Lectura Dantis
Francesca da Rimini

Alla scoperta delle similitudini nell’Inferno dantesco

Dante nella Divina commedia per rappresentare il mondo soprannaturale e fantastico d’oltre tomba, ricorre sovente alle similitudini che costituiscono non solo un ornamento, ma una parte sostanziale alla sua poesia tutta vita e pensiero. Di fatto esse sono i documenti di verità a cui il poeta si richiama per dare al lettore l’intelligenza dell’inverosimile, persuasione dell’irreale. I luoghi, le figure, le avventure inventate da Dante, per rendere la sua prodigiosa visione delle esistenze soprannaturali,  sono tutte immagini composte di elementi terreni, tratti nel vivo dell’esperienza, dagli studi, dalle osservazioni di uno spirito acuto, straordinariamente pronto a invocare le cose vedute.

Sono questi i termini delle similitudini dantesche che ad ogni piè sospinto noi troviamo leggendo la Divina Commedia. Il Divin Poeta giunto presso la riva dell’Acheronte, per ben rappresentarci in quale modo le anime dei dannati dalla riva si portano sulla barca di Caronte che le trasporta all’altra sponda, ricorre ad una splendida similitudine che trova una perfetta corrispondenza di termini, un’evidenza ed una bellezza singolare:

“Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso dell'altra, fin che 'l ramo
vede alla terra tutte le sue spoglie,
similmente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna”.

Nell’immortalare le similitudini, Dante toglie la parola a Virgilio, ma con la sua arte pittrice insuperabile, ha saputa colorire un’espressione, in modo da renderla di un’efficacia straordinaria. Bastano talvolta un aggettivo, un verbo, un nome aggiunto da Dante ad un’immagine, perché questa si rivesta di un nuovo splendore e di un nuovo vigore. Il divin Poeta nel cerchio dei lussuriosi vede portati dall’incessante bufera infernale due spiriti, Paolo e Francesca che non scompaginandosi mai, richiamano la sua attenzione:

”quei due che ‘insieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri”

Egli li paragona a colombe che desiderose di arrivare al nido, volano quasi portate dal volere:

“Quali colombe dal disio chiamate

 con l'ali alzate e ferme al dolce nido

 vegnon per l'aere, dal voler portate;

 cotali uscir de la schiera ov'è Dido,

a noi venendo per l'aere maligno,

 sì forte fu l'affettüoso grido.

 "O animal grazïoso e benigno

che visitando vai per l'aere perso

 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

 se fosse amico il re de l'universo,

noi pregheremmo lui de la tua pace,

 poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,

 noi udiremo e parleremo a voi,

 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

 Siede la terra dove nata fui

 su la marina dove 'l Po discende

 per aver pace co' seguaci sui.

 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,

 prese costui de la bella persona

 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

 che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

 Caina attende chi a vita ci spense".

 Queste parole da lor ci fuor porte.

 Quand'io intesi quell'anime offense,

chinai ‘l viso, e tanto il tenni basso,

 fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?".

 Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,

 quanti dolci pensier, quanto disio

menò costoro al doloroso passo!"

 Poi mi rivolsi a loro e parla' io,

 e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri

 a lagrimar mi fanno tristo e pio.

 Ma dimmi: al tempo de ‘dolci sospiri,

a che e come concedette amore

 che conosceste i dubbiosi disiri?"

E quella a me: "Nessun maggior dolore

 che ricordarsi del tempo felice

 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice

del nostro amor tu hai cotanto affetto,

 dirò come colui che piange e dice.

 Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

 soli eravamo e sanza alcun sospetto.

 Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

 ma solo un punto fu quel che ci vinse.

 Quando leggemmo il disïato riso

 esser baciato da cotanto amante,

 questi, che mai da me non fia diviso,

 la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante".

 Mentre che l'uno spirto questo disse,

 l'altro piangëa; sì che di pietade

 io venni men così com'io morisse.

