Disquisizioni di filosofia spicciola

(Vita e vivere nel ventunesimo secolo) di Alessandro Mella

Non dovrei avventurarmi, nel mio errare esprimendo opinioni scomode, in temi che non dovrebbero in apparenza riguardarmi.

Eppure, il lettore ormai lo saprà, ho il vizio, forse insano, di esprimere pensieri ed opinioni su vari argomenti unicamente per spirito libero, perché mente ancora un briciolo pensante in queste selve di social, reality e altri gingilli di distrazione di massa.

Guardandomi intorno, osservando le facezie della vita, sono andato persuadendomi che si possono fare due scelte per sopravvivere a questa società soffocante ed ammorbante.

La prima è quella di accodarsi.

Seguire la moda, stare davanti alla televisione di fronte ai programmi che “tirano”, parlare della partita, bersi una birra, digerire con timbro imponente e sicuro, peregrinare di bar in bar (quando il governo lo permette) a pontificare su terra piatta, primati (con o senza pelliccia?) delle due sicilie, complotti sui vaccini e altre magnifiche cose imparate alle università “della strada” e “della vita”.

Ingegnarsi per portare a casa un sussidio, per fregare un turno buono al collega, per scroccare una sigaretta, per raccontare alla meglio la barzelletta scippata ad un altro ma fatta propria.

Tornare a casa la sera, schiantarsi sul divano, criticare e mortificare la moglie perché la cena non era sufficientemente luculliana, tediarla pretendendo indecorosi favori immeritati e poi gettarsi nel letto ad aspettare un nuovo giorno dopo aver dato la colpa di ogni male a politici il cui ruolo o nome nemmeno si conosce.

Cinici, arrivisti, insensibili, privi di scrupoli e pronti ad ogni funambolismo per deliziare se stessi e solo se stessi. Magnificamente ignoranti, nel senso della “non conoscenza”, a quella gradazione che consente una certa libertà e serenità d’animo perché, ovviamente, chi non sa non ha ragione per darsi tormenti.

Poi c’è la seconda via.

Quella della lettura, dello studio, dell’osservare e tentare di capire i problemi sociali e degli altri.

Dello stare sempre a sentire chi soffre un po’ di più, del tentare sempre di tenere garbo e autocontrollo anche di fronte alle situazioni più difficili. Del cercare di capire gli altri, di amare la propria moglie o compagna di vita rassicurandola ogni giorno ed ogni momento anche quando forse la situazione permetterebbe un briciolo di disappunto.

Del levarsi il cappello entrando in uno spazio chiuso, del cedere il passo a disabili, donne ed anziani.

Del porgere sempre e comunque la mano con un sorriso, del vedere i telegiornali con l’ansia di chi osservando il mondo sente il peso dei suoi mali, di chi di fronte alle lacrime altrui sente un nodo in gola.

Di chi pone ideali, creanza, sogni, speranza, umanità sempre davanti a tutto e di chi mette, troppo volte, gli altri davanti a sé. Ingoiando rospi l’uno dietro all’altro, sospirando pensando di aver di nuovo fatto qualcosa “per il suo bene”.

Insomma, un modo di vivere che sa di antico, di ottocentesco, di sciocco ed anacronistico idealismo.

Di questi due approcci all’esistenza si possono avere varie impressioni.

Il primo è garanzia di una vita leggera, il secondo fa male e richiede una certa quantità di “fegati” di ricambio in magazzino. E fa ammalare alla lunga.

Ma consente un qualcosa che la prima non offre: guardarsi allo specchio senza sentire il desiderio di romperlo.

È poco, pochissimo, ma forse conforta.

Si può scegliere come vivere?

Non lo so, non me lo chieda il lettore perché io non l’ho mai capito.

Non so se sia una scelta, un fattore ambientale, un modus innato. Ma, in ogni caso, essere dei dinosauri del passato richiede, come si direbbe al giorno d’oggi, un certo “pelo sullo stomaco”.

Tuttavia, noi siamo andati, perduti, e chi nasce quadrato non muore rotondo. Il punto che mi tormenta è: Come crescere dei figli in questo secolo?

Buoni, generosi, sensibili, emotivi ed altruisti e condannarli al rischio di una vita infelice, difficile, ad una certa fragilità di fronte agli sciacalli che li circonderanno negli anni; o tirarli su cinici, distaccati, arrivisti, egoisti e fortificati di fronte ai banditi che incroceranno il loro sentiero nel futuro?

Mi si risponderà che forse una via di mezzo sarebbe la soluzione. Ma ecco un’altra immediata, fatale, domanda.

Questa “via di mezzo” chi la saprà mai misurare?

La morale resta una: la vita è una lotta e non è dato scegliere se essere carnefice o vittima. Ma conservare un po’ d’onore, quello forse sì, si può scegliere se farlo o no. Sapendo che costa caro, molto caro. A volte la vita stessa.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 10/04/2021