Valeria La Grotta, che nell’occasione sfoggiò non solo una vocalità perfettamente in linea con i canoni estetici barocchi, ma anche una teatralità del tutto efficace (brillante e incisiva, ma senza eccessi fuori luogo), che mi conquistarono immediatamente.
A quel punto era facile fare uno più uno. Non mi vanto di essere uno scopritore di talenti, ma quella sera era impossibile non rimanere colpiti dalla performance di Valeria. A quel punto ho fatto ricorso alla tecnologia e pochi giorni dopo la cercai su Facebook, per porle la fatidica domanda: «Sarebbe interessata a realizzare un disco sulla cantata italiana?». Valeria mi rispose subito di sì e meno di un anno dopo ecco arrivare il disco “Olimpia abbandonata & other Cantatas by Leonardo Vinci”, quarto splendido volume della collana “Glories of the Italian Cantata”.
Per entrare nel dettaglio di questo progetto, lascio la parola alla mia interlocutrice. «Questo disco si è avvalso dell’importante collaborazione della professoressa Teresa Gialdroni, docente presso l’Università di Roma-Tor Vergata, nonché responsabile dell’archivio telematico “Clori”, dedicato alla catalogazione della cantata italiana. Grazie a lei, siamo entrati in possesso dei manoscritti di Vinci conservati in collezioni private, come il Fondo Rostirolla, o provenienti da archivi che ancora non prevedono la digitalizzazione del loro materiale bibliografico [e quindi irraggiungibili a qualunque altro studioso, ndr].
Il programma di questo disco comprende le sette cantate scritte da Leonardo Vinci per soprano e basso continuo, che non erano mai state eseguite in epoca moderna. Secondo le ricerche della stessa Gialdroni, la produzione cantatistica di Vinci comprende solo quindici cantate (molto poche, se pensiamo agli autori coevi e alla sua stessa produzione operistica). Da queste considerazione, è scaturita la volontà di recuperarle e di inciderle su disco, restituendo così nella sua interezza questo piccolo ma prezioso tesoro cameristico, ricco di sfumature espressive tipiche della Scuola Napoletana».
Nella sua risposta, Valeria si limita a fare un breve cenno sulla straordinaria bellezza di questi lavori, che rappresentano molto bene uno dei momenti più felici della Scuola Napoletana, grazie a una irresistibile vitalità espressiva e a un’invenzione melodica a cui non è possibile resistere. Queste opere sono state scelte di comune accordo – nel segno di un progetto veramente condiviso – e trascritte da Lorenzo Mattei, musicologo e docente all’Università “Aldo Moro” di Bari.
Sotto l’aspetto interpretativo, Valeria ha adottato un approccio tanto semplice – ossia spontaneo – quanto efficace, che è già stato salutato con grande favore da diversi critici sia italiani sia stranieri. «Proprio perché poco avvezzo alla scrittura cantatistica su committenza – che vedeva protagonisti soprattutto cantanti professionisti – Vinci trasferisce la drammaticità tipica delle sue opere serie alla sfera cameristica.
Da queste premesse, si può dire che la cifra distintiva di queste cantate sia la teatralità, un fatto che sotto l’aspetto interpretativo mi ha spinta a seguire il filo che nell’arco della scrittura si intreccia costantemente con la narrazione e la musica, un approccio quindi ben lontano dal semplice susseguirsi degli affetti, come era in voga all’inizio del XVIII secolo».
In questo disco, Valeria è stata egregiamente affiancata dall’Ensemble Sonar d’Affetto, formazione composta da tre membri del Quartetto Vanvitelli, il violoncellista Nicola Brovelli, Mauro Pinciaroli all’arciliuto e il clavicembalista Luigi Accardo, che hanno fornito un contributo brillante e molto creativo, lontano da un semplice accompagnamento alla voce. «Nicola, Luigi e Mauro sono musicisti di altissimo livello, con i quali è stato un piacere e un onore lavorare. Perfettamente coesi nel basso continuo, non hanno mai messo da parte l’attenzione alla linea vocale, rendendo quindi l’ensemble ben amalgamato».