 E caddi come corpo morto cade”

Similitudini mirabili! Dante sovrasta Virgilio, e la similitudine Dantesca riesce molto  più originale ed umana della virgiliana, sia perché così perfettamente scinde l’immagine dei due spiriti, che volano assieme verso il poeta, senza che nulla si scorga d’uno sforzo od un mezzo esterno che li aiuti ad uscire dal vortice della bufera, sia perché le colombe di Virgilio non sono che graziose colombe, mentre quelle di Dante paiono animate da una volontà quasi umana.

Nella selva del secondo girone del cerchio settimo dell’inferno, Dante da tutte le parti ode gemiti e sospiri e non vedendo persona ne rimane smarrito, ma Virgilio che lo accompagna lo esorta a spezzare un ramo di qualche pianta e Dante ubbidisce, Se il Divino poeta per dirci che da un ramo da lui troncato escono parole e sangue ci avesse esposta semplicemente la cosa, otterrebbe un lieve effetto. Egli invece ricorre alla seguente bellissima similitudine che meravigliosamente abbellisce e avvalora l’idea:

“Come d’uno stizzo verde ch’arso sia  

Da l’un de’ capi, che dall’altro geme

E cigola per vento che va via

Si de la scheggia rotta usciva insieme

“Parole e sangue

Dante da quello spirito osservatore di ogni più minuta cosa, ha saputo trarre una tale similitudine da un fatto che a noi più di una volta sarà passato inosservato.

Proseguendo nella mia ammirazione di similitudini che si trovano nell’inferno dantesco, ne presenterò ora alcune del canto XVII che ne è uno dei più ricchi perché pieno di finizioni che hanno bisogno di essere avvalorate da qualche esempio di cosa nota, per riuscire credibili e vive.

In tale canto, Dante ci rappresenta per via di similitudini tutti gli atti di Gerione, simbolo della frode. Dapprima il mostro sta sull’orlo  dello scheggione del cerchio VII mezzo sospeso nel vuoto e vien paragonato da Dante al castoro che si pone con la coda immersa nell’acqua ad attrarre i pesci cui da la caccia. Poi Gerione si toglie dalla riva indietro, come la navicella che si vara; e quando è tutto libero nello spazio, si volta e si da la spinta con un rapido guizzo dalla coda tesa, come vediamo nuotare l’anguilla.

E scende nell’aria con Dante e Virgilio sulle spalle. La discesa è descritta, per mezzo di similitudini, con così perfetta evidenza di particolari, con tanta efficacia da parer cosa realmente provata.

Dante paragona la sua causa  nel trovarsi in balia del mostro infernale col pericolo di cadere nel vuoto, a quella che provò Fetonte quando sfuggendogli di mano le redini dei cavalli del sole che, inesperto volle guidare, precipitò nell’Eridano e vide andare bruciata una zona del cielo.

Se poi Dante dicesse semplicemente che Gerione giunge volando nel cerchio ottavo dell’Inferno, la cosa sarebbe scolorita assai. Egli invece, per renderci più viva l’ascesa trae una stupenda comparazione dal volo del falcone:

”Come l’falcon  ch’è stato assai su l’ali, che, senza veder logoro o uccello, fa dire al falconiere: “Ohimè, tu cali!

Discende lasso onde si muove snello, per

 cento rote, e da lunge si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello;

così ne pose al fondo Gerione

al piè de la stagliata rocca;

e discarcate le nostre persone,

si dileguò, come da corda cocca”

 

Per l’insuperabile arte di Dante nel trarre le similitudini, la figura di Gerione che poteva essere un inerte emblema allegorico, diviene un essere fonte di vita propria, il quale pur raffigurando moralmente il concetto e gli atti della frode, poi passa dinanzi agli occhi stupiti come un animale appartenente ad un mondo misterioso, ma vero. L’efficacia, l’evidenza e la bellezza di ogni similitudine dantesca, sono altrettanti saggi del sovrano ingegno e della somma fantasia del divin Poeta.

 

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Articolo pubblicato il 06/04/2021