La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Casi di pazzia nel luglio del 1951 (prima parte)

A Torino, con l’inizio del mese di luglio del 1951 si registra un sensibile innalzamento della temperatura. La Stampa, il giorno 4, scrive che per effetto della prima giornata di caldo quattro persone sono impazzite.

Leggiamo:

 

La cronaca, purtroppo, registra, ogni settimana, dolorosi casi di pazzia: casi che si presentano tanto stravaganti o clamorosi da richiedere l’immediato e spesso energico intervento della polizia e che, quasi sempre, hanno un triste epilogo: l’ospedale psichiatrico.

Ieri, addirittura, gli episodi che hanno avuto come protagonisti dei poveri alienati, sono stati quattro.

Si è cominciato presto, alle 8 del mattino. L’allarme veniva dato al commissariato di P. S. Barriera di Milano da parte di un istituto religioso della zona. Le suore avevano, da tempo, come ospite, la trentacinquenne Carla M***, da Saluzzo. Costei abitava in una cameretta e aveva ottenuto il permesso di tenere una piccola radio. La M*** era un essere bizzarro, tuttavia sino a ieri notte non s’era mai esibita in manifestazioni preoccupanti di squilibrio mentale. Ieri notte si recava dalla superiora e le dichiarava:

“Il demonio è entrato nella mia radio. Ne sono sicura. Giro la chiavetta e invece di uscire dall’altoparlante musiche e discorsi, vengon fuori parole oscene, istigazioni al male... Bisogna distruggerla. Ma bisogna distruggerla col fuoco, altrimenti è inutile, il demonio non morirà. Lei permette che io ne faccia un rogo?”.

La superiora la calmava. Ma all’alba la M*** usciva in terribili escandescenze e tentava di avventarsi contro l’apparecchio, gridando:

“La radio è lo strumento del diavolo! Al rogo! Al rogo!”.

Visto che era un’impresa disperata controllare la povera pazza, le suore telefonavano al Commissariato. Con non pochi stenti la M*** veniva portata in sezione e qui visitata dal medico municipale il quale, dopo un rapido esame, ne ordinava il pronto ricovero al manicomio di Collegno, avendole riscontrato i sintomi d’una follia pericolosa.

Potrebbe apparire strana, forse inopportuna, la rievocazione di storie di malati mentali.

Il fatto è che fino all’approvazione della legge n. 180/1978, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, nota come Legge Basaglia, il ricovero in manicomio di persone che compissero atti inconsulti di varia natura coinvolgeva direttamente le Questure.

La legge allora in vigore, la 36/1904, prevedeva per il ricovero manicomiale di squilibrati sia un certificato medico sia un atto di notorietà, ossia una dichiarazione ufficiale da parte di testimoni. In pratica, però, quasi sempre si procedeva come previsto dall’art. 2: «L’autorità locale di pubblica sicurezza può, in caso di urgenza, ordinare il ricovero, in via provvisoria, in base a certificato medico, ma è obbligata a riferirne entro tre giorni al Procuratore del Re, trasmettendogli il cennato documento».

Nelle Questure un funzionario era disponibile h 24 per prendere in carico il forsennato, farlo visitare da un medico municipale e, sulla base del certificato medico, predisporne o meno il ricovero.

È la procedura evocata all’inizio del pezzo giornalistico che stiamo leggendo e che viene descritta all’esordio della clamorosa e intricata vicenda dello Smemorato di Collegno.

Un meccanismo forse troppo automatico che, in certi casi, poteva provocare dolorose ricadute, ad esempio nel caso di certificati rilasciati da medici di famiglia compiacenti oppure ingannati da interessati parenti.

Visto il basilare coinvolgimento della Polizia, riteniamo quindi che le vicende di squilibrati, quando non particolarmente dolorose, possano trovare spazio nei nostri racconti.