Tornando a Leonardo Vinci, ho sempre pensato che la fama di cui gode oggi sia largamente inferiore ai suoi oggettivi meriti e alla straordinaria bellezza delle opere che ci sono pervenute, un’opinione che condivide anche Valeria, con la quale abbiamo ricordato con divertimento come ci sia qualcuno che lo confonde con il ben più noto Leonardo da Vinci. «Tra opere, cantate, composizioni sacre e commedeje pe’ musica, la produzione di Vinci è davvero ricca, per quanto abbia avuto una vita molto breve [appena 34 anni, dal 1696 al 1730, meno di Mozart, ndr].
Purtroppo, la riscoperta del repertorio sei-settecentesco (per intenderci, quello che viene definito con il nome “barocco”) vive un’evoluzione ancora in corso. Per questo, più si riscopriranno e si proporranno queste perle, più ci sarà speranza di appassionare l’ascoltatore, incuriosendolo nell’avvicinarsi a capolavori inediti che spesso non hanno nulla di meno rispetto al cosiddetto “grande repertorio”».
Uno degli interpreti che ha contribuito maggiormente alla valorizzazione della produzione di Vinci è senza dubbio Antonio Florio, che anni fa ha registrato un’opera buffa (Le Zite ’n galera) e due opere serie, La Partenope e Siroe, Re di Persia. Un mese fa Valeria ha registrato in streaming sotto la direzione di Florio il raro oratorio di Alessandro Scarlatti Agar et Ismaele esiliati, per cui mi è venuto spontaneo chiederle della sua ormai consolidata collaborazione con il direttore barese e con il suo ensemble Cappella Neapolitana. «L’apporto dato da Antonio Florio alla musica è talmente imponente, che sarebbe riduttivo raccontarlo in poche righe.
Da oltre trent’anni si prefigge lo scopo di riportare alla luce la grande Scuola Napoletana in tutta la sua bellezza, partendo da autori come Gaetano Veneziano, Francesco Provenzale e Cristofaro Caresana e spingendosi fino a Niccolò Jommelli, Niccolò Piccinni e Pietro Alessandro Guglielmi. Sono davvero grata al Maestro Florio per avermi resa partecipe di queste sue continue scoperte e per avermi trasmesso il suo entusiasmo musicale».
Di fronte a questa ridda di autori sconosciuti ai più, ho chiesto alla mia ospite se ci sia un compositore – o un periodo musicale, il Seicento o il Settecento – a cui vorrebbe dedicarsi in maniera sistematica. «In concerto mi capita spesso di eseguire opere sia conosciute sia inedite di svariati autori ed è sempre emozionante. Mi piacerebbe poter fare lo stesso anche in ambito discografico [da fonti interne alla casa discografica Elegia Classics è trapelata una vasta disponibilità in proposito, ndr].
Per quanto riguarda le epoche storiche, le confesso che mi è sempre piaciuto sperimentare la poliedricità vocale, per cui amo cimentarmi totalmente in questi due secoli, dagli albori del Seicento fino all’ultima fase del Classicismo. In ogni caso, ammetto di aver sempre avuto una netta predilezione per tutto il Settecento».
Da una cantante così eclettica è più che lecito aspettarsi prima o poi un passaggio – anche sporadico – ad altri ambiti, come potrebbe essere l’Ottocento, dalle opere di Rossini, Donizetti e Bellini in avanti. Sarà questo il caso anche di Valeria? «Al momento, per me il repertorio ottocentesco è ancora argomento di studio e di allenamento, contemporaneamente a quello performativo. Bisogna tenere presente che la tecnica vocale è una, la differenza sta nella prassi esecutiva che rende peculiari i vari stili, per cui non mi precludo nulla a priori».
Per finire, una finestra sui progetti futuri, Covid permettendo. «Ho tanti bei progetti in corso ma... per tenere alta la suspense, preferisco non svelare nulla!».
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Articolo pubblicato il 16/02/2021