Ernesto Zucconi e la storia dalla parte dei vinti

Una serie di libri che si occupano del fascismo visto in un’ottica non convenzionale

Ernesto Zucconi, ricercatore storico torinese, ma ormai di casa a Boves al punto da essere considerato bovesano adottivo, ha al suo attivo diverse pubblicazioni di vario genere, che rispecchiano la vasta gamma dei suoi interessi culturali: cinema, sport, storia. Ma, in particolare, Zucconi è conosciuto per una serie di libri che si occupano del fascismo visto in un’ottica non convenzionale, ed assolutamente non revisionista, ma piuttosto, come la definisce lo stesso autore obiettiva.

 

La storia è dunque il suo principale filone di ispirazione?

 

Certamente, attualmente sto lavorando ad un libro sulla Francia di Vichy che uscirà probabilmente il prossimo mese. In questo verrà analizzata la faccia nascosta dell’adesione che, sino al 1944, il maresciallo Pétain ha avuto dal popolo francese, argomento di cui si parla molto poco, dei lavoratori che andarono in Germania, della Milizia volontaria, della divisione Charlemagne costituita da volontari. E anche di quanto avvenne dopo la liberazione dell’agosto del 1944, con il ritorno da Londra di de Gaulle e l’inizio delle epurazioni, dei processi, delle esecuzioni. Il titolo è ‘La Francia di Vichy: una storia rimossa’, edito da NovAntico.

 

Quando è nato il suo interesse per il periodo fascista?

 

In casa nessuno lo era, né mio nonno, che ha combattuto nella Grande Guerra ed era di idee socialiste-nenniane, né mio padre. Ma della seconda guerra mondiale me ne parlavano sin da piccolo: un fratello di mia mamma, aiuto macchinista del 1924, è morto il 26 dicembre 1944 per un bombardamento degli Alleati. La spinta decisiva me l’ha data Boves.

D’estate andavo con la mia famiglia a Boves, eravamo ospitati da contadini che ci affittavano dei locali, erano gli anni a cavallo tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta e ho avuto allora i primi sentori, ascoltando i nostri ospiti, di discrepanze tra quello che si diceva nelle celebrazioni e si scriveva nei primi opuscoli scritti a cura del Comune, e quello che sarebbe avvenuto. In quel periodo Boves ottenne una Medaglia d’Oro al Valor Civile ed una Medaglia d’Oro al Valor Militare, grazie all’impegno dell’allora sindaco democristiano Giovanni Allasia.

 

Nel 1964 uscì un bel libro dove c’erano le foto dei Caduti della Resistenza. E ci fu chi sollevò dei dubbi proprio su alcune fotografie di persone indicate come decedute nella Resistenza, e mi feci delle domande sul perché nell’assegnazione della Medaglia d’Oro fossero enumerate 45 persone tra i Caduti del 19 settembre, quando nel sacrario se ne contavano 23. Passati gli anni, laureando in giurisprudenza, preparai la mia tesi in statistica, facendo un’introduzione storica e iniziai a leggere libri che parlavano dell’argomento, oltre a quelli del Comune celebrativi del tragico evento. Tra questi c’era ‘Boves Kaputt’ di Donato Dutto, l’ultimo commissario prefettizio che obiettivamente ripercorre il profilo storico del paese.

 

E con gli anni si arrivò a ‘Boves 1943-1945 le verità a confronto’, del 1995. Come venne accolto?

Da alcuni ambienti non bene, come si può pensare. A Boves su questo argomento la popolazione era divisa in due. Dopo l’uscita del libro ricevetti una telefonata da un ex partigiano cuneese, Livio Toselli che mi chiese di fargli visita. Lo feci, mi aspettava a casa sua. Era del 1926 e mi disse che avevo in qualche modo anticipato quello che avrebbe voluto pubblicare. Era un appartenente delle Sap che operavano nella Provincia Granda e mi disse che avrebbe rifatto tutto quanto era stato il suo operato a 18 anni, ma con il passare degli anni si era spostato su posizioni liberali. Dopo la sua scomparsa il figlio mi diede il materiale del padre – documenti, foto, immagini spesso inedite – e grazie alla sua collaborazione è nato ‘Verità Nascoste’ con la ricerca della verità storica su quanto accadde in Provincia di Cuneo.

 

Queste opere risalgono alla metà degli anni Novanta, ai primi Duemila, e riguardano una città, una provincia dove la lotta partigiana è stata più intensa che altrove e le reazioni non si sono fatte attendere. Ha mai corso il rischio di essere ostracizzato?

 

Dalle amministrazioni precedenti che erano di centro-sinistra, sì; ora decisamente meno. Ho registrato reazioni calunniose e critiche infondate da parte della sinistra, di chi rappresenta il mondo del partigianato, purtroppo anche da persone che conoscevo sin da ragazzino.

Ho scritto molto su Boves, su Cuneo, poi sull’Europa e sulla guerra in generale, anche un libro sul maggiore Peiper che comandò le truppe tedesche in occasione della strage, ‘Una vita sotto accusa’.

 

Lei si colloca politicamente a destra?

 

Non ho mai pensato ad una personale collocazione politica, semplicemente mi sono occupato di comprendere le ragioni dei vinti, di chi ha perso.

 

Quindi ha percorso, con qualche anticipo la strada di Giampaolo Pansa, che pure si è sempre dichiarato antifascista. Con lo scrittore originario di Casale Monferrato, ha avuto dei contatti?

 

Pansa era interessato soprattutto a quanto accadde alle donne dopo il 25 Aprile ed ai fucilati a Cuneo dove su una trentina di giustiziati dieci, appunto, erano donne, caso unico in Italia. Prima dell’uscita de ‘Il sangue dei vinti’ mi contattò per telefono. Ero a San Giacomo di Boves. Mi disse, con voce decisa che aveva interesse ad avere notizie per un capitolo che riguardasse le esecuzioni dopo la Liberazione. Aveva saputo che mi ero interessato a questo aspetto e che avevo scritto in materia. Nel corso della conversazione telefonica passammo al tu; mi sentii gratificato e gli inviai la documentazione che aveva chiesto; nel suo testo citò il libro, l’autore e l’editore; poi quando è uscito ‘Il sangue dei vinti’ mi ha inviato una copia con la sua dedica. Ed altrettanto è avvenuto quando ha scritto il secondo libro sui vinti. Non ci siamo mai incontrati di persona, ma sentiti più volte, reciprocamente per scambiarci gli auguri a Natale e Pasqua.

 

Ritiene si possa arrivare ad una memoria condivisa della guerra civile?

 

No perché ci sono troppi preconcetti da entrambe le parti, da una parte il reducismo che non cala la bandiera, dall’altra Anpi, Istituto per la Resistenza, Partito democratico che si sentono eredi di determinati ricordi e condizionati da una storiografia propagandistica. E se si parla non per giustificare, ma anche solo per capire, si va sempre a finire su fronti contrapposti.

 

Massimo Iaretti

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Articolo pubblicato il 19/03/2021