Proseguiamo nella lettura dell’articolo:

 

Allo stesso Commissariato di Barriera di Milano si presentava ieri, poco dopo mezzogiorno, una donnetta, tale Armanda L***, di 53 anni, la quale chiedeva di parlare, in preda alla più viva agitazione, ad un funzionario o ad un graduato. Ammessa alla presenza di un brigadiere, la L*** diceva con fare eccitato e misterioso:

“Senta, io sono venuta qui a segnalare un fatto tremendo, non ho voluto dirlo a nessun altro, per non gettare l’allarme nella zona. Abito proprio accanto alla Stura, in regione Barca. Da tre mattine all’alba guardando dalla finestra, io vedo sulla sponda un coccodrillo o un mostro che gli assomiglia... Scendo, ma quando arrivo sul greto, la bestia è già scomparsa, si è tuffata nelle acque... Lei capirà, il pericolo è gravissimo, ci sono sempre decine e decine di bagnanti in quel punto...”.

Il racconto, benché strabiliante, era coerente e la donnetta pareva una persona normale, perfettamente a posto. Così il brigadiere con un agente si recava sul posto.

“Ecco il coccodrillo!” gridava ad un certo momento la L***. Gli uomini della polizia guardavano e vedevano un vecchio cane disteso al sole.

“Ma quello è un cane!”.

“No, no, lo riconosco bene, quello è un coccodrillo!... Perché non gli sparate? Le sponde della Stura sono infestate da animali del genere... E anche da leoni, pantere, jene. Ieri ho visto quattro elefanti che prendevano il bagno e due struzzi che emergevano con la testa da un cespuglio...”.

Dieci minuti dopo la L***, in sezione, veniva visitata dal medico municipale, richiamato d’urgenza. Il sanitario trovava squilibrata anche la donnetta: ma non si trattava di un soggetto da camicia di forza, ma semplicemente di una povera visionaria innocua. Perciò è stata rimandata a casa e riconsegnata ai familiari, che, allarmati, la cercavano da alcune ore.

La povera donnetta visionaria innocua evoca allo stralunato brigadiere fantastiche parate di animali della foresta africana, trasposte sulle sponde della Stura, in regione Barca: come non fare un parallelo con Emilio Salgari, che dalla Madonna del Pilone, sulle rive del Po, evocava la Malesia, i Caraibi, il Far West, l’India, l’Africa, la Russia?

Oppure, più modestamente, canticchiamo la graziosa canzone filastrocca I due liocorni, interpretata nel 1976 da Cristina D’Avena allo Zecchino d’Oro: «Ci son due coccodrilli ed un orango tango / Due piccoli serpenti, un’aquila reale / Un gatto, un topo e l’elefante: non manca più nessuno / Solo non si vedono i due leocorni».

Il terzo caso di pazzia è legato invece a una troppo intensa immedesimazione con un personaggio della cronaca sportiva del tempo: il pugile statunitense “Sugar” Ray Robinson, all’anagrafe Walker Smith Jr., (1921-1989) che il cronista definisce «negro» in quanto nel 1951 questo termine largamente impiegato non ha valenze dispregiative.

 

All’ospedale delle Molinette ieri pomeriggio è stato accompagnato dai familiari un povero giovane di soli 19 anni, A. P., residente in un comune della provincia in preda ad un’autentica crisi di follia. Lo sventurato improvvisamente sabato scorso, dopo aver letto sui giornali tutte le notizie riguardanti il pugile negro Ray Robinson ed averne parlato a lungo con i coetanei, aveva cominciato a manifestare preoccupanti stranezze. Egli andava farneticando di certe aspirazioni per la carriera pugilistica rimaste prima di allora ignorate, tanto che i parenti lo sottoponevano a visita medica.

A tutta prima le condizioni del giovane non parvero così gravi da motivare un ricovero al manicomio. Lunedì però si aveva un tracollo. Il ragazzo, balzando come una furia contro un suo cugino seduto a tavola davanti a lui, si metteva a tempestarlo di pugni, urlando:

“Io sono Sugar, il campione del mondo, fatemi largo”.

Ci voleva molta fatica per trattenere il forsennato che ieri, come si è detto, raggiungeva l’ospedale delle Molinette donde, compiute le visite mediche prescritte dalla legge, proseguiva direttamente per il manicomio.

Fine prima parte - Continua

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Articolo pubblicato il 25/03/2021