La sofferenza di Gesù per la salvezza degli uomini
Cappella della Deposizione presso la Chiesa di Santa Maria in Pulcherada - San Mauro Torinese (TO)

Di Andrea Elia Rovera

Fu necessario che il Cristo soffrisse perché noi trovassimo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati ma maggiore è l’utilità del suo esempio; infatti la Passione di Cristo è sufficiente per trasformare tutta la nostra vita”. (San Tommaso d’Aquino)

Questo pensiero di Tommaso d’Aquino apre ad una riflessione molto profonda ed interessante. In primis la croce rappresenta il luogo della sofferenza ma è anche un “luogo pedagogico” da dove Gesù ha dato esempio di virtù, di determinazione e di azione.

Dal luogo del martirio Gesù ci ha insegnato come imparare a perdonare ed infatti è proprio sulla Croce che il “buon ladrone” riceve il perdono di tutte le sue colpe. “Signore, ricordati di me quando verrai nel tuo regno”. Allora Gesù gli disse: “In verità ti dico: oggi tu sarai con me in paradiso”. (Luca 23:42-43) Lì, sulla croce, dolorante per tutte le frustate e i flagelli ricevuti, inchiodato a vivo su un duro legno, Gesù trova la forza ed il coraggio per concedere il suo perdono al compagno di crocifissione.

La Beata Anna Katharina Emmerick, tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, durante le sue locuzioni mistiche, ha visto nei particolari la dolorosa Passione del Nostro Signore Gesù Cristo ed ha scritto che nel pretorio c’erano sei flagellatori bruni, bassi e tarchiati. Essi provenivano dalle frontiere egiziane ed avevano sembianze di bestie assetate di sangue. “A flagellare il corpo immacolato di Gesù provocandogli i più atroci tormenti cominciarono in due. Probabilmente iniziarono con un nervo di bue che gli flagellò la pelle e iniziò a far schizzare il suo preziosissimo sangue ovunque”.

Dopo circa un quarto d’ora i due flagellatori vengono sostituiti da altri due che si avventano su Gesù usando bastoni nodosi con spine e punte. Il corpo di Gesù ormai è pieno di ferite e lividi e trema di dolore e sfinimento.

Anche questa coppia di carnefici viene sostituita da altri due che gettano Gesù a terra e iniziano a fustigarlo con “cinghie munite di uncini di ferro”. Nostro Signore, ormai allo stremo delle forze, li guarda “con occhi pieni di sangue, come se implorasse la grazia Ma, in risposta ai suoi flebili gemiti, la loro furia aumenta e uno dei carnefici lo colpisce al viso con un’asta ancora più flessibile”.

La Beata Emmerick dice che la flagellazione è durata all’incirca 45 minuti e che è terminata verso le nove del mattino. Gesù era una maschera di sangue, ferite, lividi e dolori. Molti, nelle sue condizioni, morivano di infarto a causa delle perdite copiose di sangue e del dolore.

Gesù però sa di dover portare a termine una missione e sceglie volontariamente di morire e morire in croce. Fra Ignacio Larranaga, Frate Minore Cappuccino, a tal proposito scrive: “Il Padre avrebbe potuto fare un’irruzione negli avvenimenti storici, interrompendo la marcia della storia. Se non lo fece fu perché la sua volontà permise che la dinamica della storia seguisse il suo corso fatale, e di conseguenza il Figlio suo morisse crocifisso. Gesù vide e accettò la volontà del Padre attraverso gli avvenimenti, e si arrese non già davanti alla fatalità dei fatti, bensì davanti alla volontà del Padre che li aveva permessi. Morì dunque volontariamente; e il momento culminante di tale accettazione della volontà del Padre ebbe luogo nella notte del Getsemani”.

Queste cose non possono passare inosservate per nessuno e, a maggior ragione, per noi Piemontesi che abbiamo la Custodia Pontificia della Sacra Sindone. Casa Savoia e tutti i santi piemontesi hanno sempre avuto una particolare dilezione per la Passione di Nostro Signore.

Un esempio fra tutti è quello dell’alessandrino San Paolo della Croce che ha fondato la Congregazione della Passione di Gesù Cristo detta dei Passionisti. Questi religiosi sono così devoti alla Passione del Signore che oltre ai voti di povertà, castità ed obbedienza professano un quarto voto alla propagazione della devozione alla Passione.

In questo periodo di quaresima riflettere sulla Passione e sulla sofferenza che Cristo ha voluto liberamente patire per amor nostro non solo è consigliato ma è educativo. Educhiamoci ad amare, impariamo l’altruismo, facciamo nostri i valori della solidarietà, della magnanimità e della compassione. Farà bene agli altri ma soprattutto a noi perché l’amore non è mai “solo” un sentimento. L’amore e la carità sono tratti autenticamente descrittivi ed identificativi del popolo piemontese.

Andrea Elia Rovera

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Articolo pubblicato il 14/03/2021