Quella sensazione divina …

… di cui abbiamo un terrore diabolico!

È la più gettonata e riconosciuta “patologia umana” che popola questi tempi di smarrimento globale.

È la più temuta “condizione esistenziale” da cui rifuggire inorriditi!

È la più “cordogliante espressione” del proprio essere profondo verso sé stesso!

 

È chiamata solitudine!

 

E deve trattarsi davvero di uno stato d’essere terribile se pensiamo che anche “l’Uno” abbia avuto bisogno di uscirne lasciando carta bianca al “Creatore” nel popolare i mondi di creature di ogni genere.

 

E anche noi che siamo “figli suoi”, parti integrate e integranti, dobbiamo farne l’esperienza per comprenderne il senso immenso e illuminante.

 

Infatti quando ci sentiamo soli non è perché lo siamo veramente, ma perché, anche se non ce ne rendiamo conto, siamo in quei particolari momenti in cui “tutto è riunito in uno”, per cui non esiste altro al di fuori. Abbiamo così la percezione di che cosa abbia spinto “l’Origine” a dare vita ad una condizione in cui una separazione temporanea fosse in grado di rendere riconoscibile quanto contenuto in sé stessa perché non si sentisse più sola.

 

Sono solo i nostri sensi imperfetti ed una coscienza ancora immatura che, posti di fronte a questa profonda luminosa vastità, ne rimangono abbagliati, accecati, come in presenza del buio totale.

 

Ma come potremo in realtà essere separati da qualcosa, noi che riceviamo la vita grazie alla nostra connessione con il tutto, senza il quale essa non potrebbe esprimersi in alcuno?

 

La solitudine è quindi solo un aspetto atemporale del tutto che lo spinge a guardare continuamente se stesso attraverso ciascuna sua parte fino a quando la sua coscienza, maturata attraverso questo sforzo, ne riconoscerà la onnipresente pienezza di relazioni tra ogni sua parte.

 

È così che la solitudine apparente di un essere vivente ne rivela la reale comunione con tutto.

 

foto e testo

pietro cartella

 

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Articolo pubblicato il 09/03/2021