Italia. Il rifiuto del lockdown

Un vento di protesta soffia dal basso, insofferente a una politica sempre più sorda. Il casus belli è la seconda Pasqua in lockdown.

 

Solamente i paragovernativi con i paraocchi e non ancora nauseati dalle dichiarazioni a dente di sega che ogni giorno cercano di indottrinarci sull’importanza del vaccini, nonostante le contraddizioni insite nelle indicazioni terapeutiche e negli ormai consueti stop and go verso AstraZeneca, non l’avevano messo in conto. Ma le persone più accorte si aspettavano  che prima o poi si sarebbero svuotati i balconi e si sarebbero riempite le piazze.

 

Per certi versi ci pare di tornare ai primi moti del ’68, alla lotta dei figli contro  i padri, paladini di una società autoritaria e per certi versi repressiva. Oggi il ceto  politico sordo alle legittime aspettative dei cittadini è barricato nel Palazzo, senza una strategia efficace di contrasto alla pandemia e capace soltanto di scaricare sui cittadini le sue incapacità, sta dimostrando tutti i suoi limiti. E le categorie produttive insorgono e occupano strade e piazze, rivendicando il sacrosanto diritto di lavorare, sancito all’articolo 1 della Costituzione.

 

Martedì è andata in scena solo un’anteprima di quello che potrebbe accadere nel nostro Paese di qui a qualche settimana. E c’è da chiedersi quale forza politica di quelle presenti in Parlamento possa intercettare questo vento di protesta che soffia dal basso e che non è in alcun modo manipolato né strumentalizzato da frange estreme, come qualcuno dell’establishment cerca di sostenere nel tentativo di sminuirne l’autenticità e la portata.

 

I grillini, che nel 2018 raccolsero tutto il malcontento e il voto anti-sistema, sono ormai diventati il peggio dell’odiata casta e quindi non possono che difendere lo status quo, fatto di assurde e immotivate chiusure e di misure contraddittorie, destinate a incrementare esponenzialmente le povertà senza in alcun modo risolvere l’emergenza sanitaria.

 

L’ideologia del lockdown, che peraltro nessun frutto tangibile ha prodotto, visto che ci sono quasi gli stessi contagi e gli stessi morti di un anno fa, ha distrutto l’economia e ha minato le fondamenta della società, accrescendo il divario tra garantiti e non garantiti, tra chi non protesta perché può permettersi di non farlo e chi invece è disperato perché non può più mangiare o dare da mangiare ai suoi figli e tenta il tutto per tutto.

 

L’egoismo sociale dei garantiti è stato per un anno il vero alleato del partito “chiusurista”, che continua sfacciatamente a invocare il rispetto delle regole, dopo aver calpestato tutte le libertà fondamentali di cittadini e imprese.

 

 Quanto accaduto  in Piazza Montecitorio non può considerarsi un episodio isolato. Gli ambulanti e i ristoratori, supportati da Vittorio Sgarbi (che ha anche tenuto un comizio improvvisato) e da pochi altri, hanno protestato contro le chiusure, invocando la libertà di tornare a lavorare. Non sono mancati scontri con la polizia e si sono registrati dei feriti tra gli agenti.

Nel resto d’Italia si sono fatte le prove generali di quelle che potrebbero essere manifestazioni di massa, con blocchi di strade e paralisi dei servizi. A Milano ambulanti, imprese di bus turistici e lavoratori Alitalia hanno organizzato manifestazioni e presidi in zona stazione centrale e in altre aree della città e la circolazione ne ha risentito.

Al Sud la situazione non è meno esplosiva. I lavoratori dei mercati rionali e gli ambulanti hanno invocato immediate riaperture e, in segno di protesta, hanno bloccato per ore l’autostrada Napoli-Caserta. Difficile pensare a una regia. Si tratta davvero di iniziative spontanee dettate esclusivamente dalla disperazione e dalla rabbia. Non si può vivere per un anno intero senza lavorare e continuando a pagare le tasse, in molti casi neppure compensate dai ristori elargiti dal governo.

Tutti vogliono tornare a lavorare per non morire di fame e chi continua a fare il tifo per le chiusure probabilmente non ha ben presente il disastro socio-economico che si è determinato e l’impossibilità per milioni di lavoratori di continuare a vivere in questo modo inumano e alienante. Con le contraddizioni della politica miope che affiorano ogni giorno di più.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la seconda Pasqua in lockdown. Anziché ricevere assistenza sanitaria o vaccini gli italiani hanno ricevuto multe per essersi spostati da una casa di famiglia all’altra o per aver organizzato pranzi con un numero di persone maggiore di quello consentito. Addirittura ad Arezzo un vigile si vantava di controllare la spesa che le famiglie, alla vigilia di Pasqua, facevano dal macellaio, proprio al fine di risalire al numero di persone invitate.

Una “gastro-polizia” che non ha precedenti neppure nei più sanguinari regimi autoritari e che davvero fa temere per la tenuta delle libertà nel nostro Paese; libertà conquistate dai nostri antenati a prezzo di enormi sacrifici e perdite umane e ora svalutate e dileggiate da una politica incapace di garantire i diritti dei cittadini, in primis quello alla salute.

Il Governo è ancora in rodaggio, ma, almeno l’impostazione differente rispetto all’opaco passato si dovrebbe scorgere all’orizzonte. Se nelle prossime settimane,  non sarà l’esecutivo a intavolare un dialogo con chi protesta, indicando soluzioni intelligenti e percorribili, dovranno farlo le forze che pretendono di tutelare il tanto bistrattato Nord, la Lega in primis.

In quel tanto bistrattato Nord da una ormai consueta politica parassitaria e meridionalista, si concentra la porzione più cospicua della produzione di beni e servizi ed il tessuto economico e produttivo possiede le potenzialità per ripartire in fretta e senza tentennamenti.

Se la politica non sarà in grado di dare risposte immediate, incisive e convincenti alla crisi economica, sociale e occupazionale più grave dell’ultimo secolo, finirà per soccombere.  E con essa il Paese.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 08/04/2021